Nicola Bottiglieri
Vivere al tempo del Covid

L’ultimo alchimista

Il vaccino anti-covid ha assunto un valore simbolico: tutti ci chiediamo se nelle boccette l’«unguento» lo ha messo una fata o una strega. Tutto questo è anche il frutto di secoli di rapporti (difficili) tra immaginario popolare e scienza

La figura del mago ha attraversato i secoli, come il suo omologo femminile che è la fata, ma se il mago usa la magia, ossia una forza soprannaturale per risolvere problemi, la fata usa le risorse della natura in modo benefico, perché se essa usasse le virtù delle erbe in modo malevolo diventerebbe subito una strega.

Il mago, figura legata ai secoli del medioevo, si trasformato in alchimista nel Rinascimento, il quale comincia ad usare i minerali, gettando le basi della chimica moderna. Ma il suo linguaggio ermetico e la dimensione misterica delle sue ricerche, oltre al fatto che molta parte dell’alchimia deriva dal mondo arabo, ha creato una distanza considerevole fra mondo della scienza e immaginario popolare. Gli alchimisti che cercavano quella pietra filosofale che doveva fornire un elisir di lunga vita in grado di conferire l’immortalità agli uomini, costituendo la panacea universale per qualsiasi malattia, somigliano molto agli scienziati moderni che nel chiuso dei laboratori cercano di creare un vaccino che distrugga il Covid che ci attanaglia.

Comunque se è a partire dal secolo XVI che inizia la sfiducia verso i “misteri” della scienza, nei secoli successivi in letteratura cominciano ad apparir figure che dànno corpo proprio a queste paure. E la paura più diffusa è che la scienza possa creare dei mostri, usando strumenti diabolici. Uno dei più inquietanti sarà proprio l’alambicco, un oggetto che compare sempre nei film nei quali viene presentato la figura dello scienziato pazzo che lo utilizza per le sue scoperte inquietanti.

Nel Faust (1808) di Goethe, il servitore di Faust, Wagner, utilizza procedimenti alchemici per creare un homunculus, nel romanzo Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde scritto nel 1886 da Robert Louis Stevenson, il bene ed il male si possono evocare a piacere a seconda se si beve un filtro misterioso, mentre nel romanzo Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez un alchimista vissuto ai tropici, chiamato Melquíades, inventa una sostanza  sconosciuta che procura scottature solo a toccarla: il ghiaccio.

Ma è agli inizi dell’800 che tutto esplode in modo moderno, cioè in forme catastrofiche e dissennate ed è quando gli studi sull’elettricità portano alla nascita dell’illuminazione durante la notte. Prima dell’elettricità vi furono i lampioni a gas, ma la luce elettrica ben presto verrà usata nelle case e nelle strade e troverà applicazioni in campi molto diversi fra loro. Oggi non si riflette mai abbastanza sul fatto che questa invenzione (parola che nei fumetti è figurata proprio da una lampadina accesa) abbia modificato il rapporto con il mondo reale sia a livello scientifico che a livello popolare. Dopo milioni di anni la luce non sarà più prerogativa della natura ma diventerà creazione dell’uomo, divenuto oramai artefice di una luce prodotta a comando. L’invenzione della luce di notte, grazie all’elettricità fu la scoperta mostruosa del secolo XIX, come altrettanto mostruosa sarà la creazione della plastica nel secolo XX, «l’unica materia che Dio non aveva creato».

Chi intuisce la dimensione catastrofica dell’elettricità sarà la scrittrice inglese Mary Shelley che nel 1818 pubblica il romanzo gotico Frankenstein o The Modern Prometheus dove si racconta di un dottore che ha rimesso in vita un mostro fatto con pezzi di cadaveri raccolti nel cimitero grazie agli esperimenti con l’elettricità, che agli inizi del secolo XIX veniva chiamata “galvanismo”. Se Dio nel libro della Genesi aveva dato vita alla creture con un soffio divino, ora sarà l’elettricità a far rivivere il corpo di un uomo assemblato con materiali scaduti. Se Prometeo che aveva rubato il fuoco agli dei fu incatenato nel Caucaso con un’aquila che gli mangiava il fegato, ora Frankenstein verrà condannato a morire con l’orribile senso di colpa di aver dato vita ad un mostro contro natura che uccide senza nessuna pietà.

Frankenstein è, quindi, la figura nata dallo sconcerto degli uomini comuni nei confronti dell’elettricità, mentre 150 anni dopo in Giappone la figura di Godzilla, film del 1954, diretto da Ishirō Honda darà forma agli incubi della bomba atomica. E sarà oramai il cinema più che la letteratura a creare un nuovo immaginario popolare legato alla scienza. Infatti, dopo la bomba atomica sarà la volta dell’inquinamento ed ecco appare Fluido mortale, Blob, un film del 1958 diretto da Irvin S. Yeaworth Jr. Ed in tempi più recenti Matrix, film di fantascienza del 1999 scritto e diretto dai fratelli Andy e Larry Wachowski, una disperata preghiera nei confronti di un mondo che l’informatica sta cambiando. Oggi la grande speranza nei confronti del Covid è rappresentata dal vaccino: quali forme narrative, sia nel cinema che nella letteratura assumerà questa materia non sappiamo.

Resta il fatto che noi tutti stiamo aspettando questa “pozione magica” che dovrebbe risolvere i drammatici problemi del mondo contemporaneo. E se le nostre speranze hanno il sapore di una “catastrofica utopia” (infatti stiamo immaginando una situazione a livello mondiale, prerogativa che l’utopia tradizionale non ha mai avuto, limitata ad essere un piccolo luogo felice, come un’isola o una città) le diffidenze che i no vax nutrono verso di esso hanno il sapore di una più assurda distopia, ossia la vaccinazione di massa creerà nel tempo un luogo inquinato dove gli uomini diventeranno dei mostri in grado di distruggersi gli uni con gli altri. Perciò è con occhi diversi che guardiamo ai servizi televisivi dove appaiono migliaia di boccette con il tappo viola trasportate da un veloce nastro verso contenitori ripieni di ghiaccio secco che garantiscono la vitalità degli ingredienti.

Migliaia, milioni di boccette piene di una pozione magica che ci ricordano quanto sia fragile il mondo nel quale viviamo, quanto la vita di un uomo sia legata a quel piccolo contenitore, quanto l’anima non è più rappresentata dal “soffio divino”, ma è il risultato di una nuova combinazione della materia, e quanto disperato sia ancora il nostro rapporto con la scienza. Tutti ci chiediamo se nelle boccette l’unguento lo ha messo una fata o una strega! E perché i maghi, ossia i virologi, i tutori di questa moderna sapienza quando parlano in televisione spesso si contraddicono! Comunque l’immagine delle boccette che corrono su un nastro veloce dirette verso la nostra salvezza è più inquietante di quanto si pensi, essa può essere il punto di partenza di una nuova fratellanza oppure la causa di una ulteriore diseguaglianza fra gli uomini.

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