Nel ParCo del Colosseo
Grottesche romane
Finalmente apre alla Domus Aurea la mostra dedicata alle grottesche di Raffaello. Un'esposizione di grande interesse che testimonia la suggestione che, tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento, suscitò l'arte romana sul Rinascimento
Il rosa degli oleandri, le corse dei bambini nei viali di colle Oppio, un portone zincato con il logo ParCo, che si apre, nuovo, nella collina. Ricomincia anche così la vita nella Città Eterna, e nel suo luogo più identitario, il ParCo del Colosseo appunto. Perché da domani esce dal sonno – maleficio del covid – la Domus Aurea. Si risveglia con una mostra che doveva essere inaugurata il 6 aprile 2020, cinquecentenario della morte di Raffaello. E si risveglia con un nuovo ingresso alla sotterranea residenza neroniana (in viale Serapide), progetto di fine architettura che conduce al cuore del monumento, diventato ora cuore dell’esposizione. Parliamo di “Raffaello e l’invenzione delle grottesche” (a cura di Vincenzo Farinella e Alfonsina Russo, con Stefano Borghini e Alessandro D’Alessio) allestita nella Sala Ottagona, il fulcro della reggia imperiale, la sala dei banchetti, chissà, quella cenatio rotunda “rotante su se stessa tutto il giorno” della quale parla Svetonio e che ancora è quesito per gli archeologi.
E però la Sala Ottagona, cui ora si può accedere grazie alla passerella ideata da Stefano Boeri, è maestosa anche per quella calotta centrata da un oculo che recava la luce, al pari di quanto avviene al Pantheon. Ed è il cardine attorno al quale girano, negli ambienti circostanti, gli affreschi che incantarono la compagnia di artisti del Rinascimento calatisi quasi per scommessa dai “buchi” apertisi sulla collina sovrastante. Erano gli anni attorno al 1480, Pintoricchio, Sodoma, Signorelli, Filippino Lippi scendono nelle caverne, attraverso le crepe dei riporti di terra con i quali l’imperatore Traiano aveva seppellito – damnatio memoriae – il palazzo di Nerone per realizzarvi sopra le proprie Terme. E illuminarono con le torce, quei giovani pittori, un elettrizzante catalogo sommerso di affreschi antico romani: scene mitologiche, amorini, festoni di frutta e fiori, animali fantastici, orridi e mostruosi, ingentiliti però da vividi colori. I temi, insomma, di quel genere di pittura che da allora venne chiamata “grottesche”, perché in grotta emerse alla conoscenza del mondo rinascimentale. Non sapevano che si erano intrufolati nella Domus Aurea, quella sarebbe stata scoperta di secoli successivi.
Ma tal repertorio di illustrazioni avrebbe influenzato, vera e propria moda, la nuova arte. Anche perché a codificarlo fu il più grande di tutti loro, Raffaello. Era il 1515 quando anche lui, convinto da Giovanni da Udine, decise di calarsi nelle grotte. Molto si stupì di fronte alle immagini che rimbalzavano dalle possenti mura, da quell’opus reticulatum che ancora, rinserrato come venti secoli fa, ci testimonia la maestria costruttiva dei romani. E presto riprodusse quell’apparato decorativo: e pensiamo alla loggia della villa Farnesina alla Lungara. Ma anche un piccolo ambiente restituito dalla rassegna, nelle immagini virtuali che insieme agli altri strumenti di realtà aumentata ne costituiscono l’atout. Parliamo della Stufetta del palazzo apostolico vaticano, un minuscolo bagno che l’Urbinate decorò nel 1516 per il cardinale Bernardo Dovizi di Bibbiena e che non è mai stato aperto al pubblico. Ebbene, le pareti sono tappezzate di “grottesche”, ce lo rivela la ricostruzione in videomapping dietro il velario della sezione dedicata appunto a Raffaello. Ancora veli da sollevare con due dita, conducono alle altre sezioni: una dedicata ai “pionieri” delle grottesche, con immagini restituite come alla luce delle torce man mano che i visitatori si avvicinano; la terza occupata dalla riproduzione del mastodontico Laocoonte – gesso proveniente dal Museo Albani – scoperto nel 1506 nei spazi sotterranei attorno alla Domus Aurea (via dei Serpenti si chiama così appunto dai serpenti che drammatizzano il gruppo scultoreo) e narrato in un audio mentre in videoloop, sullo sfondo, si proiettano le declinazioni avute nei secoli dalla celeberrima scultura, tra i pezzi fondativi dei Musei Vaticani.
