Cartolina dagli Usa
Eredità Trump
Tra qualche giorno Joe Biden si insedierà alla Casa Bianca. Ma non è detto che l'America volti pagina. Il tycoon ha trasformato alle radici la politica e le istituzioni spedendo l'una e l'altra oltre i confini della democrazia. Ecco perché resterà un problema
Tra qualche giorno Agent Orange, come il regista Spike Lee chiama Donald Trump dal nome del colore arancio (simile a quello dei capelli del presidente) dei barili del defoliante che fu spruzzato durante la guerra del Vietnam dall’esercito americano sulle foreste di quel paese, se ne va. E come quel veleno che uccise e fece ammalare migliaia di Vietcong e di civili vietnamiti, ma fece molte vittime anche tra i soldati americani che l’avevano maneggiato, l’ormai ex presidente americano causando molti danni alla reputazione internazionale degli Stati Uniti, ne ha causati altrettanti alle istituzioni democratiche del proprio paese. Le conseguenze della sua presidenza sono destinate a rimanere per molto tempo ancora. Un po’ come è successo da noi con l’avvento di Silvio Berlusconi della cui discesa in campo stiamo ancora risentendo. Eccetto che gli Stati Uniti, rispetto all’Italia, hanno ben altro peso nello scacchiere internazionale e un ruolo di leadership a livello mondiale da difendere.
Su una cosa tutti gli osservatori sembrano essere d’accordo: l’eredità di Donald Trump, 45esimo presidente americano, l’unico di questo secolo e l’11esimo nell’intera storia degli Stati Uniti a non essere stato rieletto per il secondo mandato, è destinata a restare. Lascerà un segno indelebile difficile da cancellare e anche da superare. Con lui si è aperto un vaso di Pandora che sarà difficile richiudere o ignorare. Come era successo nel 2001 con le Torri Gemelle la ferita sarà difficile da rimarginare. I colpi che ha assestato alle fondamenta del sistema adesso mettono in evidenza tutta la sua fragilità di colosso di argilla. Il re è nudo! E forse per qualcuno andrà anche bene così. Ma non credo che a lungo termine questo si possa considerare un obiettivo strategico positivo.
Ma prima di entrare nel merito e riflettere sulle conseguenze di una presidenza così anomala e cosi diversa da quelle che l’hanno preceduta, è importante soffermarci su alcuni numeri, pur senza fare un elenco troppo dettagliato e pedissequo. Ma di alcuni bisogna dare conto perché aiutano a mettere insieme i tasselli di un puzzle che racconta la presidenza Trump molto più di mille parole.
Da febbraio di quest’anno sono morti di Covid più di 300.000 americani, (questo numero rappresenta quasi 1/5 delle morti totali nel mondo); 2.3 milioni di americani hanno perso l’assistenza sanitaria che ha causato oltre 10.000 morti e alcuni altri milioni di cittadini l’hanno persa sotto la pandemia; 450 sono le miglia di muro erette al confine con il Messico, 666 bambini, lì fermati come immigrati illegali, non conoscono la sorte dei loro genitori, di 7 miliardi è cresciuto il debito pubblico, cioè del 37%; i 400 americani più ricchi del paese con la legislazione del 2017 hanno visto abbassarsi le tasse più di qualunque altra fascia di reddito (Per inciso Trump ha pagato durante il primo anno di presidenza 750 dollari di tasse); 221 sono giudici di nuova nomina, inclusi i 3 della Corte Suprema che hanno cosi spostato il baricentro di quella istituzione nettamente a favore dei conservatori per 6 a 3 (alla giudice Ruth Bader Ginsburg che dal suo letto di morte aveva chiesto di attendere per la nomina del suo successore l’arrivo del nuovo presidente, Trump ha risposto nominando immediatamente la giudice Amy Coney Barret nota per le sue posizioni tradizionaliste); 13 sono state le esecuzioni capitali eseguite da luglio a oggi, il numero più alto in 130 anni; più di 80 sono i vincoli e le leggi ambientali che sono state revocate, 4 sono gli accordi internazionali abbandonati. E l’elenco potrebbe continuare, ma vorrei concludere questa lista con il numero delle 25.000 affermazioni false tra tweet, retweet e messaggi verbali, del presidente Trump. In assoluto il numero di menzogne più alto della storia degli Stati Uniti, che connotano la sua presidenza, come ha affermato di recente lo Washington Post.
