Finestra sul mondo
Keats e il covid
La Gran Bretagna celebra i duecento anni dalla morte di John Keats e chiede a cinque poeti di ispirarsi ai suoi versi migliori. Ne è venuto fuori un insospettabile parallelismo tra l'amore e la malattia del poeta romantico e le passioni negate durante il lockdown
La londinese Poetry Society ha chiesto a cinque poeti – quasi tutti poco più che trentenni – di trarre ispirazione da uno dei componimenti di John Keats per celebrarne l’anniversario della morte, avvenuta a Roma, il 23 febbraio 1821 (https://www.theguardian.com/books/2021/feb/23/john-keats-five-poets-on-his-best-poems-200-years-since-his-death). Per settimane la stampa inglese, dalla BBC al compassato Financial Times, è stata inondata dai versi del più amato esponente del romanticismo, riproposti e commentati da critici e poeti. (https://www.ft.com/content/211a5140-f705-4f21-88f6-c5152b37152a).
And what is Love? Si chiedeva John Keats nella poesia Modern Love. Non un trastullo per bellimbusti o improbabili Romeo. Cos’è l’amore per una ragazza ai tempi del coronavirus?, si chiede oggi la giovane poetessa Rachel Long. San Valentino in solitudine, niente abbracci, solo immagini e parole sullo schermo.Senza orpelli e più sincero, come sarebbe piaciuto a John Keats, scrive la poetessa, che ha scelto proprio Modern Love (pubblicata postuma nel 1848) per ricordarlo a 200 anni dalla sua morte.
Nel 1821John Keats aveva 25 anni, da due era malato di tubercolosi, la stessa malattia di cui aveva visto morire sua madre e suo fratello minore. Conosceva il dolore fisico per aver fatto pratica medica negli ospedali londinesi e assistito alle insopportabili sofferenze dei malati e di chi veniva operato senza anestesia. Tanto da rinunciare alla carriera di medico. Ciò nonostante, amava la vita, la letteratura classica e aveva scelto di vivere scrivendo poesie e così diventare famoso. Per questo era venuto in Italia in cerca di un clima migliore che lo potesse aiutare a guarire. Innamorato, entusiasta, impegnato in politica, ma si è dovuto confrontare con il contagio, l’isolamento e la malattia proprio come un ragazzo dei nostri tempi.
Il parallelo ci arriva da chi con i ragazzi e con la poesia ha a che fare ogni giorno. È un insegnante di letteratura inglese all’ Aberystwyth University, con un articolo apparso in The Conversation, a mettere in relazione il senso di morte e giovinezza perduta di Keats e la sofferenza dei giovani durante questo ultimo anno. Richard Marggraf-Turley, (https://theconversation.com/john-keats-how-his-poems-of-death-and-lost-youth-are-resonating-during-covid-19-155522) analizza il sonetto When I Have Fears That I May Cease to Be, scritto nel 1818. «Prima della pandemia leggevo questa poesia come l’espressione astratta dell’ansia del poeta di non riuscire a raggiungere la fama e l’amore prima di morire – scrive –. Nei mesi di confinamento ho cominciato a rileggere questi versi sotto una lente diversa, più vicina a noi. È una poesia che mi fa pensare ai ragazzi rinchiusi a casa, isolati fisicamente, che non hanno la possibilità di incontrarsi e mescolarsi, consapevoli in modo struggente dello scorrere del tempo, delle occasioni perdute e di un’angoscia crescente».
Keats ha conosciuto l’isolamento ai primi sintomi della sua malattia e perfino la quarantena, sulla nave che lo ha portato in Italia, bloccata per dieci giorni nel golfo di Napoli per un sospetto caso di colera. «Un poeta del lockdown, della frustrazione, della delusione e della paura ma anche della speranza». Per questo – nota il critico – ha affrontato il viaggio per Roma, ha continuato a scrivere, studiare e a fare progetti, perfino per l’iscrizione per la sua pietra tombale “Here Lies One Whose Name was writ in Water”, è l’epitaffio scritto sulla tomba nel cimitero acattolico di Roma dove Keats riposa. E mai profezia è stata più sbagliata.