Le grottesche si diffusero in tutta Italia, in Europa, perfino in un convento nella città messicana di Ixmiquilpàn. Ecco allora, dietro un altro velario, un mappamondo virtuale e una consolle interattiva che le localizza nelle interminabili Gallerie degli Uffizi, a Palazzo Te di Mantova, in Baviera nella residenza del Duca Luigi X, e fino alla Alhambra di Granada e a Fontainebleau. Ma anche i surrealisti – Dalì, Ernst, Mirò, Tanguy – si impressionarono degli esseri mostruosi affrescati nella Domus Aurea e una cerulea, imponente sfera permette di creare collage digitali con le loro invenzioni.
Altri due velari, altre scoperte: gli affreschi recentemente restaurati di Achille e Sciro e di Ettore e Andromaca: occhieggiano nell’alto delle volte, recando la suggestione delle pagine omeriche incorniciate dalle fantasie vegetali delle grottesche.
Ci si sposta tra i vari ambienti radiali e si torna al centro della Sala Ottagona, dove si impone la candida immanenza dell’Atlante Farnese, la scultura prestata dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Il globo celeste sostenuto sulle spalle dal gigante si “riflette” nella calotta della sala con immagini dei segni zodiacali che poi svariano in petali – quelli fatti cadere sui commensali di Nerone durante i banchetti – oltre a restituire, ogni mezz’ora, la luce diurna così come doveva arrivare dall’oculo ideato dagli architetti Severo e Celere. La volta celeste invita a sdraiarsi sul divano tutt’attorno all’Atlante, godendo anche della suggestione dei suoni: un mix di voci, sussurri, risate, melodie del rinascimento, note da strumenti dell’antichità.
Ora gli fa da controcanto la passerella di Stefano Boeri. Si snoda come un nastro madreperlato attraverso le gallerie imposte dalla “muratura” di Traiano. I led per l’illuminazione sono rasoterra, altrove squarciano dal basso ambienti delle terme, accompagnano fino all’ottagono. Il camminamento sfiora così le rovine, non si poggia mai su di loro. E abbassandosi a una quota considerevole, configura – dice Boeri mentre si inaugura mostra e struttura – “un viaggio nello spazio e nel tempo”. Perché si può uscire all’esterno dall’ingresso consueto, in viale delle Domus Aurea, dopo aver attraversato l’intero percorso del monumento, nel quale lampi luminosi svelano sculture restaurate e recuperate dai depositi: le muse Talia e Tersicore, un’amazzone, imponenti capitelli, un pilastro di marmo. A salutare l’inaugurazione, il ministro Franceschini ha sottolineato quanto importante sia poter riappropriarsi dopo la pandemia del patrimonio italiano, ricordando che il 29 luglio prossimo il G20 si aprirà al Colosseo. Ma ha anche prospettato una soluzione per l’abbandono del giardino di Colle Oppio: “Vediamo chi gestirà l’amministrazione di Roma. Questo giardino dovrebbe essere uno dei luoghi da collegare al Parco del Colosseo in tutto il suo splendore e non invece nel degrado che in alcune parti è davvero imbarazzante e non si concilia con la bellezza della Domus Aurea e del Colosseo”. Speriamo non sia solo una promessa o uno spot elettorale, il posto più celebre di Roma non sopporta ulteriore onta. Lo metta in agenda il sindaco che verrà.