Nei suoi giorni finali l’eredita dei suoi quattro anni di mandato, durante i quali è stato anche sottoposto al processo di impeachment, oltre alle conseguenze dei numeri elencati sopra, è stata caratterizzata dalla sua incapacità di gestire la pandemia, i cui morti parlano da soli e dal suo rifiuto di accettare la sconfitta.
Trump ha trasformato il modo in cui si comportano e comunicano i presidenti; ha offerto pensieri e dichiarazioni politiche in un linguaggio crudo e semplificato, alzando il sipario su un teatrino che non si preoccupava minimamente di mantenere una sorta di equidistanza tra alleati e nemici: semplicemente lodava i sostenitori e distruggeva gli oppositori, dando un’immagine di partigianeria assolutamente senza precedenti. Si è collocato a volte come uno spettatore rispetto alla sua stessa presidenza, come un outsider, come se fossero altri gli autori di certe scelte politiche e non egli stesso. Rinforzando quell’immagine di non essere parte dell’establishment, cosa che lo ha fatto eleggere in prima istanza. È stato capace di gettare un’ombra sul suo successore, il neo eletto Joe Biden, il quale ha dovuto restringere la presentazione della sua piattaforma elettorale all’obiettivo principale di essere anti-Trump, presentandosi come un antidoto ai passati quattro anni. Si è principalmente dichiarato pronto a restituire un’immagine dignitosa alla Casa Bianca.
“Per quattro anni – ha dichiarato lo storico presidenziale Michael Beschloss- [Trump] ha colto ogni opportunità per estendere il potere presidenziale al di là dei limiti della legge”.
Ha intrappolato la presidenza in una visione che ha sgretolato la fiducia degli americani nelle istituzioni governative. Fin dall’inizio ha preso d’assalto la burocrazia federale gettando sospetti sugli ufficiali di carriera che ha definito con disprezzo un Deep State che trama alle spalle dei cittadini, facendo così vacillare la fiducia degli americani nei dipendenti pubblici e governativi in generale. Ha fatto credere ad esempio che l’investigazione sulla Russia, il cosiddetto Russiagate, fosse una crociata contro di lui; ha preso di mira le agenzie dell’Intelligence e il Dipartimento di Giustizia accusando apertamente nome dopo nome- scatenandosi in particolare contro colui che è stato a capo di quella inchiesta: Robert Mueller. Ma l’assalto alle istituzioni democratiche si è intensificato in queste ultime settimane con il suo testardo diniego di passare le consegne al nuovo presidente, gettando un’ombra di sospetto non solo sulla legittimità dell’intero processo elettorale americano, ma anche sulla stessa tradizione dell’istituzione presidenziale. Si è schierato perfino contro la Corte Suprema che tanto egli stesso ha contribuito a plasmare, perché si è rifiutata di prendere posizione contro il risultato elettorale. Se l’è presa anche contro gli uffici postali accusati di non avere fatto il loro dovere. “Questo è un cancro – afferma Richard Waterman professore di storia all’università del Kentucky- E non so se il cancro potrà essere rimosso dalla presidenza senza causare danni all’ufficio stesso di quella prestigiosa istituzione. Penso che [Trump] abbia fatto un enorme danno nelle ultime settimane”.
