Every beat of my life
Pietas per la luna
Anche Baudelaire, il grande poeta della modernità che aveva profetizzato l’età della disumanizzazione, si rifugia nella natura. Ma solo «quando sa farsi spirito, parlare al cuore». Come l’astro con la sua pallida lacrima d’opale
Nasceva duecento anni fa, ieri, il 9 Aprile del 1821. Baudelaire, come Leopardi, è un nome che suona come un mito. Conosciamo i loro nomi di battesimo, belli, Giacomo, Charles, ma il cognome basta, racchiude tutto. Sono i poeti che hanno un unico nome, come Omero, Dante, Shakespeare, Ovidio, Virgilio, Foscolo, Byron, Eliot.
Baudelaire è il grande poeta della modernità, della città già metropoli: nell’Ottocento cammina instancabile nelle vie della capitale parigina, che come Roma, Londra, era già da tempo un mondo, dal tempo di Villon e poi di Dumas con i suoi moschettieri. Ma quel mondo, le notti parigine, le luci, le donne, la solitudine e l’ansia, il vino, l’assenzio, i gatti silenziosi e il cupo turbinio notturno, quel mondo in Baudelaire diviene l’universo moderno. Il poeta è incantato dal nuovo, ma aristocraticamente ostile alle sue manifestazioni volgari: comprende subito, anzi anticipa e profetizza, l’età di massa e della disumanizzazione, la vittoria della volgarità del mondo industriale sugli spiriti solitari e sensibili.
Baudelaire comprende che è messo in crisi lo spazio interiore, lo spirito. È il primo grande poeta che si sente in esilio pur essendo a casa sua, nella splendida, illuminata, colta Parigi.
Che diviene a lunghi tratti un inferno, da cui la sua anima tormentatamente cristiana intende uscire: non nella natura, di cui diffida quanto Leopardi, ma privo della rabbia del poeta italiano, con orientale sapienza. Crede nella natura solo se e quando sa farsi spirito, parlare al cuore, non solo al nervo ottico dell’uomo.
Di qui i suoi incanti, sempre sgomenti e sempre ardenti come preghiere mormorate sillabando versi immortali. Qui, l’incanto della luna, l’astro dei poeti.
Tristezze della luna
Questa sera la luna sogna con più languore,
come una bella donna sui suoi cuscini
che prima del sonno con la mano lieve
accarezzi i contorni dei suoi seni,
sul lucido dorso di valanghe di seta,
morente s’abbandona a lunghi venir meno,
volgendo gli occhi sulle bianche visioni
che salgono nell’azzurro come fioriture.
Quando a volte nel suo pigro languore,
stilla sul globo una lacrima furtiva,
un pio poeta, nemico del riposo,
prende nella sua mano quella pallida lacrima,
iridescente come un frammento d’opale,
e se la mette nel cuore, lontano dagli occhi del sole.
Charles Baudelaire
Traduzione di Roberto Mussapi, in Charles Baudelaire, Tu metteresti l’universo intero, a cura di Roberto Mussapi, Salani Editore