Un omaggio "radiofonico"
Un Dante elettrico
La cyberperformer Francesca Fini ha affrontato i versi di Dante nel contesto di Radio Dante, percorso poetico e sonoro: «Quei testi vanno interpretati, non vanno letti. Per questo l’ascolto attraverso la radio è il mezzo più efficace. Se a questo, poi, aggiungiamo una specie di sostegno sonoro che diventa racconto...»
Francesca Fini, artista interdisciplinare di fama internazionale, citata dall’Enciclopedia Treccani come tra i più significativi esponenti del linguaggio cyberperformance in Italia, è ideatrice, regista e curatrice della sceneggiatura sonora dell’evento Radio Dante – Un viaggio stereofonico nei versi del vate fiorentino: un podcast, a cadenza settimanale, di 21 episodi sui versi tratti da Le Rime e la Vita Nuova, commissionato dall’Istituto italiano di Cultura di Tirana e trasmesso da Radio Mi per celebrare i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri.
Iniziata il 15 febbraio scorso, la trasmissione in streaming prosegue con successo: appuntamento ogni lunedì con due episodi, alle ore 11.00 (replica alle 13.00) e alle 16.00 (replica alle 18.00). “Nel mezzo del cammino” di questo progetto, abbiamo incontrato Francesca Fini per farci raccontare del suo lavoro e rapporto con il sommo poeta, un “alieno” perso nel mondo contemporaneo.
Com’è nata Radio Dante?
Radio Dante nasce come figlia di un altro progetto, Corpo elettrico, in cui ho coinvolto dei poeti contemporanei: un podcast a puntate, una sorta di radiodramma dalle atmosfere determinate e raccontate solo dal suono e dalle parole di questi poeti, recitate da attori. Questo progetto ha avuto molto successo nei circuiti di poesia contemporanea, che hanno sì un pubblico di nicchia, ma un grandissimo successo. Quando Alessandra Bertini Malgarini, direttore dell’Istituto italiano di cultura di Tirana, che io ho conosciuto quando era direttrice dell’Istituto di cultura di Nuova Delhi, mi ha invitato a fare delle presentazioni delle mie performance in India e ha saputo di Corpo elettrico,mi ha proposto di fare una cosa simile su Dante Alighieri in occasione dell’anniversario dei 700 anni dalla morte. Radio Dante, quindi, è nato da una sua idea.
È la prima esperienza radiofonica per Lei?
Con i podcast ho avuto già esperienze e Corpo elettrico è un esempio. Anche se sono stata coinvolta in vari progetti e trasmissioni, questa è la prima volta che collaboro con una radio.
Chi è Dante per Francesca Fini?
Dante è una figura non solo importante per la cultura occidentale, ma è un grande e ironico raccontatore di un periodo storico. Possiede una lucidità, uno sguardo tagliente, che me lo rende simpatico e, soprattutto, me lo fa sentire estremamente vicino. Penso, infatti, di avere anche io lo stesso tipo di approccio nei confronti del reale, più o meno: disincantato, anche apprensivo, in un certo senso. Dante parla del destino nostro e di un’intera generazione, del destino di un Paese, di un popolo. Le sue parole sono importanti e il suo sguardo può sembrare molto giudicante con il senno di poi, ma è perché siamo noi avvezzi ormai a non giudicare: solo per questo ci sembra severo, bacchettone, eccessivo. Siamo abituati a farci passare tutto davanti, senza il minimo sguardo critico, probabilmente a causa di una forma atavica di rassegnazione. In realtà lo sguardo critico di Dante è giusto, se vuoi anche paterno, preoccupato, apprensivo. C’è una critica, ma è sempre dentro al desiderio di pungolare, di spingere al cambiamento. E trovo che questo, oggi, sia un atteggiamento fondamentale.
Perché ha scelto di concentrarsi su Le Rime e la Vita Nuova?
Il Dante di cui parlo non si trova solo nella Divina Commedia, ma anche nella Vita Nuova, e tra le rime dell’esilio ci sono degli accenni. Si tratta comunque di un Dante che riflette – discorsivamente anche – sul suo presente. Scegliendo Le Rime e la Vita Nuova mi è sembrato anche di andare a rivisitare qualcosa che non fosse stato già costantemente rivisitato come la Divina Commedia, che oramai è stata fatta in tutte le salse. Mi interessava rivisitare testi che fossero meno conosciuti.
La sua è una sceneggiatura sonora sviluppata in senso tridimensionale: è stato difficile veicolare i versi di Dante e adattarli a questo testo sperimentale?
