Flavio Fusi
A proposito di “Esilio & letteratura”

L’arte del rischio

Nell'Argentina devastata dalla dittatura la resistenza dura e disperata di un gruppo di giovani intellettuali (rappresentati dalla scrittrice Liliana Heker) si misura con la grande letteratura di Julio Cortàzar: qual è il compito di un artista in un'epoca cruciale?

C’era una volta una rivista letteraria dal nome sonoro come uno sberleffo. Si chiamava “El ornitorrinco” quel fascio di fogli ormai ingialliti, e la scriveva, la pubblicava, la distribuiva, la vendeva, ne discuteva nei caffè de las esquinas e nelle aule universitarie un pugno di ragazzi coraggiosi e sventati, che non avevano paura di essere contro nell’epoca buia del potere carnivoro di un’Argentina che non c’è più, ma continua ad abitare gli incubi di un’intera generazione.

C’era una volta uno scrittore già celebrato, un omone timido e mite – una «strana combinazione tra un gigante e un orfano» – che dalla luminosa Parigi e dal suo piedistallo di venerato maestro lancia una provocazione politica e letteraria in cui definisce se stesso esiliato e gli scrittori rimasti in Argentina «martiri o morti viventi». A questa provocazione i giovani ornitorinchi, che pure amano e venerano il maestro, replicano con una durissima, argomentata, severa, inesorabile risposta. Tutto questo accadeva nel lontano inverno australe del 1980 – epoca della trionfante dittatura – e tutto questo è raccontato oggi in un piccolo e prezioso volumetto dal titolo: Esilio & letteratura (De Piante Editore).  

Episodio minimo – se volete – e giustamente dimenticato nelle cronache di quegli anni di piombo e sangue. Ma pretesto per un interrogativo gigantesco: la coesistenza o il conflitto tra ispirazione artistica e rischio individuale, personale, mortale. Domanda antica, scrive lo stesso editore nella prefazione: «Che compito può assolvere un artista, uno scrittore, un poeta, in un’era avversa, retta da un potere bastardo e bestiale?».

Ecco, su questa domanda antica, ma colma di significati storici e ideali incrociano i guantoni lo scrittore famoso che vive da decenni nella civilissima Europa e i ragazzi sconosciuti costretti a sguazzare nella melma quotidiana della dittatura. E i ragazzi scelgono come loro campione la timida, dolcissima, severissima Liliana Heker. Sul ring questo incontro non sarebbe permesso, troppo diversa la categoria: Julio Cortàzar ha 66 anni, è alto quasi due metri, ha dato alle stampe opere che sono già capolavori nel mondo largo della letteratura.  Liliana ha 37 anni, è alta un metro e cinquantasei centimetri, non ha scritto se non racconti su piccole riviste, e anche in Argentina nessuno la conosce oltre il centro di Corrientes e Calle Quintana.

Eppure, fin dall’incipit della polemica ci accorgiamo che il gigante è in difficoltà. Nella sua lettera aperta Cortàzar ha fatto letteratura, ha parlato di cose che non conosce, ha usato la fama personale come grimaldello per avventurarsi in affermazioni incaute.  La chiave centrale è una non dovuta ammissione di sconfitta, la resa dell’intellettuale in un panorama desolato dove la dittatura ha già vinto: «Non siamo né martiri né eroi, ancora una volta siamo gente spazzata via all’esterno o annichilita all’interno».

E proprio questo contesta la giovane Liliana, che ogni giorno con i suoi compagni mangia il pane duro della resistenza al mostro che ha sbranato la fragile democrazia argentina: «Cortàzar generalizza, fa di quelli di fuori e di quelli di dentro due condannati senza attenuanti, adegua la situazione di tutti gli intellettuali residenti in America Latina alle esigenze del suo articolo e penosamente ci annichilisce con un colpo di penna».  

Tanta durezza in una querelle letteraria è giustificata dal contesto di quegli anni. Scrive oggi Liliana Heker: «Il golpe del 1976 mise noi argentini di fronte a una istanza sconosciuta: l’istanza della morte. E quella istanza avrebbe pesato su ogni nostro singolo atto e su ogni nostra singola decisione». E proprio questa “istanza della morte” sembra vibrare nelle durissime parole rivolte allo scrittore: «Il fatto curioso è che ora in virtù del rischio che altri uomini hanno corso per restare nella loro patria, e anche della morte di altri uomini, lei trasforma il suo vivere a Parigi in una – la – scelta militante…».

E infine, secca come una scudisciata: «Mi astengo dal farla commuovere raccontandole perché la mia situazione in Argentina è meno comoda di quanto avrebbe potuto essere la sua. Non importa granché. Questa scomodità è quanto la gran parte di noi ha scelto. Molti di noi stanno qui per la resistenza. Altri verranno per i festeggiamenti».

Liliana Heker

Si danno del lei, come vogliono le regole della polemica pubblica, Julio e Liliana. Ma solo pochi mesi prima lo scrittore aveva accolto con tenera amicizia la ragazza del sud del mondo in viaggio premio nell’inverno parigino. Di quella vacanza restano nella memoria una lunga chiacchierata al tavolo di un bistrò e una telefonata affettuosa ricevuta la mattina dopo in albergo. E Liliana che scrive agli amici a Buenos Aires: «Non sapete quanto sia bello svegliarsi con la voce di Cortàzar che ti dice di coprirti bene…».

Ecco perché quella raccontata nel libro è anche una storia di amicizia oltre dispute e divisioni, e insieme il ritratto di una generazione: un ardito cenacolo di giovani che negli anni della pace si trasformarono in influenti scrittori, poeti, intellettuali, protagonisti della scena culturale argentina.  Attraversata la maturità e la vecchiaia, tanti di loro non ci sono più. È morto Abelardo Castillo, scrittore e instancabile fondatore di riviste letterarie, è morto il pensoso Bernardo Jobson, è morta la poetessa Irene Gruss. È morto – prima di loro e troppo presto – Julio Cortàzar, che ebbe appena il tempo di tornare in Argentina dopo la caduta della dittatura («altri verranno per i festeggiamenti…») a salutare gli amici e dar loro appuntamento a un nuovo incontro che non sarebbe mai avvenuto.

Rimangono oggi, a testimoniare quella straordinaria stagione di guerra e di pace, Sylvia Iparraguirre e appunto Liliana Heker, ormai consacrata come una delle voci più forti della moderna letteratura argentina. Nel 1984, pochi mesi dopo la morte di Cortàzar, lo scrittore Osvaldo Bayer chiese a Liliana se non si fosse pentita di aver discusso così aspramente con lui. «Gli dissi di no, assolutamente: ciò avrebbe presupposto mancargli di rispetto, supporre che la morte lo avesse sconfitto, lo avesse reso innocuo. Continuo ad ammirare e a voler bene a quello scrittore totale e attuale. E, nel contesto storico in cui avvenne la nostra controversia, continuo a discutere con lui».

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