A proposito di "Moderno Antimoderno"
Vocazioni intellettuali
La casa editrice Marsilio ricorda il suo storico animatore dando vita alla collana “I libri di Cesare De Michelis”. Si tratta di una carrellata di riflessioni sul ruolo e la funzione della cultura. Che si apre, naturalmente, con i saggi sulla letteratura del critico-editore
«Far libri, stamparli, leggerli, scriverli, raccoglierli, venderli, recensirli, nella mia vita mi sembra di non aver fatto altro, come un’ossessiva passione mi avesse travolto appena ragazzo. Eppure da sempre mi era sembrato non privo di significato farli qua, dov’ero cresciuto, nella nostra terra, magari Venezia. Quando cominciai lo sapevo e non lo sapevo che la Serenissima era stata la patria del libro (…) grazie ad Aldo Manuzio…».
Così Cesare De Michelis – l’editore e critico letterario scomparso a 77 anni, nell’agosto del 2018 – descrive la sua vocazione. Con uno slancio e un candore che la dicono lunga della sua onestà a supporto della parola letteraria, da considerarsi passato e futuro. Poco più che ventenne, egli entrava con un pacchetto di azioni avute in dono dopo la laurea a Padova nella casa editrice Marsilio, fondata nel 1961, in un’Italia ottimista e progressista, innovatrice e creativa, fantasiosa e propositiva. Dall’industria alla cultura. E De Michelis in Marsilio battezzò presto due collane, “Interventi”, sul versante dell’analisi politica, e “In letteratura”, alla scoperta di giovani autori. Poi altre ne seguirono e lui divenne presidente dell’azienda.
A sessant’anni dall’avvio di quella fortunata impresa, la casa veneziana ricorda l’italianista-editore (insegnò letteratura all’università di Padova) con una collana intitolata “I libri di Cesare De Michelis”. Una sorta di sua biblioteca ideale, con la veste evocata proprio nelle parole in apertura: il progetto grafico di Leonardo Sonnoli è ispirato al formato dei volumi cinquecenteschi di Aldo Manuzio. I titoli già in cantiere sono poi una carrellata nel percorso dei suoi studi: c’è l’amato territorio d’origine con Settecento veneziano a cura di Gilberto Pizzamiglio e Scritti su Venezia a cura di Paolo Costa; il dialogo passato-presente con La poesia non è mai antica – Presenza dei classici a cura di Carlo Ossola e Il canone novecentesco a cura di Luigi Ballerini; il mestiere di pubblicar libri con Scritti sull’editoria a cura di Mario Infelise.
Ma a dare il la alla collana non poteva non essere il più significativo volume dello stesso De Michelis, quel Moderno Antimoderno. Studi novecenteschi appena uscito a cura di Giuseppe Lupo (576 pagine, 35 euro). La raccolta di saggi – che vide la prima edizione nel 2010 per Aragno – indaga sul fulcro della sua ricerca, sul nocciolo che più lo appassionava: la compresenza, nel Secolo Breve, di due anime, “in quell’intima contraddittorietà che non riusciamo a risolvere”: la corsa all’innovazione, da un lato, la resistenza antimoderna della letteratura, dall’altro”. Il romanzo è il genere della modernità, spiega De Michelis. Ma la questione non è soltanto letteraria, è politica, sociale, valoriale, di costume. Uno iato rimasto irrisolto, il peccato originale dell’attuale malessere e dell’incompiutezza: dell’Europa come soggetto geopolitico e dell’Italia come Stato ancora diviso, nord e sud, cattolici e laici, eccetera.
Sono gli intellettuali il filo rosso del volume. E De Michelis li inchioda alle loro responsabilità storiche nel saggio intitolato appunto “Il conformismo degli intellettuali”. Qui l’editore procede limpido e tagliente. E data la nascita degli intellettuali con la fine dell’Ottocento. Lo spartiacque è l’affare Dreyfus, allorché i giudici, permeabili alla irrisolta questione dell’antiebraismo, diventano politici. Un cambio di funzione che segna anche il tramonto della democrazia, paradossalmente avviato dal suffragio di massa. Sì, perché alla quantità del consenso l’uomo di cultura oppone la qualità del consenso. Alle idee sostituisce l’ideologia, diventa servile – od organico – al potere. L’alternativa alla democrazia del voto è la rivoluzione guidata dalle avanguardie. Così radicali da voler eliminare l’avversario come nelle guerre di religione, così intransigenti da non intravedere lo scarto tra teoria e prassi, tra idee e realtà. Uno scollamento che impedisce il vero progresso ed è destinato a fallire: in Urss come nel delirio terrorista dell’Italia anni Settanta.
Eccolo il “tradimento dei chierici”, come lo chiamò il filosofo francese Julien Benda, ricorda lucido De Michelis. L’intellettuale è altro dal letterato ottocentesco, impegnato nell’esercizio della ricerca e nell’invenzione. Sicché l’anticonformismo è senza scampo impolitico, e, aggiungiamo noi, perdente. Sfilano in queste pagine le figure di Prezzolini, di Giovanni Pirelli e di Goffredo Fofi, irresoluti, insoddisfatti, pessimisti. Bobbio elabora la teoria dell’intellettuale “e di qua e di là” contrapposto a quello del “né di qua né di là”. Sarebbe l’alfiere del dialogo e della tolleranza, al fine di difendere la libertà. Chiosa De Michelis: la libertà si riacquista andando oltre il ruolo stesso dell’intellettuale, oltre la battaglia delle idee. Perché il destino dell’uomo non è correre dritti verso non si sa dove ma compiere un ciclo attorno a un centro che sempre ci sfugge.
Poi Moderno Antimoderno propone ritratti degli scrittori che il fondatore di Marsilio ha seguito negli anni: Stuparich, Berto, Tomizza, Camon, Magris, Tozzi, Pannunzio, Debenedetti, Del Giudice, Lodoli, Vittorini. E chiude quello di Susanna Tamaro, nella quale De Michelis fu il primo a credere, pubblicandone La testa tra le nuvole, nel 1989. Della scrittrice triestina egli loda senza riserve la coerenza: è aperta all’innovazione ma “legata a un nucleo da subito circoscritto”. Ricorda di averla incontrata subito dopo aver varato una nuova collana, “Primo tempo”. L’aveva concepita percependo la svolta nella letteratura: doveva essere lo specchio del mondo sopravvissuto alla catastrofe del terrorismo generato dall’odio antiborghese ma finito nello scacco delle utopie rivoluzionarie. I nuovi autori non sapevano più che farsene di manifesti, poetiche, gruppi, del retaggio novecentesco insomma. Si affidavano agli slanci morali, alle avventure individuali, alle emozioni. Quanto a lui, al fondatore di Marsilio, ebbe in seguito a dire di sé: “Confesso ingenuo che ho nostalgia della pace, della democrazia, delle regole, del decoro, delle grigie giornate di lavoro ben fatto e di saldi valori umanistici con antiche radici, e sono convinto che tutto questo non basti a definirmi reazionario, anzi. Solo non ne posso più delle rivoluzioni”.
Ci chiedevamo, leggendo le pagine conclusive: chissà a quale collana avrebbe dato vita Cesare De Michelis dopo il terremoto che viviamo, il nuovo impensabile terrore mondiale causato da un virus. Certo, si riverbererà sulla letteratura. Ma la letteratura, e gli intellettuali, dove andranno?