Un quadro napoletano
La signorina Cetta
«La veste nera e corta della signorina Cetta delineava l’ossatura piccola e i fianchi sformati. I capelli lunghi lattiginosi con qualche striscia nera le scendevano sul volto rugoso e incipriato con gli zigomi rosati...»
La signorina Cetta abitava in un seminterrato in Via Pigna all’Arenella nel palazzotto abusivo in cemento rosso costruito negli anni Ottanta attaccato al terrapieno fangoso della collina. Le strette bocche di lupo davano sotto il parcheggio del gommista Salvatore e figli limitato da un alto cancello verde che separava la proprietà dai ripidi tornanti della strada principale. Non passavano macchine sulla strada durante i giorni di lockdown. Il virus toglieva l’odorato agli infetti ma pure l’aria pareva più pulita. Dentro, la vegetazione verde scuro si mischiava a vetri di bottiglie e buste stracciate di spazzatura. A fare la guardia c’era un cane bastardo simile a un bulldog non molto grande ma di corporatura massiccia. Era maschio ma lo avevano chiamato Floriana, una tizia dal fare mascolino che partecipò al Grande Fratello, per il muso corto e i canini bassi sporgenti che gli davano un aspetto aggressivo, insolente.
– Chi state cercando signora? – mi domandò il gommista mentre si puliva con un panno le mani sporche di grasso. C’aveva la mascherina chirurgica sotto al mento, pure quella consumata dal catrame e dall’olio.
– Sono Sara, l’agente immobiliare del signor Bonaiuti… il proprietario del seminterrato. Mi sapete dire da dove si entra? Mi ha detto che c’è l’inquilina che mi aspetta… Cetta… – risposi dall’uscio del cancello.
– Ah… avete appuntamento con la signorina? Mò non so se è libera… perché ho visto un cliente che è entrato un quarto d’ora fa. Di solito mezz’ora e escono, non vi preoccupate. Intanto vi apro e potete aspettare qua dentro il parcheggio. Il tempo che vi fumate una sigaretta…
Entrai e fui assalita dalle grida vivaci di quattro bambini a dorso nudo e pantaloncini che giocavano a pallone nel grande cortile, tra le auto parcheggiate.
– Sono i miei nipoti… scusate ma il pomeriggio dopo la scuola stanno sempre qua con me – fece.
I ragazzini cominciarono a girarmi intorno eccitati della mia presenza. Uno s’arrampicava sul tronco di un albero per poi restare in piedi su una tettoia arrugginita di un piccolo prefabbricato dove c’erano gli arnesi da lavoro. Aveva le braccia incrociate e mi fissava con occhi di sfida. Faceva ondeggiare con i piedi quella copertura che a guardarla pareva d’amianto e lentamente si avvicinava all’estremità quasi si volesse buttare dai tre metri d’altezza, in equilibrio ora con una sola gamba.
Feci qualche passo verso di lui come per istinto, allungai le braccia per riuscire a prenderlo. Ma mi diede le spalle e si lanciò in due scatti, aggrappandosi prima al tetto con le mani, il corpo penzoloni e poi giù in una fulminea corsa verso i fratelli.
Un uomo sulla quarantina, brizzolato e rosso in faccia, saliva le scale che portavano a una porta stretta; lo osservavo mentre era impegnato a frugare nervosamente nelle tasche della giacca blu. Il suo volto rivelò compiacimento quando tirò fuori una fede d’oro giallo che s’infilò all’anulare della mano sinistra e rapido uscì dal cancello.
– Signora, andate andate! La porta è quella là… – disse l’uomo, indicando la porticina d’alluminio bianca con ai lati due piante di garofani rossi.
Lo ringraziai, spensi la sigaretta per terra e bussai. Nessuno rispose. Provai ad abbassare la maniglia.
– È permesso? Signora Cetta, posso entrare? Sono Sara l’agente immobiliare del signor Bonaiuti.
– Entrate pure… Mi sistemo e arrivo! Voi intanto accomodatevi pure sul divano. – fece gentilmente con voce profonda e sicura.
Mi ritrovai nel piccolo ingresso: un mobiletto antico era appoggiato al muro ocra con appeso al chiodo un grande specchio. Sulla sinistra, una camera con la cucina e il divano nero in pelle. Una luce debole proveniva da due alti finestroni da dove si intravedevano le ruote delle macchine, si mescolava al riverbero rosso della lampada etnica appoggiata sul comò. Tante stampe incorniciate coloravano l’ambiente. Riconobbi un Modigliani e mi fermai in piedi a guardarlo. Un nudo integrale e formoso di donna disteso su teli rossi e azzurri. Il volto dipinto, dai lineamenti pesanti su un collo slanciato.
– Sapete… ci stava un mio cliente che gli piaceva assaje farmi le fotografie. Era fissato. Una volta mi fece una foto proprio così, come nel quadro.
Sussultai nel sentire quella voce dietro di me e mi voltai.
La veste nera e corta della signorina Cetta delineava l’ossatura piccola e i fianchi sformati. I capelli lunghi lattiginosi con qualche striscia nera le scendevano sul volto rugoso e incipriato con gli zigomi rosati. La bocca vermiglia contornata da una matita scura la faceva sembrare più rigogliosa. Con enfatica femminilità accarezzava il foulard di seta verde che le celava il collo grosso, all’altezza del vistoso pomo d’Adamo.
– Ma accomodatevi pure… Vi faccio un caffè?
