Luciano Mecacci
A proposito di “Trump e moschetto"

“Ducismi” paralleli

La capacità di manovrare la comunicazione e gli intellettuali, un carisma che si esercita con i deboli e con gli amanti dell'autoritarismo, lo sprezzo per le regole democratiche: il saggio di Anna Camaiti Hoster e Enzo Antonio Cicchino mostra le similitudini tra Mussolini e Trump

La “Save America March”, la marcia per salvare l’America, finita con l’invasione e il saccheggio del Campidoglio statunitense il 6 gennaio, avrà ricordato la “marcia su Roma” del 28 ottobre 1922. O meglio l’avrà ricordato agli italiani più anziani, a differenza dei nostri millennial che a malapena sanno che in Italia c’è stato il fascismo, ma stentano – se gli viene chiesto – a localizzarlo temporalmente nel secolo scorso. Per il libro stimolante, e piacevole a leggersi, di Anna Camaiti Hostert e Enzo Antonio Cicchino, Trump e moschetto. Immagini, fake news e mass media. Armi di due populisti a confronto (Mimesis, 2020), questo evento di inizio anno nuovo sarebbe stato un notevole elemento in più per corroborare l’analogia che viene delineata tra Mussolini e Trump.

Il libro è uscito qualche mese prima, e quindi la marcia trumpista non poteva essere inclusa, e quindi esso è stato profetico più di quanto si potesse immaginare. Se ha vinto Biden stando ai criteri delle leggi elettorali degli Stati Uniti, sul piano sociologico ha vinto Trump, o meglio il trumpismo, perché da almeno venti anni (come Camaiti ha più volte messo in evidenza nelle sue opere precedenti e viene ribadito in questo libro) il social vince sul politico (nel tradizionale senso dell’espressione “il primato della politica” che oggi pochi si azzarderebbero a scrivere in un twitter).

In questi giorni abbiamo visto interviste e conferenze stampa dei parlamentari italiani che dovrebbero studiare un pochino di più Mussolini e Trump se vogliono continuare a persuadere il “popolo bue” (come sembra considerino i loro elettori) con battute e gesti della serie “meglio ridere per non piangere”. Il discorso però è più serio come ci chiariscono Camaiti e Cicchino quando fanno risaltare che quei gesti e quelle battute, l’arroganza sfacciata e l’ignoranza autocompiaciuta, il machismo, il servilismo dei massmedia e la complicità passiva o attiva dei social, il primato (qui veramente imperante) sia della distorsione deliberata sulla verità storica sia delle fakenews sulla realtà fattuale odierna, preludono a uno scenario tragico, a ciò che – avviato  con la prima guerra mondiale – si  scatenò negli anni ’20: il fascismo, il nazismo e il comunismo sovietico. Perché accostare al fascismo e al nazismo, anche il comunismo sovietico? Non tanto per correggere il collega e amico Franco Ferrarotti che, nella sua fine analisi contenuta alla fine del libro, parla a ragione di “totalitarismo imperfetto” (quello “perfetto” potrebbe realizzarsi in un futuro che è già alle porte, caratterizzato dalla “elettronica capillare” e dal “controllo capillare dei singoli individui”), non tanto per far notare che “la brutalità della polizia” fu all’ordine del giorno negli anni del Grande Terrore e nei decenni seguenti, quanto per osservare che l’uso della stampa, la fotografia, il cinema, le scenografie roboanti, ecc., furono lo strumento fondamentale della propaganda sovietica.

Il libro di Camaiti e Cicchino non si è proposto di offrire una ricostruzione storica del contesto storico in cui sono emersi i personaggi Mussolini e Trump, e per una semplice ragione ben chiara agli autori: nel caso del dittatore italiano la bibliografia è enorme e le interpretazioni sono numerose e, seppure in grado di farlo per la loro preparazione e competenza, Camaiti e Cicchino avrebbero dovuto scrivere un’opera con tutt’altra impostazione; nel caso del presidente statunitense decaduto in questi giorni, manca appunto quel minimo di distacco temporale che consenta un’analisi non contaminata da scelte politiche e anche da gusti e simpatie personali. Invece Camaiti e Cicchino si sono proposti di individuare in Mussolini e Trump i tratti di personalità e la strumentazione sociopsicologica che li accomunano al di là del contesto storico in cui hanno vissuto, che hanno permesso loro di veicolare i fermenti sociali e politici della loro epoca e che hanno dato loro (e ai loro famigliari) uno strapotere personale. Lungo questa dimensione sociopsicologica i capitoli centrali trattano la questione della ricerca del consenso e la sua indubbia conquista (che va dall’acclamazione delle folle all’acquiescenza degli intellettuali e al fascino sulle donne). Mi limito a brevi considerazioni su questi aspetti perché mi sono più familiari rispetto ad altri, come per esempio la “concezione geopolitica” seppure non meno fondamentale per comprendere lo stile di pensiero dei due personaggi.