No, non è stato assolutamente difficile. Dante bisogna interpretarlo. Può sembrare a prima vista complesso, perché il suo è un italiano desueto, antico, ma nel momento in cui lo si fa interpretare a degli attori che sono stati guidati e indirizzati da un dantista è tutto chiaro: si comprende il senso e lo spirito di quelle parole. È l’interpretazione che rende Dante assolutamente comprensibile e accessibile. Quei testi vanno interpretati, non vanno letti. Per questo l’ascolto attraverso la radio, secondo me, è il mezzo più efficace. Se a questo, poi, ci aggiungiamo una specie di sostegno sonoro che diventa racconto, allora parte lo storytelling: qualcosa che ti affascina e ti coinvolge.
Perché usare la stereofonia come tecnica di registrazione?
Perché non siamo più soliti ascoltare la radio da un oggetto sonoro, lo facciamo per lo più in cuffia, da un device, dallo smartphone. L’idea dell’ascolto in cuffia, che isola dall’esterno, è quindi il tipo di approccio ideale che ho pensato per questo podcast, perché consente di percepire il suono binaurale, creato con una particolare tecnica per cui i suoni vengono posizionati davvero spazialmente, prendendo come punto di riferimento la testa umana e soprattutto il sistema uditivo. A quel punto, l’ascolto del podcast diventa straordinario, sei circondato da questi suoni che si muovono intorno a te, ti senti immerso in un universo virtuale che è stato creato unicamente con il suono. Era una esperienza che volevo fare: rendere Dante immersivo, non visivamente, ma dal punto di vista sonoro.
C’è un sonetto, una ballata o una canzone tra quelle proposte a cui è particolarmente legata? O su cui ha un ricordo particolare?
Quella che si trova nell’ultimo episodio del podcast, Donne ch’avete intelletto d’amore. È quella più “futuristica”, mentre tutto il resto di Radio Dante si svolge nel presente. Ho voluto immergere le parole di Dante nei suoni della contemporaneità per renderlo ancora più vicino: si sente, infatti, un treno che arriva in stazione, un modem vintage anni Novanta che parte con il suo sibilo, oppure i rumori di un aeroporto con il trolley che passa e la voce in filodiffusione che annuncia i voli. Ma c’è anche un sotto-testo, una storia segreta, che è nota soltanto a me e a Boris Riccardo D’Agostino [musicista e sound designer, ndr], ma di cui possono accorgersi tutti quelli che seguono la serie in modo attento: la storia di Dante che incontra gli alieni, che vede una nave spaziale e alla fine viene portato via. Il tutto avviene nell’ultimo episodio del podcast: è quello che mi piace di più ed è anche un omaggio al Dante scolastico proprio per la scelta della famosissima canzone Donne ch’avete intelletto d’amore, che fa piombare Dante in questa nave spaziale: un ambiente molto femminile, un ventre materno tecnologico, il quale accoglie Dante al suo interno. La nave spaziale è una madre venuta da lontano che riporta Dante nel luogo che gli appartiene, ovvero un mondo “altro” rispetto al nostro.
Solitamente i suoi lavori sono svolti in “solitaria”. Per questo progetto, è stata affiancata da altri artisti ed esperti: può presentarci il team?
Può sembrare che, nella maggior parte dei casi, lavori in solitaria, ma mi avvalgo sempre di maestranze esterne, anche solo in parte, perché non si può fare tutto da soli e ci sono delle professionalità che non si possono inventare: tra queste, quella del suono. Per me il suono è sacro. Effettivamente io sono una one woman show per quanto riguarda la parte visuale, quindi animazione, regia, montaggio, post-produzione. Ma sul suono non voglio in assoluto metterci le mani, perché è un elemento complessissimo e rappresenta il 50% dell’opera. Ho scoperto questo musicista e sound designer, Boris Riccardo D’Agostino, con cui avevo già lavorato in precedenza, il quale è assolutamente straordinario: è riuscito a entrare nel mio immaginario, capisce al volo il risultato che voglio raggiungere, ha una sensibilità molto simile alla mia. Ha collaborato con me al sound design e ha fatto il missaggio con questo suono stereofonico. Ci sono poi i due attori incredibili, Daniela Cavallini e Daniele Sirotti: anche loro sono amici di lunga data, hanno lavorato con me a tantissimi progetti, sono abituati al mio modo di lavorare e al mio immaginario. C’è anche un consulente con cui è la prima volta che lavoro, Emanuele Di Silvestro, un ragazzo che mi è stato consigliato proprio da Alessandra Bertini Malgarini. È un dantista giovanissimo e molto appassionato. Quando ci incontravamo su Zoom, è stato affascinante vedere questo ragazzo entusiasmarsi nel parlare di Dante come se fosse un suo amico, con un ardore che sorprende. Noi crediamo che questi giovani d’oggi siano affaccendati in tutt’altro e invece c’è chi ha un Dante per amico!
