Nicola Fano
Vivere al tempo del Covid

Riaprite la cultura!

Questo non è un appello disperato, ma un invito a riaprire teatri, cinema e musei, subito. Prima di Natale. Perché la cultura non è meno essenziale dei consumi per far ripartire un paese prostrato e sempre più ignorante

Riaprite la cultura, subito! Questo non è un appello, né una richiesta disperata. È un modesto suggerimento ai signori ministri della Repubblica, prima che sia troppo tardi. Per noi e per loro. Certo, in un Paese che tiene chiuse le scuole e apre i centri commerciali invitando i cittadini a spendere ammassati tra gli scaffali, è difficile parlare di cultura. Difficilissimo. Si finisce per sentirsi superflui. O addirittura snob, a chiedere di annoverare l’arte e la cultura fra i beni essenziali di una nazione. Né serve a molto argomentare che il resto d’Europa, come noi flagellato dal Covid, ha già provveduto a rimettere in modo l’attività culturale riaprendo cinema, teatri, musei.

Il comportamento del nostro governo è stato formalmente corretto: con l’aiuto della maggioranza dei cittadini che si stanno comportando in modo sorprendentemente saggio, il premier e il ministro della Salute sono riusciti a abbassare i numeri del contagio e, pare, a decongestionare un poco gli ospedali. Che, si sa, in Italia sono pochi, mal gestiti da presunti manager scelti dalla politica e per lo più assoggettati a logiche privatistiche e commerciali che poco si addicono alla tutela della salute pubblica. Sicché è facile mandarli in tilt: ragione per la quale non si può tacere la correttezza formale del comportamento del premier e del ministro della Salute.

Tuttavia, questa pandemia ha detto parole chiarissime sulla società uscita dal berlusconismo, dal leghismo e dall’arrendevolezza di ciò che fu la sinistra in Italia di fronte alla presunta ineluttabilità del primato del denaro (costi quel che costi) certificato da decenni di politiche cosiddette “liberiste” (da che cosa ci si dovesse “liberare”, non è mai stato chiaro). La pandemia ha detto che è lecito correre rischi in nome dello shopping. E basta. Forse vale ricordare che ricostruzioni – non smentite – della discussione tra i ministri prima del varo delle misure restrittive di ottobre raccontavano di un baratto siffatto: «Se volete chiudere le palestre allora dovete chiudere anche i teatri e i cinema». E, paf!, palestre e teatri e cinema vennero chiusi. Ecco: l’Italia è un Paese la cui classe dirigente non distingue la funzione sociale delle palestre da quella dell’arte. E magari qualche cretino avrà pure commentato – lì – mens sana in corpore sano

Le restrizioni, per molti versi sacrosante, decise dal governo per il periodo natalizio sono un’ulteriore testimonianza di questa drammatica situazione (un Paese che ignora la funzione sociale dell’arte è un paese in agonia). Il governo, sentito il parere dei propri consulenti scientifici, ha ridotto a zero la mobilità dei cittadini ma ha prolungato le aperture di negozi e centri commerciali. Tutte le ricerche scientifiche che in questi mesi abbiamo potuto compulsare e studiare ci hanno insegnato che i negozi sono luoghi ideali di contagio. Perché la prossimità delle persone e la scarsa areazione degli spazi fanno sì che le stesse mascherine possano poco. Ma nei negozi si spende, e i commercianti sono la lobby più vasta e potente del nostro disgraziato Paese. Sicché le loro attività sono state tutelate: andate e comprate!, ha detto il governo agli italiani. Solo così il Paese si risolleverà.

Sì, si risolleverà, forse, ma sarà ignorante, gretto, aggressivo. E forse sarà un danno anche per i commercianti, perché poi nel regno dell’ignoranza e del cattivo gusto anche i consumi patiranno: per comprare, bisogna saper scegliere. E per saper scegliere bisogna avere qualche strumento cognitivo a disposizione.

Ma il futuro dei commercianti, francamente, non è in cima ai miei pensieri. Viceversa, io credo che il governo avrebbe dovuto dare un segnale totalmente diverso. Posto che è necessario inchiavardare le città, perché non riaprire non solo i centri commerciali ma anche – almeno! – i musei? Son sicuramente meno rischiosi dei supermercati. Se non altro perché sono meno frequentati. Ma almeno anche noi altri avremmo potuto avere qualcosa da fare. E tutti avrebbero percepito che l’attenzione di chi ci governa è concentrata non solo sulla ripartenza dei consumi, ma anche sulla ripartenza della cultura. Ché gli uni e l’altra sono indispensabili per sopravvivere.

E invece no. Invece il ministro competente si è limitato ad annunciate la nascita di una piattaforma pubblica di vendita e consumo di spettacolo. Un affare da trenta miliardi di Euro (per un terzo affidati senza gara, senza uno straccio di spiegazione, a un soggetto privato privo di competenze specifiche pregresse in ambito culturale) che avrà il merito principale, di qui a breve, di produrre posti da direttore artistico o consigliere d’amministrazione e dunque, seguendo la prassi italiana, clientele politiche. Un nuovo comitato d’affari, insomma. E invece, gentili ministri, prima di Natale fatevi un piccolo esame di coscienza e date un segnale di vera rinascita: riaprite la cultura. Fatelo anche per voi, ché, se frequentaste di più teatri, cinema e musei, sicuramente vi farebbe bene.

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