Pier Mario Fasanotti
Ancora a proposito di "Cuore di furia"

Tripe e le furie

Il nuovo libro di Romana Petri è un bellissimo romanzo sulla scrittura e sulla potenza dell'ispirazione. La comparsa in filigrana della figura di Gadda serve a cogliere il tormento dell'atto creativo

Secondo il dizionario, il termine “straordinario” ha come significato “fuori dall’ordine”. Ed ecco il punto: applicato alla letteratura, significa che il linguaggio di un testo si scosta – di molto – dalla lingua basica che il più delle volte significa banale e sciatta. Romana Petri, ha scritto molti pregevoli libri. L’ultimo però è diverso dagli altri. S’intitola Cuore di furia, edito da Marsilio (152 pg., 16 euro, clicca qui per leggere la recensione di Valentina Fortichiari). L’inizio: un giorno Jorge Tripe, di Barcellona, ha preso troppo sole oppure, o anche, è rimasto tramortito in una piazza per le botte dei falangisti. Ripensa alla sua vita e con calma lascia moglie e figlia (due anni) per intraprendere, su un trattore non suo, un viaggio che lo conduce a Siviglia. Si rifugia in un magazzino di granaglie, «e lui ci visse e in quell’odore di vita quieta gli venne gran voglia di lettura». Per dieci anni frequenta la fantasia, un libro dopo l’altro, «divenne un erudito come pochi, e tanto si trasformò nel corpo che si fece pingue e dissestato nella colonna vertebrale, e perse una grande quantità di capelli che cercò di equilibrare lasciando che gli crescessero un paio di baffetti castorini sopra due labbra ammorbidite e scure come carne andata a male… e alla fine trasse un sospiro lungo che pareva trapassarlo in chissà quale altro mondo, e disse ora scrivo io».

Romana Petri si alza in volo con la sua prosa straordinaria, sempre coerente e affascinante. I temi preferiti da Jorge: il nulla e la morte. Con quel corpo fatto a pera, comincia a scrivere un libro. «Ogni capitolo ebbe un numero infinito di stesure postillate di varianti, ogni variante la sua strada lardellatio, e ogni aggiunta poi tolta e ciò che venne tolto fu poi ripristinato con lessico diverso. Insomma fu l’impazzimento sommo, fu la sua rivoluzione». Finito il libro si rivolge ad Arroldez dal viso pieno di croste, un piccolo editore al quale offre la sua opera. L’editore gli chiede che cosa abbia scritto, e Jorge risponde di aver fatto un romanzo «anzi molti in uno». Gli affida il manoscritto «con l’imbarazzo di un uomo che ha da mostrare «cose oscene». Arroldez: un gran lavoro questo romanzo. E Jorge tiene a spiegare «Non saprei, direi piuttosto un manualetto, una pratica e maneggevole classificazione delle angosce». A giorni di distanza Jorge Tripe riceve una lettera dell’editore, che accetta di pubblicarlo, e dice «…le auguro che gli altri le scavino la fossa il più tardi che sia possibile affinché lei possa scriverne altri. Immagino lei sappia di essere mezzo matto…mi pregio comunque di informarla che l’opera è autenticamente geniale». Jorge Tripe continua a scrivere accumulando racconti, incipit di romanzi, considerazioni personali e via dicendo. Si concede passeggiate lungo la riva del fiume Guadalquivir.

«Agli scrittori» annota Romana Petri «piacciono i fiumi, l’acqua in genere…anche un ruscelletto risecchito». Il 1965 è il suo anno: «Le pagine letterarie si riempirono del suo nome, scrissero su di lui le firme più autorevoli del mondo culturale spagnolo e presto arrivarono anche molte richieste di traduzioni da parte di editori stranieri». Autore ed editore, «anime sporche», diventano amici e talvolta consumano, allo stesso tavolo, una cena a base di butifarra alla catalana. Un giorno arriva a Siviglia Norama, la figlia abbandonata.«Ciao papà, sono tua figlia». Come reazione lo stupore e la più sgarbata delle indifferenze. La ragazza tornerà più volte a Siviglia. Prende una camera al Residential Imperial e comincia a leggere qualche pagine del romanzo del padre, propriamente un capitoletto centrale dallo strano titolo Postilla sul cervo suicida. Spenta la luce pensa:«Scegliere la morte per illusione di inferno cervesco», e provò allora a immaginarselo quel muso marrone in cerca delle autostrade del decesso…ha cominciato a suicidarsi il giorno in cui se n’è andato. Va avanti così, per lentezza, cercando chi possa accompagnarlo».

Il romanzo procede tra mille stranezze. Compare  Dolores, la compagna segreta di Jorge che diventa custode di tutti gli scritti di Tripe. A casa sua Tripe una sera muore. La donna, claudicante, spiega all’editore, curioso di conoscere la causa del decesso: «Sono state le furie, signor Arroldez. Ne aveva addosso tante che alla fine se lo sono mangiato fino all’osso. Era convinto di avere tutte le malattie di questo mondo, ma non ne aveva nemmeno una. Sono state le furie».

La seconda parte del libro, scritto sempre in modo originalissimo, con un lessico dalle influenze gaddiane, narra le stranezze della figlia di Jorge. Norama ama gli «uomini difettosi», li cura e li ama finché guariscono. E , divorata dal senso di colpa, alla fine farà il punto sul padre. Tenta di completare un altro romanzo, brevissimo, di Jorge, Afrore. Scrive sui suoi quaderni, comincia a ricomincia. Rivolgendosi alla figura paterna: «Ecco, ai tuoi occhi con questo mi riscatto».

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