Cronache infedeli
Il poeta libraio
Omaggio a Lawrence Ferlinghetti, alla sua passione per la poesia ma soprattutto alla sua dedizione per i libri. D'altra parte, fu proprio lui a dire: «In qualche modo, tutto quello che ho fatto è prendermi cura della libreria»
C’è una libreria, a New York, che è per me un piccolo, autentico “luogo dell’anima”. Si chiama Strand boockstore, e si trova proprio sotto Union Square, tra Broadway e 122th street: là dove nasce l’East Village. Nei suoi cavernosi labirinti, lungo le pareti tappezzate di libri, mi sono immerso e perso molte volte, e sempre sono tornato alla luce stringendo al petto prede straordinarie: dai vecchi fumetti di Dick Tracy, dalle avventure di Pogo the Opossum e Crazy the Cat, fino a una polverosa traduzione inglese della Vita di un rivoluzionario di Victor Serge.
Capirà questo luogo dell’anima chi come me ama appassionatamente i luoghi dei libri. E capiranno dunque – questi miei laici correligionari – il mio omaggio al padre di tutte le librerie: Lawrence Monsanto Ferlinghetti, che proprio in questi giorni ci ha lasciato orfani, salutando il pianeta alla clamorosa età di 101 anni.
Ferlinghetti era, tra tutte le sue molteplici incarnazioni, una sorta di indomito cappellaio magico dei libri, e la sua luminosa tana – di volta in volta museo, chiesa, palazzo, rifugio, teatro, orchestra – si chiama oggi City Lights Boocksellers & Publishers, e si trova nel quartiere North Beach di San Francisco, al 261 di Columbus Avenue all’angolo con Broadway. Come una roccia indomita esposta a vento e maree, l’antica libreria sta lì da sempre, cioè dal lontano 1953, quando questo omone alto e bello, orfano felice e giramondo, mezzo americano e mezzo italiano, mezzo francese e mezzo zingaro, decise di farne la casa sua e dei suoi amici.
Gli amici di allora erano i beats, ovvero la beat generation: una straordinaria generazione di artisti, poeti, scrittori, musicisti, provocatori che nei decenni ha dato il suo nome a uno sfolgorante pezzo di storia del costume americano e mondiale. Da Allen Ginsberg a Gregory Corso e Jack Kerouac, da Michel McClure a Neal Cassady, da William Burroughs a Peter Orlovsly, da Gary Snyder a Richard Brautigan: quei ragazzi capelluti e sfacciati che si riunivano nelle stanze anguste del City Lights e consideravano Lawrence Ferlinghetti un loro autentico fratello di sangue.
La storia è nota, e sono noti anche gli episodi: fin dalla denuncia e dall’arresto per diffusione di oscenità che Ferlinghetti rimediò dopo aver pubblicato il capolavoro di Allen Ginsberg: Howl and Other Poems. Era il 1956, e all’America del boom economico che si candidava al ruolo di “poliziotto buono” del pianeta, un ragazzotto imberbe aveva l’ardire di gridare in faccia queste parole: «Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa…».
Ci voleva del coraggio a scriverlo, e ci voleva coraggio a pubblicare anche la dedica a Neal Cassady, «eroe segreto di questi versi, amatore e Adone di Denver, gioia alla memoria delle sue innumerevoli scopate di ragazze in parcheggi vuoti e sgabuzzini di tavole calde». Così è un giusto riconoscimento il titolo di un lungo e affettuoso articolo del New York times, che definisce Ferlinghetti The poet who nurtured the beats: «Il poeta che nutrì i beat».
Perché di nutrimento si trattò: per oltre sessanta anni, attraverso poesie, libri, guerre, tradimenti, fughe, ritorni, successi lutti e delusioni. Le foto, più che le parole, sono a volte il vero specchio dell’anima. E le foto – centinaia di foto – ce lo mostrano sempre attorniato dai libri: negli anni Cinquanta, un giovane energico che legge a voce alta, in piedi, circondato dai compagni attenti. Negli anni Settanta: un uomo solido, barba curata, cappelluccio di astrakan e occhi sognanti. Per una sua visita in Italia: alto, imponente, attraversa la strada a larghe falcate. Nel nuovo secolo: un anziano sorridente, folta barba bianca, grande cappello a coprire la calvizie.
La storia di Ferlinghetti è la storia della sua libreria. Non gli piaceva essere chiamato poeta, anche se nel 1998 fu insignito del titolo di primo poeta laureato di San Francisco, e nel 2005 la National Book Foundation ebbe a premiare «il suo instancabile lavoro di oltre cinquanta anni a sostegno dei poeti e della intera comunità letteraria».
Negli ultimi anni, come tutti gli anziani, amava ricordare i tempi della gioventù: «Quando arrivai a San Francisco, nel 1951, portavo un basco. Preferisco pensarmi come l’ultimo dei Bohèmien piuttosto che come il primo dei Beats…». E sul tempo che passa, con un pizzico di civetteria: «Si dice che più si invecchia e più si diventa conservatori. Mi sembra che a me succeda tutto il contrario…». E infine, quasi a compendio di una vita: «In qualche modo, tutto quello che ho fatto è prendermi cura della libreria». Il posto dei libri: City Lights di San Francisco come tutte innumerevoli librerie del pianeta sono un luogo magico: una zattera salda nella corrente tumultuosa dei giorni. Lo aveva capito Lawrence Monsanto Ferlinghetti, che ha attraversato il secolo con leggerezza, curiosità ed entusiasmo. Del resto, «il mondo è un posto bellissimo in cui nascere, se non ti dispiace la felicità».