Pier Mario Fasanotti
A proposito de “La famiglia in disordine”

Disordine familiare

La psicoanalista e storica Elisabeth Roudinesco analizza le trasformazioni dell'istituzione familiare nel corso del tempo. Fino alla crisi di oggi, fatta di dissoluzione dei ruoli tradizionali, da quello dei padri e quello dei figli

La famiglia: nulla di più strano, nulla di più contorto in tutta la sua evoluzione. Entro i limiti del rigaggio di una segnalazione giornalistica come questa, la sua storia va raccontata, anche se in modo necessariamente frammentario. Partiamo da una delle tante normative che stanno sotto quella metaforica statua senza la quale il mondo o non ci sarebbe, così come oggi lo conosciamo, oppure sarebbe molto diverso. Nel 1999 la Francia consente a coppie omosessuali o eterosessuali di legalizzare la loro unione con un contratto specifico, senza però dare diritto all’adozione di bambini o alla procreazione medicalmente assistita.

L’egualitario tricolore di Parigi sventola anche altrove. Con le debite varianti. Il cambiamento che riguarda il ruolo padre, della madre e dei figli è stata squassante secondo gli antichi parametri. Nel 1973 la rivista Recherchches (francese) dava alle stampe un numero speciale informando che nel mondo esistevano almeno «tre miliardi di perversi», precisando che «la macchinazione omosessuale entra in rottura con qualsiasi forma di adeguamento possibile a un polo parentale ben identificabile», e ancora: «…diciamo semplicemente che l’omosessuale può diventare uno dei punti più importanti di rottura libidinale nella società, uno dei punti di emergenza dell’energia rivoluzionaria capace di esprimere un desiderio da cui la militanza classica resta disconnessa. Eppure non perdiamo di vista anche una follia di asilo infinitivamente spiacevole, o una omosessualità infinitivamente vergognosa e miserabile». Chi sono i firmatari, si chiede la psicoanalista e storica Elisabeth Roudinesco? Così si risponde: «Gli eredi della lunga storia della razza maledetta, magnificamente incarnata ai loro occhi da Oscar Wilde, Arthur Rimbaud, Marcel Proust». Roudinesco, l’autrice di questa profonda e documentatissima ricerca (La famiglia in disordine, Meltemi editore, 202 pg., 16 euro), non dimentica che pensatori come Platone e Campanella sognavano una possibile abolizione della famiglia.

Il conservatorismo familiare rifiutava la diversità, figuriamoci quella legalizzata. Oggi osserviamo – sia pure non così diffusamente – che la voglia di una nuova normalizzazione si è estesa «e pare abbia avuto per contropartita non la proclamazione di una rottura con l’ordine stabilito, ma una forte volontà di integrazione a una norma un tempo vilipesa e fonte di persecuzione». Ben venga, detto con altre parole, il ritorno all’ordine, sia pure diverso. Inevitabile constatare che il grande desiderio di normalità delle vecchie minoranze perseguitate (che spesso sfilano in modo pacchiano e controproducente, prendendo alla lettera la volontà di fare spettacolo: certo, non bastano i circoli “accademici”) è forma di confusione. E rimane altissimo il timore della decadenza dei valori tradizionali della famiglia, o addirittura dello stato, della scuola, della patria e in generale dell’autorità sotto tutte le forme. Scrive la Roudinesco: «Di conseguenza, a disturbare i conservatori di tutte le opinioni non è più non è più la constatazione del modello familiare, ma al contrario la volontà di sottomettersi». Ecco il punto nodale del problema del «disordine» citato nel titolo.  

Qualcuno sostiene che, una volta integrati, gli omosessuali diventano più pericolosi perché meno visibili. Afferma la psicoanalista e storica: «Fondata nei secoli sulla sovranità divina del padre, la famiglia occidentale, nel XVII secolo è stata sfidata dall’irruzione del femminile. Con l’avvento della borghesia, si è trasformata in una cellula biologica che accordava alla maternità un posto centrale». Se si analizza bene l’analisi che fece Freud delle figure di Edipo e Amleto, si capisce che lì «si avviò un processo di emancipazione che permise alle donne di affermare la propria differenza, ai bambini di essere guardati come soggetti (finalmente!, ndr) e agli “invertiti” di normalizzarsi. Questo movimento generò un’angoscia e un disordine precisi, legati al terrore dell’abolizione della differenza dei sessi, con, alla fine, la prospettiva della dissoluzione della famiglia». L’autrice annota acutamente che stiamo assistendo «alla nascita di un’onnipotenza del “materno”. Sono cambiati i ruoli del padre e della madre. Ma procediamo per capitoli.

