A proposito de "La rovina come pretesto”
Progetto della rovina
Antonio Acocella analizza i progetti di restauro di tre siti trasformati in musei: l’Alte Pinakothek di Monaco, Palazzo Abatellis di Palermo e il Neues Museum di Berlino. Nell'analisi di tre avventure etiche prima ancora che estetiche, il senso dell'architettura
È di recentissima pubblicazione il libro La rovina come pretesto. Continuità e metamorfosi in tre musei ricostruiti di Antonio Acocella edito da Quodlibet Studio, nella collana Città e Paesaggio. Il saggio si inserisce nel dibattito che, da circa due secoli, anima la disciplina del progetto e quella del restauro attraverso un’attenta analisi di tre progetti di ricostruzione/restauro/rifunzionalizzazione di “monumentali architetture a destinazione museale”, ridotti a rovina a causa dei bombardamenti della II guerra mondiale. Il saggio cerca (e, a parere di chi scrive, riesce) di offrire un contributo al complesso binomio tra la disciplina del restauro architettonico e quella del progetto architettonico, nel delicato rapporto tra antico e nuovo. Il libro non si limita ad una minuziosa analisi dei progetti selezionati come case studies, ma va oltre, per indagare, attraverso la ricerca d’archivio delle fonti originali, “il pensiero teorico che alimenta e rende vive le forme architettoniche e che è il frutto di una ricerca paziente e rigorosa” (Carlos Marti Aris). Il tentativo riuscito è quello di spiegare le ragioni, i vincoli e le contingenze che hanno determinato le architetture realizzate per superare l’annosa contrapposizione tra restauro architettonico e progetto architettonico nell’ambito dell’architettura storica e monumentale.
L’autore utilizza i progetti realizzati per indagare le modalità attraverso le quali l’architetto contemporaneo può misurarsi con l’edificio storico di carattere monumentale e che nella letteratura di settore sono indicate con i tre approcci metodologici dell’analogia, del contrasto e della mimesi. Gli edifici di cui tratta sono l’Alte Pinakothek realizzata da Leo Von Klenze tra il 1826 e il 1836 a Monaco e ricostruita da Hans Döllgast a partire dal 1952; Palazzo Abatellis realizzato da Matteo Carnilivari a Palermo (nella foto accanto al titolo) tra il 1490 e il 1495 e rifunzionalizzato da Carlo Scarpa tra il 1953 e il 1954, e infine, il Neues Museum realizzato da Friedrich August Stüler a Berlino tra il 1843 e il 1866, i cui lavori di restauro e ricostruzione si sono conclusi nel 2009, dopo una lunga vicenda concorsuale vinta da David Chipperfield.
Il libro, introdotto dalla prefazione di Massimo Carmassi, è strutturato in maniera sistematica e rigorosa. Al primo capitolo, che introduce sinteticamente, ma non per questo senza efficacia, il dibattito e le posizioni culturali che a partire dalla seconda metà del Novecento hanno codificato le metodologie operative riconducibili a tre approcci menzionati, seguono tre capitoli, uguali nella struttura e nella successione, che descrivono in maniera dettagliata l’origine dell’edificio, le evoluzioni che lo hanno caratterizzato fino all’avvento della guerra e l’analisi del progetto di rifunzionalizzazione operato dai tre progettisti. I capitoli sono corredati da un elegante ed esaustivo apparato iconografico. Ciascun capitolo è efficacemente introdotto da un breve ma pregnante saggio che inquadra la tematica del museo nell’ambito dei contesti geografici e culturali che interessano i tre edifici.
L’interpretazione che l’autore compie dei tre processi progettuali si avvale dell’analisi di aspetti circoscritti e complessi. Egli infatti analizza i progetti prendendo in considerazione quattro aspetti centrali del lavoro dell’architetto: la pianta, la scala, la facciata e la sala. Tale modalità di studio non rappresenta solo un tentativo di analisi descrittiva, ma è vera e propria operazione critica dei progetti realizzati, un’azione di indagine che, senza timore, si può definire scientifica, analitica e progettuale allo stesso tempo. Le considerazioni sono corroborate dai risultati di una faticosa analisi dei disegni d’archivio, finalizzata alla comprensione della natura e del processo mentale che gli autori dei tre musei hanno seguito nel definire i loro progetti.
Leggendo il libro si percepisce continuamente la tensione progettuale che anima la penna dell’autore e lo sforzo indagatorio operato non risulta fine a se stesso, svolto per una mera conoscenza storico-critica degli edifici analizzati, ma è vero e proprio metodo progettuale, che ritrova nello studio dei progetti realizzati, un atteggiamento sobrio e oculato caratterizzato dalla logica del “caso per caso” come approccio metodologico più utile per superare la complessità del lavoro sull’architettura storica. Tutto il libro, riprendendo le parole di Livio Vacchini, è permeato di quell’atteggiamento, quella tenacia, e quel “desiderio di penetrare nelle cose sino al fondo che ci è consentito raggiungere” e che vede l’architettura come “un rituale, una questione etica e non estetica, una questione mentale, uno strumento governato dal pensiero e dalla logica”.