L'anno dantesco
Dante a teatro
Un ricco "dossier" della rivista Hystrio analizza il (difficile) rapporto tra la Divina Commedia e la scena. I versi di Dante sono stati fondamentali per la definizione dell'arte dell'attore del Novecento, da Carmelo Bene a Benigni, da Gassman a Albertazzi
L’anno dantesco (il 14 settembre saranno settecento anni dalla sua morte avvenuta a Ravenna) ha prodotto una vasta messe di omaggi, riflessioni, riletture della Divina Commedia. È il portato naturale di un mondo culturale (il nostro, ossia italiano di questo inizio di Terzo millennio) sempre più portato all’usa e getta, ossia al consumo rapido e, possibilmente, superficiale. Giacché il lettore – questa è l’opinione di chi fa i giornali o l’informazione culturale in genere – non ha tempo né, tanto meno, strumenti per approfondire i temi.
Noi di Succedeoggi abbiamo seguito una strada differente: i nostri lettori, infatti, hanno dimostrato di apprezzare le letture attente della Commedia dantesca che il professor Ettore Catalano ci sta offrendo in queste settimane. Ma, naturalmente, sono tante le riflessioni giornalistiche interessanti in materia dantesca. Una, in particolare, vorremmo segnalare ai nostri lettori, ed è il dossier che la rivista Hystrio ha dedicato ai rapporti tra Dante e il teatro.
Il tema è ostico, poiché la Commedia pur avendo sempre rappresentato l’oggetto (spesso inconfessato) di autori e registi, raramente ha prodotto esperimenti drammaturgici o scenici degni di questo nome. La rivista Hystrio passa in rassegna tutto il possibile in materia, a cominciare da due saggi storici molto interessanti di Giuseppe Liotta e Francesco Tei. Il primo si esercita intorno a tutte le riscritture dantesche, soffermandosi principalmente sul mito di Francesca da Rimini che ispirò Silvio Pellico e D’Annunzio nonché il genio comico parodistico di Antonio Petito e Eduardo Scarpetta. Ma venendo più verso il nostro tempo, Liotta riflette sui tentativi danteschi di Sanguineti, Luzi e Giudici (che tuttavia non dettero i risultati sperati in termini scenici).
Il saggio di Francesco Tei, invece, riflette sul lascito più significativo di Dante nel teatro novecentesco: la ricerca sul rapporto tra verso e voce. La formula della “Lectura Dantis” (inaugurata in Italia a metà Ottocento da Gustavo Modena) ha coinvolto alcuni attori tanto grandi quando differenti fra di loro. Da Carmelo Bene a Roberto Benigni, da Vittorio Gassman a Giorgio Albertazzi, ciascuno ha affrontato le parole di Dante da proprio punto di vista attoriale, ma tutti hanno finito per esaltare uno degli elementi principali della Commedia: quello di essere scritta per essere detta. Quasi alla maniera che sarà poi di Shakespeare, Dante inserisce la scenografia nelle parole, inducendo i lettori/spettatori a «supplire con il proprio pensiero alle sue imperfezioni» (come recita il prologo dell’Enrico V di Shakespeare).
Altri interessanti approfondimenti proposti dal Dossier di Hystrio sono quelli dedicati alla figura di Beatrice e all’interpretazione che Marion d’Amburgo, Ieva Triškauskaitė ed Ermanna Montanari hanno dato della donna amata da Dante; ai tentativi registici di Castellucci, Nekrošius e altri di affrontare il grumo del poema dantesco; nonché una rapida carrellata dei numerosi film dedicati al capolavoro. Insomma, un’occasione utile per ripassare un tema certamente non facile ma sicuramente centrale nella creatività teatrale del Novecento. Come dimostra, infine, la passione di Beckett per Dante e il suo Belacqua, eponimo dei personaggi dei primi racconti dello scrittore irlandese nonché unico personaggio che strappa una risata a Dante quando, nel IV Canto del Purgatorio, «gli atti suoi pigri e le corte parole mosser le labbra mie un poco al riso»