Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Tagore nel deserto

Si narra, in questi versi tratti da “Il giardiniere”, di un uccello abituato all’aridità, all’assenza. A lui si assimila il cuore del poeta che pur in quell’aridità riesce a spaziare nel cielo degli occhi dell’amata

Propongo non di rado Tagore ai nostri lettori: è un poeta dell’incanto, uno dei pochissimi moderni in cui eros e visione mistica si fondono, come accadde ai Sufi, e, in forma ermetica o elusiva, in alcuni grandi stilnovisti (ma esistono stilnovisti non grandi?).
Qui potente l’assimilazione del cuore del poeta a un uccello, essere mitico per la poesia da Alcione di Ovidio, a Shelley a Keats a Whitman, ma qui uccello del deserto. Abituato all’aridità, all’assenza, non esaltato dalla famiglia dell’acqua e delle piante.
Ma questo volatile solo e separato dalla linfa e dai ruscelli e dal mormorio e sciacquio del mare può spaziare negli occhi della donna amata, cielo infinito. 

Il mio cuore, uccello del deserto,

ha trovato il suo cielo nei tuoi occhi.

Essi sono la culla del mattino,

essi sono il regno delle stelle.

I miei canti si perdono nella loro profondità.

Lascia che io spazi in quel cielo,

nella sua solitaria immensità.

Lascia che io squarci le sue nuvole

e stenda le ali al suo sole.

Rabindranath Tagore

Da Il giardiniere, traduzione di Brunilde Neroni

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