Ma è sull’infinità di bugie che Trump ha detto in questi quattro anni che voglio soffermarmi proprio per analizzare i danni maggiori che la sua presidenza lascerà in eredità al paese. In un bell’articolo di George Packer sul numero di gennaio/febbraio 2021 della rivista The Atlantic il giornalista afferma che “le bugie di Trump rimarranno per anni avvelenando l’atmosfera come una polvere radioattiva” e si dilunga sul loro significato in rapporto allo stato della democrazia. Cosi afferma che molti presidenti hanno mentito da Lindon B. Johnson sulla guerra in Vietnam a Richard Nixon che vivendo una vita di prevaricazioni si conquistò il soprannome di Tricky Dick. Ma in questi casi le menzogne avvenivano per un motivo razionale: coprire uno scandalo, non rivelare un disastro, sviare l’attenzione pubblica in una direzione diversa da quella dove si stava agendo. “Gli americani- scrive Packer – si aspettano un certo grado di menzogne dai loro leader. Rimandarono in Georgia Jimmy Carter che nel 1976 promise di non mentire mai e mantenne fino in fondo la sua parola. Ronald Reagan e le sue bugie leggere furono assai più popolari”. Ma rispetto a queste menzogne quelle di Trump sono diverse- continua il giornalista. “Le sue appartengono all’era postmoderna. Sono assalti non contro questo o quel fatto, ma contro la realtà stessa. La loro diffusione va al di là della politica pubblica, invade la vita privata, offuscando le facoltà mentali di qualsiasi persona respiri la sua aria, dissolvendo la stessa distinzione tra verità e falsità. Il loro proposito non è mai stato il desiderio convenzionale di celare qualcosa al pubblico. [Trump] è sempre stato straordinariamente diretto rispetto a cose che altri presidenti avrebbero tenuto nascoste: ad esempio i suoi veri sentimenti nei confronti di John McCain e degli eroi di guerra, il suo proposito di eliminare subalterni sleali, il suo sforzo di estorcere da leader stranieri informazioni che potevano danneggiare un avversario politico, la sua simpatia per Kim Jong un o per Vladimir Putin, il suo giudizio positivo sui suprematisti bianchi, la sua ostilità verso le minoranze razziali e religiose, il suo disprezzo per le donne”. Secondo Packer proprio questa sua estrema sfrontatezza diviene un segno di onestà e forza agli occhi dei suoi sostenitori. Cosi facendo Trump ha creato un precedente e ha regalato loro la possibilità di fare altrettanto senza doversi scusare. “Il livello del linguaggio politico in America si è abbassato di molto ed è stato accompagnato da un clamoroso deficit di vergogna… Dire bugie senza dover pagare le conseguenze è stato complementare a una palese brutalità. È un’altra forma di sfrontatezza come quella di affermare di aver vinto le elezioni. Danneggiare l’avversario diventa l’unica verità che restituisce al mondo la sua interezza”.
Una citazione di Matthew Sheffield, attivista di destra, come egli stesso si definisce, va diretta al punto “La verità per un giornalista conservatore è qualsiasi cosa danneggi ‘la sinistra’. Non è detto che debba essere un fatto vero. Le numerose bugie di Trump riguardo a qualsiasi soggetto alla luce del sole sono pertanto giustificate, perché le sue menzogne indicano una più grande verità: i liberal sono il male”. E questo declino cognitivo non è attribuibile semplicemente all’ignoranza o alla stupidità. Sarebbe un grave errore pensarlo. È quella volontà che Hannah Arendt ne Le origini del totalitarismo attribuisce invece alle masse amorfe che non si sentono più rappresentate nel mondo reale e che sono attratte da demagoghi che promettono loro un paradiso fittizio. La loro è una rivolta contro il realismo. E dato che la finzione creata dalla propaganda dei regimi totalitari diventa reale, il mondo fittizio acquista nella vita quotidiana uno statuto di realtà. E seppure gli Stati Uniti continuano a essere una democrazia e Trump malgrado i suoi tentativi non riuscirà a essere un dittatore, nonostante abbia creato i precedenti perché questo possa avvenire in futuro, i suoi seguaci ripongono in lui ancora una totale fiducia. E dunque credono che le elezioni siano state truccate. La sua sconfitta non cambierà le cose e questo è molto pericoloso per la democrazia americana e per ogni democrazia in generale. Cosi facendo Trump ha reso attraente e glamorous l’ostilità perenne delle masse popolari contro le élite.
Oggi sarà più difficile cancellare dalle nostre menti le sue numerose bugie e restaurare una comprensione condivisa della realtà (secondo la quale un fatto reale è semplicemente tale) da cui dipende ogni democrazia. Quello che ha salvato il paese dal precipitare in un tunnel senza uscita sono stati due fatti: il coronavirus contro il quale si sono infrante le menzogne e i tentativi di mascherarlo in quanto è andato a toccare il profondo delle vite di molti americani che hanno subito perdite ingenti di affetti cari e la loro fiducia nel sistema democratico che li ha portati in massa alle urne con la percentuale più alta dal 1900. Dunque l’eredità di Donald Trump, malgrado il suo volere, è anche la consapevolezza degli americani di credere nella democrazia.