Come avete individuato le liriche da inserire nel podcast? Sono stati scelti prima i suoni del presente o le immagini dell’universo dantesco?
Con Emanuele abbiamo prima selezionato le immagini, in base alla mia richiesta di scegliere soprattutto sonetti e cose meno note che fossero interessanti anche dal punto di vista storico. Sono state abbinate, poi, a due a due tematicamente: ogni podcast è infatti composto da due opere. Emanuele mi ha fatto una proposta che mi è piaciuta tantissimo e da lì siamo passati alla sonorizzazione.
Quanto è importante, secondo lei, “vedere” una poesia, oltre che ascoltarla?
La poesia si vede chiudendo gli occhi. Bisogna vederla dentro di sé. Questo è il percorso che io consiglio quando si ascolta Radio Dante. Perché non si tratta di un’informazione radiofonica che si può ascoltare con qualsiasi sottofondo, mentre si guida la macchina o si fanno le faccende di casa. Radio Dante è un’esperienza artistica. Nel momento in cui si chiudono gli occhi e si ascoltano questi suoni che si muovono intorno e fanno immergere in un universo nuovo, arriva la visione: il cervello è programmato per abbinare i suoni alle immagini e le immagini a delle memorie. In questi abbinamenti troverà nella memoria delle immagini da abbinare e ognuno farà il proprio montaggio, il suo film personale con i pezzi del proprio vissuto.
A chi è rivolto il progetto Radio Dante? Chi potrebbe essere il pubblico ideale per lei?
Tutti, dagli studenti che lo useranno – come so che stanno facendo – per motivi didattici all’appassionato di podcast. Il pubblico è vastissimo. Si parla di Dante: il pubblico è il più ampio possibile.
Se Dante fosse un colore?
Dante, per me, è un rosso bruno, un porpora. Il colore dell’impero, dell’autorità, anzi, dell’autorevolezza. Il porpora è il colore dei poeti.
Un’immagine?
Un triangolo: un’immagine emblematica, misteriosa, alchemica, legata in qualche modo al sacro, alla matematica, alla scienza antica.
Un corpo?
Una figura perfetta che si autosostiene. Quando penso a Dante, inevitabilmente, mi viene in mente una foresta, è un’associazione ormai radicata: una foresta oscura che ti chiama dentro per fare un viaggio pericoloso, misterioso e affascinante.
Tre aggettivi per descrivere il progetto Radio Dante?
Sperimentale, stereofonico ed “open”, aperto, perché sicuramente ci sarà un seguito.
Secondo lei, quale aspetto di Dante è attuale? E in cosa, invece, è anacronistico?
Non credo che Dante sia anacronistico, un aggettivo che ha un’accezione piuttosto negativa, perché significa essere fuori dal tempo, dal “proprio” tempo. Penso che Dante sia eterno, applicabile in qualsiasi momento. Come l’I-Ching, interpretabile e assolutamente adattabile. O come Giacomo Leopardi. Poeti che diventano simboli, i padri di una cultura, proprio perché hanno questa capacità di partire dalla loro vita, dalla loro contemporaneità, per parlarci per universali. È ciò che distingue un poeta eterno come Dante da un poeta che fa parte del “suo” tempo, che poi è una caratteristica anche della contemporaneità, quella di essere più aderenti al proprio tempo, più instant artist. Dante però appartiene a una cultura che tende a universalizzare i discorsi e questo lo rende assolutamente eterno. L’unico elemento, non anacronistico, semmai forse “ingenuo” – passatemi il termine – che lo caratterizza consiste nel pensare che effettivamente qualcuno possa ascoltare dei consigli: è qualcosa che non si adatta più ai tempi di oggi. Nessuno ascolta più niente, c’è soltanto un parlarsi addosso costante e si vede anche dagli ultimi episodi di cronaca. Oramai c’è un continuo chiacchiericcio narcisistico che passa attraverso i social. La gente non ascolta più quello che gli accade intorno, tanto da fare poi delle cose assurde e controproducenti. Dante è, allora, un invito ad ascoltare, a non parlarsi più addosso: chiudere la bocca e aprire le orecchie.
Nella produzione letteraria di Dante sono presenti due tipi di donna dalle caratteristiche opposte: la donna-angelo stilnovista e la sua antitesi, la donna-petra, più terrena e dalla personalità “dura”. Come artista che è stata definita “donna-immagine”, a quale si sente più vicina? In quale tipologia ritrova di più la Sua poetica?