Pablo Picasso, “La famiglia del saltimbanco”, 1905

L’uomo. Secondo l’antropologo Claude Lévi-Strauss, la famiglia, «poggiando sull’unione più o meno durevole e socialmente approvata di un uomo, di una donna e dei loro bambini, è un fenomeno universale, è presente in tutte le società». Non esistono altri modelli, quindi. Se a reggere la famiglia è l’unione sessuale dell’uomo e della donna, subentra un’altra “legge” che non ha alcun fondamento biologico: il passaggio dalla natura alla cultura. E, questo, un punto nodale con cui fare i conti. Ossia con una sorta di disordine, o più propriamente del rischio di anarchia. Aristotele era in disaccordo con Platone: la famiglia-comunità è un “oikos” (propriamente “casa”), che serve alla base della città (polis). La famiglia così come oggi la conosciamo oggi in Occidente è il frutto di una lunga evoluzione. Un tempo, per esempio, la famiglia era per così dire naturalmente allargata, era un gruppo che includeva altri parenti, vicini di casa, domestici (un costume tipicamente medievale, epoca che curiosamente è stata anticipatoria di molti fenomeni di aggregazione).

Il padre. Il suo declino ha origini antichissime, ben interpretate dai miti greci. Nata dal Caos, Gaia, ovvero la Terra universale o Terra Madre, partorisce Urano, il cielo stellato che non riesce a dividersi da lei, obbligandola così a conservare nel suo grembo i bambini, ossia i Titani. L’ultimogenito, Crono, l’aiuta a liberarsi. A causa di un atto violentissimo, Urano «seziona le parti sessuali con un’accetta. È la prima castrazione, per la quale nascono. la Discordia (Eris) e l’Amore (Eros). Crono si accoppia con Rea, ma Gaia lo ha avvisato che sarebbe stato detronizzato da uno dei suoi figli. Allora lui li divora tutti. Tra questi Zeus, ultimo nato di Urano, va in esilio. A Crono viene fatto ingoiare un veleno (pharmakos) che lo fa vomitare tutta la sua progenie. Scoppia la guerra tra i Titani. Vince Zeus, che instaura il regno degli Olimpi e separa il mondo divino da quello mortale. È da questo momento che nasce la tragedia degli uomini, messi a confronto non solo con gli dei (immortali) e con il destino, ma con loro stessi: passione, liti e morti.

Freud, nel 1900, traspose questo mito e ne fece la rappresentazione di un declino “necessario” dell’antica tirannia patriarcale. Secondo la psicoanalisi la concezione della famiglia si sorregge sull’omicidio – vero o metaforico – del padre per mano del figlio, sulla rivalità tra i due e, infine, sulla necessità per le figlie di emanciparsi sessualmente dall’oppressione materna. Un femminismo ante-litteram, dunque. Freud appose alcune correzioni alle sue teorie, fatto sta che rimase saldo «il famoso sogno dell’unione sessuale con la madre». Un sogno universale. Sempre ancorandosi al mito di Edipo, Freud ne fa l’emblema di un giovane nevrotico, colpevole del proprio desiderio, responsabile dei suoi fantasmi. «È legittimo affermare – scrive l’autrice – che Freud abbia reinventato Edipo per rispondere in modo razionale al terrore del femminile e all’ossessione dell’annullamento della differenza sessuale che aveva colto la società europea di fine secolo, nel momento in cui a Vienna si indebolivano la potenza e la gloria delle ultime monarchie imperiali». Freud, attraverso Edipo, attribuiva all’inconscio il posto della sovranità perduta da Dio, il padre, così da far regnare la legge della differenza tra le generazioni. La rivalità padre-figlio, oggi più che mai valida, delinea la nevrosi del secondo, la sua solitudine.

