Omaggio a un grande classico
L’esempio di Dumas
A centocinquant'anni dalla morte Alexandre Dumas padre è ancora attualissimo. E la struttura dei suoi capolavori, "Il Conte di Montecristo" e "I tre moschettieri" resta un modello insuperato per la narrativa e (soprattutto) le serie tv di oggi
Personaggio vitale e di forte personalità, uomo generoso e con ideali, lo scrittore, drammaturgo e giornalista Alexandre Dumas, il padre dei celeberrimi ”Tre moschettieri”, dopo 150 anni dalla sua scomparsa, che cadono giusto oggi, essendo avvenuta il 5 dicembre 1870, non è mai passato di moda e ogni generazione lo riscopre e si appassiona rileggendolo.
L’ultima volta è accaduto sei anni fa, nel 2014, quando Einaudi ha pubblicato Il conte di Montecristo in una nuova traduzione di Margherita Botto, bella e impegnativa (sono oltre 1200 pagine). Non c’è infatti narrazione dei nostri giorni, corposa e a suspence come sono tornate di moda, che sia altrettanto stupefacente e possa dare la stessa soddisfazione, lo stesso piacere della lettura per le invenzioni, le sorprese, le descrizioni e la varietà dei personaggi, che si ricava da questo gran romanzo dalle ombre noir in cui non si trova un momento di noia.
Come i pervasivi noir odierni, anche Edmond Dantès, il conte in questione, era personaggio che si muoveva nella società contemporanea dei suoi lettori e l’idea nasceva proprio da un sanguinoso fatto di cronaca, così che le sue mirabolanti avventure, la sua ascesa sociale, la sua sete di giustizia che finisce per somigliare a una vendetta essendo perseguita personalmente, come il suo finale recupero di un sentimento di umanità, che è d’amore e perdono, appaiono anch’esse reali, acquistano una forza particolare per un contesto in cui chi legge si riconosce e accetta quel di inevitabilmente fantastico è insito un’opera letteraria di questo genere.
Qualcuno, in alcune di queste pagine in cui si parla anche di giochi finanziari capaci di manipolare economie e borse, di una giustizia strumentale e corrotta, dell’abuso di sostanze per superare depressioni, ha letto un ritratto della sete di denaro e potere della borghesia di allora, e può anche essere, ma nulla a che vedere con la potenza umana e sociale di quello portato avanti con costanza e capace di farsi oggettivamente critico nelle varie parti della ”Commedia umana” da uno scrittore suo contemporaneo come Honoré de Balzac, anche lui abituato a scrivere a cottimo e magari a puntate settimanali.
La realtà comunque è che, pur essendo ingiusti i parallelismi con autori divenuti grandi classici dell’Ottocento, la qualità dei romanzi di Dumas, nel senso puramente narrativo, per costruzione e coinvolgimento dell’intreccio resta esemplare. E lo dimostrano anche le altre sue opere, iniziando naturalmente dalla trilogia de ”I tre moschettieri” con i mitici D’Artagnan, Aramis e Portos, con cui nacque la letteratura di cappa e spada e cominciati a scrivere mentre era ancora impegnato a finire il suo Montecristo.
Dumas, nato il 25 luglio 1802, rimase orfano a tre anni del padre, un generale napoleonico mulatto figlio di un marchese francese e di una ex schiava nera haitiana, così che fu costretto a cominciare a lavorare da giovane ma continuando a studiare e leggere per sua passione, così che a 21 anni divenne, a Parigi, copista per il futuro Re Luigi Filippo d’Orleans. In quegli anni ha un figlio (che porterà il suo stesso nome e diverrà anche lui scrittor di gran fortuna) e comincia anche a scrivere per il teatro e i suoi lavori, considerati tra i primi esempi di dramma romantico, ebbero una eccezionale fortuna di pubblico alla Comédie-Française (tra questi un ”Kean” che conquistò poi anche Gassman). Lo stesso accadde con i romanzi storici, una cinquantina in tutto. Fu un gran viaggiatore, nel nord Europa e poi in Russia, una volta alle Eolie (di cui lasciò un resoconto) e infine nel 1860 volle raggiungere Garibaldi partito con i suoi mille alla volta della Sicilia, donandogli tutti i propri risparmi, che servirono a acquistare armi e camicie rosse. Assistette alla battaglia di Calatafimi e seguì l’eroe dei due mondi entrando poi con lui a Napoli, dove fu nominato ”direttore degli scavi e dei musei” r fondò e diresse il giornale garibaldino ”L’indipendente”. Dopo altri viaggi nel 1867 tornò in Francia dove, rimasto senza un soldo, si ammalò e fu accudito dal figlio sino alla morte, continuando a scrivere sino agli ultimi giorni.