In un recentissimo video si è visto un parlamentare italiano, notoriamente equilibrato, che – intervistato sullo strappo politico esibito da un suo collega il 13 gennaio scorso – afferma che il problema non è lo stra-ego del soggetto in questione, ma chi gli va dietro. A sentire queste parole mi è venuto a mente subito un altro video visto pochi giorni prima (facilmente rintracciabile su youtube): Trump con il suo staff sta guardando tranquillamente (almeno così si mostra) su uno schermo gigante l’assalto al Campidoglio, come se fosse un videogioco, mentre il figlio stralunato inneggia alla rivolta e la sua consorte balla sulle note di “Gloria” e urla scalmanata “fight”. Ecco, il libro di Camaiti e Cicchino ci invita a riflettere proprio sulle ragioni per le quali ci fu il famoso “consenso” per il Duce e per le quali Trump ha avuto quasi la metà dei voti nelle ultime elezioni. Se stiamo alle ricerche di psicologia della politica (a mio avviso, lo studio teorico e empirico più documentato è Personalizing politics and realizing democracy di Gian Vittorio Caprara e Michele Vecchione, Oxford University Press, 2017), una “personalità democratica” e una “personalità autoritaria” costituiscono una organizzazione psicologica individuale che dipende da una combinazione di fattori genetici e ambientali e che trova sbocco in forme più o meno vincenti sul piano della autorealizzazione personale a seconda di fattori economici, sociali e politici che sono compatibili con l’una o l’altra personalità.

Nel contesto dell’attuale crisi della globalizzazione, una situazione socioeconomica aggravata dalla pandemia, il richiamo di un sistema totalitario è forte ovviamente in chi ha una “personalità autoritaria” (sono forse pochi coloro che guardano come modello alla Cina? al paese che ha fatto arrestare una giornalista perché si è occupata del covid, perché “hai visto lì come si fanno i lockdown? mica come da noi”). E limitandomi al contesto italiano, perché non conosco quello americano dell’epoca che ci ha regalato Trump, voglio aggiungere un’osservazione. Quando nel 1931 Mussolini impose il giuramento ai professori universitari, come si sa furono poco più di dieci quelli che si rifiutarono. Quando nel 1938 furono emanate le leggi razziali e i professori ebrei dovettero sull’istante lasciare l’insegnamento e rimanere senza stipendio, ci fu la fila dei professori cosiddetti di razza ariana, un tempo amici o allievi dei colleghi liquidati, per prendere il loro posto (ogni qualvolta si ricorda la vergogna delle leggi razziali, si dovrebbe fare l’elenco anche di questi docenti che si giustificarono sostenendo che non si potevano lasciare vacanti quelle cattedre; meno male che non dissero che “tenevano famiglia”). È vero, come si ricorda nel libro, che alla Enciclopedia Italiana non collaborarono intellettuali del calibro di Benedetto Croce, Luigi Einaudi o Giuseppe Lombardo Radice, ma il numero di chi vi scrisse è talmente alto che il paragone con chi non aderì non regge (si pensi solo a Enrico Fermi che fu direttore della sezione di Fisica fino all’ultimo volume del 1937; poi arrivò il 1938 e Fermi, il cui prestigio scientifico glielo permetteva, si trasferì negli Stati Uniti).

In primo luogo il libro di Camaiti e Cicchino ci spinge a riflettere criticamente sul ruolo degli intellettuali, sulla malia che il potere esercita su di loro e su come facilmente essi si adattino alle sue rapide mutazioni. Oggi la funzione degli intellettuali per garantire la sopravvivenza di una società democratica e il rispetto dei diritti umani è fondamentale perché solo loro sono in grado di districarsi nel caos dell’informazione dei social e fornire una rappresentazione trasparente, oggettiva, della realtà sociale e politica. Più che fermarsi, documentarsi e consegnarci una narrazione sistematica e compiuta di questa realtà, ci inondano di articoli effimeri e instant book, imitando (lotta impari) quegli stessi social che dovrebbero arginare. In questa auspicata direzione si sono mossi Camaiti e Cicchito: non uno scoop giornalistico, ma un libro su cui meditare.

Il libro termina con un capitolo sul rapporto di M & T con le donne. Un argomento scabroso. Perché bisognerebbe farne anche in questo caso una questione di gradi e forme di consenso (da parte della donna rispetto all’uomo di potere). Se ci fermiamo ai nostri due personaggi, basti considerare che, nel caso di Mussolini, Rachele e Claretta hanno “convissuto” nonostante gli apparenti dissapori; e che, nel caso di Trump, Melania non ha finora divorziato nonostante le apparenti esternazioni di dissapore politico dal coniuge. Non so per il Trump attuale, ma per il Mussolini – come si legge anche nel libro – vi era la fila per (scusate il termine, ma è quello più azzeccato) una “sveltina” per il Duce, e non credo che anche quelle signore lo facessero “perché tenevano famiglia”. Qui il discorso mi si complica e preferisco evitare di dare una interpretazione psicologica della scena che ci viene rappresentata su quello che succedeva a Palazzo Venezia. Sicuramente ogni lettore e ogni lettrice saprà farlo autonomamente.

Va aggiunto che il libro è corredato da due illuminanti interviste sui populismi vecchi e nuovi: una, già ricordata, al sociologo Franco Ferrarotti e l’altra all’ambasciatore Robert J. Callahan.

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