E noi aggiungeremmo per questi ultimi decenni il dramma dell’assenza del padre, con conseguenze a volte terrificanti che ahimé possono incidere nell’esistenza in modo, vuoi pure diversificato, comunque durevoli, il più delle volte. I lacaniani, oggi in particolare Massimo Recalcati, considerano ambigua la figura del padre e insistono sulla solitudine del figlio, Telemaco, che Ulisse, tornato a Itaca, abbraccia salvo poi ripartire, lasciandolo solo.

L’irruzione del materno. Scrive Roudinesco: «Malgrado le apparenze, la donne dovevano la loro potenza non tanto alla loro femminilità quanto a un capovolgimento dell’ordine procreativo» che contribuì alla loro tanto agognata indipendenza. Rimanendo nella cronaca di quest’ultimo periodo: capita che l’uomo, non sapendosi adattare, non accetti il cambiamento psicologico e possa reagire con inaudita violenza. Basta una parola per spiegare tutto: il femminicidio, purtroppo sempre più frequente. Cosa che si può sorreggere rifacendosi a Proust, «secondo cui l’esperienza amorosa degli uomini li porta non a una fusione non con l’oggetto del loro desiderio, ma all’impossibilità di una qualsiasi unione pienamente riuscita.

Per designare questa assenza di pienezza e di complementarietà tra i sessi, che ormai nella realtà, Jacques Lacan prese a prestito da Drieu La Rochelle un’osservazione che trasformerà in un aforisma: «La donna non esiste». Non è non tutta, egli scriverà, «né una natura, né una categoria, né una totalità, né una cultura. Non è mai, per l’uomo, allo stesso momento, né nello stesso istante, ciò che si crede che potrebbe essere. Per questo sfugge a qualsiasi a qualsiasi programmazione attraverso un piacere illimitato ai confini della morte».

Certo, l’analisi dell’autrice pervicacemente rivolta ai miti per spiegare l’origine delle trasformazioni matrimoniali o comunque tra i sessi, appare crudele di per sé. Rimane il fatto, spiega sempre l’autrice, che questi cambiamenti non avevano niente a che vedere con quelli che si produssero durante la seconda metà del Ventesimo secolo. «La generalizzazione di nuove regole estetiche imposte dal mercato e l’addomesticamento standardizzato bell’aspetto fisico contribuirono, sino agli eccessi, a un’autentica rivoluzione femminile. In questo contesto, le donne si preoccuparono più della loro immagine e di assicurarsi un ruolo sociale che permettesse loro di mascherare la loro affettività – furono allora meno ribelli, nemmeno isteriche, ma assai più depresse».

Le donne si sono mascolinizzate e gli uomini si sono femminilizzati. I figli di queste donne “virili” e da questi uomini “androgeni” non sarebbero in grado di assicurarsi un’identità stabile. Ecco il dramma, più o meno vistoso, di una precisa identità. Il dramma di oggi può avere una lettura nell’ Ulisse che riparte da Itaca per un viaggio tutto suo («virtute e canoscenza» come recita Dante). Noi aggiungiamo: uomo massimamente egoista, a rischio di frantumare il mito – tutto da discutere – di un guerriero interamente a lato della decennale guerra dell’”uomo più astuto” della guerra di Troia e così affamato di conoscenza da apparire sempre virtuoso.

E i giovani di oggi, per l’assenza del padre, sono milioni di Telemaco? Che succederà? E una domanda tra le più difficili. Forse prevarrà – ma l’autrice nutre molti dubbi – una nuova regolamentazione? «Non c’è dubbio – conclude la storica-psicoanalista –: queste “invettive” devono essere interpretate come il sintomo della famiglia che sembra ancora che sembra che sembra ancora più solido che sembra ancora più solido perché si basa sulla decostruzione permanente di un modello: perplessi, angosciati infinito quanto l’umanità stessa». E noi restiamo a guardare quel che succederà tra uomo e donna. Insomma: nebbia all’orizzonte.


Accanto al titolo: “Famiglia di acrobati con scimmia” di Pablo Picasso, 1905

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