Sicuramente sono la donna-petra, che secondo me è anche quella riuscita meglio, rispetto alla sensibilità contemporanea. L’episodio sulla donna-petra è straordinario, l’ho ambientato nel diciottesimo episodio, dentro una cava, con un terremoto in corso. Per me, quindi, la sua figura è qualcosa di viscerale. È un episodio ctonio, assolutamente ancestrale. Se si legge la sestina lirica Al poco giorno e al cerchio d’ombra, ci si accorgerà che è di una modernità pazzesca, è come se Dante avesse raccontato una donna di oggi. Ecco, ciò rende Dante un “alieno”, per questo lo faccio portare via da una nave spaziale, che non viene per rapirlo, ma per riportarlo, recuperarlo, perché in realtà Dante è un alieno che si è perso sulla Terra. Nel mio studio su Dante, durato mesi e mesi, ho trovato di tutto: complottisti che pensano che Dante parlasse di un incontro alieno, oppure teorie che fanno parte del sottobosco della cultura underground, in cui questa relazione tra Dante e il mondo altro è fortissima, perché è nelle sue corde, nel suo scritto, nella sua personalità. Dante è un vate, un poeta che riesce a capire i suoi tempi e a raccontarti una donna “pietrosa” come una donna di oggi, con un linguaggio poetico che è il linguaggio di oggi e si discosta completamente dal linguaggio utilizzato per la donna-schermo, la donna angelicata e musa del Dolce Stilnovo.
C’è qualche altro poeta a cui le piacerebbe dedicare un progetto simile a quello di Radio Dante?
A Leopardi, senza dubbio. È un’altra mia ossessione.
Che cosa significa essere degli esponenti della cyberperformance in un periodo di forte crisi per l’arte e lo spettacolo? Ha influito l’attuale pandemia sulle Sue espressioni artistiche?
Da cyberperformer vivo una vita parallela online. Non mi sono dovuta digitalizzare in seguito alla pandemia, ero già digitalizzata. Avevo già gli strumenti culturali, la preparazione giusta per affrontare il lockdown continuando a esprimermi senza dover ricorrere all’aiuto di qualcuno o a dovermi alfabetizzare all’ultimo momento. Già facevo streaming online, podcast radiofonici, usavo il webdesign come strumento artistico. Sicuramente la pandemia non ha influenzato il mio lavoro, ma ha accelerato un processo che era già in corso: la completa smaterializzazione del mio corpo. Se si vede tutto il mio percorso artistico, io ho cominciato con il corpo e sono pian piano finita nel monitor, sullo schermo. Mi sono smaterializzata digitalmente. Non credo che per me questo processo sia reversibile, stando anche a una delle mie ultime performance, Skin/Tones, in cui scannerizzo il mio corpo: ho consegnato la mia pelle al digitale. Non posso ricominciare a ritornare in scena con il mio corpo con quel tipo di inevitabile ieraticità che la performance implica: io non sono più io, nel senso che non vedo più il mio corpo come qualcosa di interessante da portare in scena, perché ormai ha subito questo processo totale di disintegrazione. Non credo che ritornerò a fare performance dal vivo, quindi. Continuerò d’ora in avanti a realizzare sempre performance connesse solo al digitale: videoperformance o performance di altro tipo, che non sono legate all’hic et nunc, mapolverizzate nell’etere, nella rete, che non prevedono un’azione dal vivo. Performare dal vivo non mi interessa più, il contatto invece mi interessa. Altre forme di azione dal vivo, come presentazioni, workshop, talk, discussioni vanno benissimo.
Progetti futuri? Quali altri media e/o linguaggi le piacerebbe esplorare?
Adesso mi interessa moltissimo lo streaming, anche con progetti di piattaforme per lo spettacolo digitale. E poi il suono, la realtà virtuale e la realtà aumentata che sto esplorando in numerosi progetti. Il 9 aprile avrò la performance Pink Noise che è già sold out. Sarà fruibile attraverso De-Pink, una piattaforma da me ideata che si occupa di spettacolo digitale e di modalità per creare un discorso sullo spettacolo dal vivo diverso da quello tradizionale, da ciò che potrebbe essere l’immediata trasfigurazione dello spettacolo dal vivo nel digitale, ovvero la ripresa in diretta streaming “sbattuta” su YouTube o su altri canali. Quest’ultima può essere interessante dal punto di vista di documentazione e di diffusione, ma non è “lo” spettacolo digitale, che dev’essere ripensato per gli strumenti, i mezzi, il format e il device con cui lo osserviamo e ne fruiamo. Per me è stato determinante l’incontro tra lo spettacolo performativo e il webdesign. Sulla piattaforma, il pubblico in diretta è invitato a cambiare stanza, ovvero a cambiare pagina, come se fosse partecipe di una performance itinerante e ogni pagina ha degli strumenti di interazione con la performance che permettono di intervenire direttamente attraverso il video e la realtà aumentata.