Every beat of my life
La Resurrezione e il trionfo di Maria
La Madre che ha reso possibile la salvezza. «Lei già prima e già oltre, felice come le era stato concesso dall’annuncio, docile come le era stato scritto dagli astri, ma sanguinante, dentro, dolcemente, come un agnello». In questi versi di Roberto Mussapi è l’Angelo a celebrare la sua grandezza
Alberto Fraccacreta, un critico apparso da pochissimi anni e già, subito, importante, fedele collaboratore di Succedeoggi, mi rimproverava, mesi fa, recensendo il mio recente libro mondadoriano di poesia I nomi e le voci. Monologhi in versi, di non avere inserito in quell’antologia della mia poesia monologante i Frammenti dall’esistenza di Maria.Aveva ragione, dal punto di vista del libro, ma avevo anch’io le mie ragioni: l’opera, uscita anni fa da Raffaelli editore, letta da me a San Miniato e in altri teatri, è inclusa nel volume di poesia La piuma del Simorgh, pubblicato nello Lo Specchio Mondadori. Non poteva uscire anche nel successivo.
Ma resta il fatto che, come disse Carlo Sini anni fa, questo è uno dei miei libri più significativi, pur se esile (attualmente), e la mia concentrazione su Maria fa dell’Angelo una voce narrante assoluta, in cui si fondono narratore e Coro.
Per la festività di Pasqua forse ho già pubblicato, qui, questi versi, ma non controllo neppure, non mi pare importante, repetita iuvant.
Non è domani una Pasqua in cui qui riprendere i Mercoledì delle Ceneri, i Venerdì santi di tanta poesia fondante. No, qui solo Maria e il suo trionfo, che annichilisce l’angelo in tutta la sua luce.
Qui la Resurrezione, che esiste e tanto, ora, ci manca, ci serve.
Il sepolcro
Io smossi la pietra, ero bianco,
e il mio stesso bagliore abbagliava me stesso
perso in quella luce nel non vederla,
lei, l’altra Maria, non Maria Maddalena,
la Maria senza altro nome, senza niente,
lei che mi avevano detto vista piangere
ai piedi della croce, lì, in un angolo,
raccogliendo le lacrime di madre nel calamo
che come allora stava sorgendo.
Lei, timida, che non aveva osato piangere
nella carneficina e nel tumulto
di chi gridava e flagellava, nel sangue sgorgante,
mite, confusa ai pochi che piangevano,
in un angolo, lontana da loro, condannata
a essere già certa e consapevole
mentre il suo cuore sgorgava lacrime
senza sgomento, senza ripulsa,
in muta accettazione del suo stesso pianto.
Lei già prima e già oltre,
felice come le era stato concesso dall’annuncio,
docile come le era stato scritto dagli astri,
ma sanguinante, dentro, dolcemente, come un agnello.
La mia luce apparve di un bianco insostenibile
solo agli astanti, alle povere donne,
fui io a gonfiarla di orgoglio angelico,
e di gloriosa epifania del risorto:
lui, l’invisibile, colui che era presente in quell’assenza,
il buco vuoto nella pietra per sempre.
Ma in me io ebbi pena nel non scorgerla,
che lei non fosse la prima a vedermi e ascoltare
le mie parole sonanti e incancellabili.
Sapevo che già sapeva, dall’origine,
che era oltre, là, nel suo silenzio,
ma ebbi pena che non fosse a ascoltarmi
e avvolta nel mio bagliore fosse presa
in quella visione che ebbero le altre donne.
Non c’era, lei, come non c’era stata
se non nell’attimo in cui lui crollava
agonizzante in un fiotto di sangue.
Ubiqua, la nostra la natura, non compresente:
non ero dove lei era e dove un altro,
un angelo più umile di me, più debole
stava asciugando le sue lacrime e chino
vedeva il suo sorriso compresente.
Avrei voluto essere al suo posto,
lasciare il mio splendore abbagliante
e il grido e la pietra divelta per sempre
per essere accanto a lei, capire il mistero
di quel sorriso e quel pianto che ancora
nutrivano me e tutti gli altri angeli
d’orgoglio per avere dato soccorso
all’uomo fatto fango e nato polvere
bruciante nell’ossessione di risorgere,
mentre lei, non so in quale angolo,
accanto a una madia, in una zona d’ombra
adagio, in silenzio, riviveva
le doglie in cui lo aveva fatto rinascere.
Roberto Mussapi
Da Frammenti dall’esistenza di Maria, in La piuma del Simorgh, Mondadori, 2017
(Nell’immagine, il volto di Maria come appare nella “Deposizione” di Pontormo)