“Versi d’amore” a cura di Lucia Dell’Aia
I nodi d’Ariosto
La donna non più come tramite di perfezione morale o spirituale, piuttosto per gli aspetti naturali dell’amore che incarna ispirando passione. Così, l’autore dell’“Orlando Furioso” si lega alla sua Alessandra per gli abbracci sensuali, la gelosia, le dolcezze, i turbamenti, la nostalgia…
Forse l’immagine più presente nei canzonieri del Rinascimento è la descriptio puellae. Topos già diffuso nella poesia latina che trova in Petrarca, e nella sua Laura, l’aureo archetipo in lingua volgare. Lucia Dell’Aia ha ora raccolto in un elegante volumetto per i tipi di Internopoesia un’antologia di brani poetici scritti da Ludovico Ariosto per la sua amata Alessandra Benucci: «luminosa come la terra pugliese in cui era nata; combattiva come l’eroina Bradamante del suo poema (l’amazzone allo stesso tempo donna gentile e fedele); bella come la nuda Olimpia legata alla roccia». Il rapporto tra il poeta e Alessandra ebbe però un percorso difficile. Infatti la donna era sposata col mercante Tito Strozzi, ed ebbero sei figli; la coppia si era conosciuta a Barletta arrivando intorno al 1500 a Ferrara dove iniziò a frequentare l’aristocrazia, la corte degli Estensi e dunque il già affermato Ariosto. Nel 1514 Tito Strozzi ottenne un impiego stabile presso l’amministrazione ducale ma poco tempo dopo, nell’ottobre del 1515, morì. A due anni prima – in una Firenze in festa per la recente elezione di Leone X – Ariosto fa risalire il suo innamoramento per Alessandra, come ci ha lasciato scritto nella famosa canzone Non so s’io potrò ben chiudere in rima. Una passione vissuta clandestinamente che durò per il resto della sua vita, coronata da un altrettanto segreto matrimonio.
Nella silloge intitolata Versi d’amore (117 pagine, 12 euro) sono riuniti trenta componimenti di varia provenienza, soprattutto ripresi dalle Rime e dal Furioso ma in apertura abbiamo la traduzione del LIV dei Carmina: De diversis amoribus. In ognuno vi aleggial’autenticità di un sentimento vero vissuto tra dubbi, pentimenti e tremori; eppure l’immagine di Alessandra è solo evocata, o vi si accenna in modo allusivo, oppure appare sotto mentite spoglie, come accade nel capolavoro cavalleresco.
La sapiente descrizione delle forme del corpo, dei colori dell’incarnato, della luminosità degli occhi rivelano l’attrazione del poeta per la bellezza femminile. La donna non è più come nei secoli precedenti elemento di perfezionamento morale o spirituale, perché Ariosto rivaluta gli aspetti immediati e naturali del fenomeno amoroso: la passione, il piacere, il turbamento, la dolcezza, la lontananza, il dolore, la gelosia. Gli episodi cantati si colorano di reminiscenze classiche, Omero, Ovidio, Virgilio, unite a una memoria cortese, ma principalmente di un’audace ironia di cui Ariosto è maestro. Tra i simboli più ricorrenti ci sono i nodi, talvolta compaiono come «aurei crespi nodi» delle chiome, oppure più arditi e «complessi iterati» a cingere fianchi, petto e collo degli amanti come quelli dell’edera e dei rami d’acanto, ma anche i mille che intrecciano i nomi di Angelica e Medoro portando Orlando alla follia. Una casistica varia e avvincente di nodi che da emblema di un legame di schiavitù dell’amante verso l’amata sfocia in liberi e gioiosi giochi di abbracci sensuali.
Ogni composizione è introdotta da una documentata e attenta descrizione della curatrice che già alla fonte plutarchea in Ariosto aveva dedicato una monografia stampata dall’editore Carocci nel 2017.
Nell’immagine: Simone Peterzano (1540-1599), “Angelica s’innamora di Medoro”