Itinerari per un giorno di festa
Resistere con le rose
L’Orto Botanico di Roma, accoccolato ai piedi del Gianicolo, accoglie i visitatori con la fioritura di Rose Tè, fiore che viene dall’Oriente e che sboccia anche a gennaio. Simbolo di resistenza a cui Nicoletta Campanella ha dedicato un libro
Aspettando il risveglio. Della Natura, di un’umanità addormentata da un virus. Il simbolo della resilienza può essere un fiore, la rosa Tè. Che riesce a sbocciare anche a gennaio, basta un raggio di sole che tocchi l’angolo di giardino dov’è piantata. Ce ne sono all’Orto Botanico di Roma, le loro corolle hanno accolto i visitatori da due settimane, allorché il “museo del verde” accoccolato ai piedi del Gianicolo ha riaperto il suo cancello al pubblico.
Un ritorno alla normalità salutato dalla presentazione di un libro pubblicato da Nicla, casa editrice romana nata attorno alla community dell’Horticolural System italiano, Rose Tè patrimonio di domani firmato da Nicoletta Campanella (collana La vie en roses, 348 pagine illustrate e con apparato fotografico, 28 euro). E infatti proprio all’Orto Botanico si trova la più consistente raccolta di questo fiore che viene dall’Oriente (deve il suo nome al trasporto dalla Cina all’Europa sulle navi della Compagnia delle Indie Orientali, zeppe di casse di tè). Ammirarlo è un motivo ulteriore per visitate un luogo carico di storia. E non ci freni l’inverno: le ombre allungate nel primo pomeriggio tenderanno presto a indietreggiare, mentre le giornate concederanno di settimana in settimana più ore di luce. Intrufolarsi tra i viali e scovare le prime gemme degli arbusti è un incoraggiamento per la stagione bella che verrà, che non può non arrivare.
Del resto l’Orto Botanico è un museo: con i suoi vivai, le aiuole recintate dai sinuosi percorsi, espone specie vegetali, come i musei d’arte mostrano pitture e sculture. Per questo è branca del Dipartimento di Biologia dell’Università La Sapienza di Roma che s’incarica di assicurare la conservazione degli esemplari cresciuti en plein air o in serra. Ma è anche un museo all’aperto della città di Roma, perché ha alle spalle una storia lunga, partita dal tempo degli antichi romani, proseguita con il fasto dei Papi. Così ci trovi, tra le piante, resti di frontoni o di colonne, marmi scolpiti, scale rococò, scenografiche fontane.
Già la fetta della città che lo ospita racconta mille facce della capitale. A Largo Cristina di Svezia – dove si apre il cancello d’ingresso ed è intitolato alla regina nordica che dopo aver abdicato venne ad abitare qui – si arriva lasciando il lungotevere di Castel Sant’Angelo e dell’Ospedale Santo Spirito e percorrendo via della Lungara, dritta e stretta sullo sfondo di Porta Settimiana, la più medievale nelle Mura Aureliane. Ecco via delle Mantellate, a ridosso del carcere di Regina Coeli. E pensi a quella canzone dolce e triste che dice: «Le mantellate so’ delle suore, a Roma so’ sortanto celle scure…». Poi trovi una targa dedicata all’ugola trasteverina per eccellenza, Claudio Villa. Ricorda che il Reuccio «ha espresso con il canto l’anima romana e nacque nel 1926 in questa strada, al numero civico 25».
Ancora qualche passo nella marcia di avvicinamento all’Orto e ci troviamo a costeggiare la Farnesina, il palazzo affrescato da Raffaello e Sebastiano del Piombo, sede dell’Accademia dei Lincei. Di fronte, l’edificio che ospita la Galleria Corsini, dipinti di grandi del Rinascimento e del Seicento. Ecco, l’Orto Botanico è incastonato qui, un tempo giardino dei blasonati palazzi, ora parco e collezione di piante insieme. All’epoca dell’Urbs era l’ager vaticanus, poi Settimio Severo vi costruì le proprie terme. Nel XIII secolo i papi cominciarono a coltivare specie arboree e vegetali usate per curare i malanni ma solo nel 1883 l’Orto Botanico fu trasferito nel giardino di Villa Corsini alla Lungara.
Le piante medicinali le ritroviamo nel suggestivo Orto dei Semplici. Ecco le ultime, profumatissime foglie di basilico, ecco i peperoncini del Sud America, ecco la tossica cicuta, ecco l’antiasmatica Epheda. Il viale delle palme è una teoria di enormi fusti che il micidiale punteruolo rosso non ha intaccato. E nel bosco sotto allo scalone monumentale di Ferdinando Fuga trovi due giganteschi alberi di parrozia persica con le foglie che svariano dal rosso al giallo e al rosa. Gli altri colori sfidano la brutta stagione incoraggiati dal clima finora non troppo freddo: il viola della lavanda, il vermiglio dei frutti di rosa canina e del corbezzolo, l’azzurro e il giallo delle bacche del mirto e del solanum. Il giardino giapponese ha il rigoglio del viburno e tutto il parco è punteggiato di boschetti di bambù. Siamo sul punto più alto, proprio sotto il Gianicolo. Il panorama squaderna le cime attorno alla Capitale: il Soratte, i monti Prenestini e Tiburtini, i Colli Albani, il Terminillo. A ridosso della veranda di Villa Corsini sbocceranno in primavera i fiori dell’agave e i fichi d’India. E torneranno a germogliare copiose le rose Tè. Le quali hanno rivelato una grande capacità di adattamento: nell’Ottocento, quando divennero di moda in Occidente, specie in Regno Unito e in Francia, erano poco inclini a sopravvivere nei gelidi inverni. Le attuali estati sempre più lunghe e siccitose le hanno invece riportate alla ribalta su archi e colonne, tripodi e balaustre.
L’icona dell’epoca vittoriana grazie al suo carattere evergreen è diventata così simbolo di resistenza proprio nella ricercatezza delle sue fioriture invernali. E l’Orto Botanico di Roma, con le serre liberty e la cascata di verde dalle mille sfumature, la sua quinta più nobile.