– Come se avessi accettato. Il signor Bonaiuti vi ha detto vero che deve vendere casa? Gliela devo valutare. – le dissi mentre mi sedevo sul divano.
– A stento riesco a pagare le bollette e la pigione. Con questo virus i clienti sono assai diminuiti. Sto qua da vent’anni. Mi dispiace andarmene ma che ci posso fare? Sto pure così… non ho un contratto con lui, lo pago a nero.
L’odore di sudore nella stanza si attaccava ai muri, sulle mani che continuavo a sfregare. Alzai lo sguardo. I ragazzini ci spiavano accovacciati a terra, sopra i lucernai.
– Stanno sempre a guardare. Gli piace. Soprattutto quando entrano i clienti. Che volete… a questa età possono solo vedere. – mi fece. Deglutii e una vampata di rossore mi prese al volto. Afferrò il manico di una scopa e cominciò a scacciare i ragazzini infilandola ripetutamente nelle fessure delle finestre. Urlava frasi in un dialetto stretto che facevo difficoltà a comprendere. I bambini scapparono via sghignazzando e insultandola:
– Puttana! Femminiello!
– Ci fosse stato il mio fidanzato non si sarebbero azzardati. Lo avete visto il mio uomo? È uscito prima da casa mia. Lui mi vuole bene. Mi ha promesso che lascia la moglie per andare a vivere io e lui da soli. Ho sempre desiderato di lasciare il lavoro e dedicarmi alla persona che amo. Oramai sono dieci anni che stiamo insieme! Comunque, se non vi dispiace intanto che vedete casa io mi metto comoda ché per oggi ho finito.
Un piccolo disimpegno divideva la stanza dall’angusta camera da letto. C’erano molti specchi, anche uno grande sul soffitto. Ai piedi del materasso su cui poggiavano pezzi di stoffe scure, stivali neri dai tacchi vertiginosi e l’immagine di una Madonna piazzata al centro della parete dietro al letto. Aprii l’armadio a muro: su una mensola c’era una bottiglia di plastica bucata a un lato con una cannuccia infilata dentro. E sopra, la carta d’alluminio bruciata con residui di quello che doveva essere crack. Intravidi il bagno minuscolo e una tazza da caffè con dentro uno spazzolino. Ritornai nella stanza quando si mostrò davanti a me completamente spogliata con solo un reggiseno nero: il suo sesso grande stonava con la corporatura minuta e magra. Si stava tirando su un paio di mutande verdi.
– Mi scusi… non pensavo…
– Signorina, ch’è, c’avete vergogna? – scoppiò in una forte risata. Un’enorme tristezza superò l’imbarazzo. Le dovevo trovare una nuova casa, pensai.
La salutai dicendole che sarei tornata la mattina dopo con il proprietario per giungere a un accordo perché la casa fosse libera per la vendita. Forse una buona uscita in danaro per lei sarebbe stata la soluzione migliore per poi prendere un nuovo alloggio. Appena fuori mi venne incontro Floriana. Mi saltellava intorno scodinzolando. Fu richiamata con un fischio da uno dei nipoti del gommista, e si allontanò.
L’indomani scesi alla fermata dell’Arenella con la navetta. Una folla rumoreggiava fuori del cancello aperto. Un’ambulanza con i lampeggianti accesi bloccava il traffico. Il compagno di Cetta parlava animatamente con un poliziotto. Tra la gente, il signor Bonaiuti fumava il sigaro. Mi avvicinai:
– Signor Bonaiuti, ma che è successo?
Non ebbe il tempo di rispondermi che mi saltò addosso il nipote più piccolo del gommista, visibilmente esaltato.
– L’ho trovato io! Sono stato io a trovarlo! – urlava.
– Che cosa hai trovato?
– Il pisello della signorina! – e fuggì via confondendosi tra la gente.
Cercai lo sguardo dell’uomo per provare a capire.
– Sono arrivato da poco anch’io. Ancora non ci posso entrare a casa mia. Il corpo della signorina sta ancora là. Non si è potuto fare niente per lei… Quando l’ambulanza è arrivata era già morta. Bisogna aspettare la scientifica anche se ha detto l’amante che si è trattato di suicidio. Se l’è tagliato davanti a lui dicendo che “ora era diventata donna solo per lui”. Io lo dico che questi ricchioni non stanno bene con la testa.
Rimasi impietrita. Le mani mi tremavano mentre accendevo una sigaretta. Vedevo chiaramente le due figure oltre la finestra bassa. Cetta che affilava la lama del coltello nel bagno, con la vecchia tazza da caffè in ceramica capovolta. La strofinava con forza e l’appoggiava su un dito che subito prendeva a sanguinare. Rientrava nella stanza nascondendo l’arma dietro la schiena e si stendeva sopra il corpo nudo dell’amante che eccitato giaceva sul divano. Gli occhi e la bocca di lui coperti da due bende nere legate strette. Prendeva in mano il pene e con l’arma sottile cominciava a segarselo brutalmente come si sgozza un maiale. Grida e conati di vomito mentre le mani si sporcavano di sangue, per terra la pozzanghera rossa che diventava sempre più larga…. Il pavimento che si disegnava di venature che scorrevano in un flusso lento fino a raggiungere il muro di fronte…
L’uomo col sigaro intanto mi stava dicendo: – Signora Sara, adesso che non c’è più il problema dell’inquilina possiamo anche abbassare il prezzo della casa. Visto che non devo far uscire altri soldi per liberarla. A proposito… Quanto me l’ha valutata?
Le immagini sono di Salvatore Esposito.