Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Sulle tracce di Sant’Egidio

Nel milletrecentesimo anno dalla morte dell’abate francese che dedicò la vita ai poveri, una visita alla chiesa trasteverina a lui intitolata dove dal 1968 si riuniscono a pregare i giovani aggregati alla Comunità fondata da Andrea Riccardi

Di Sant’Egidio non si conosce precisamente l’anno della morte, situato tra il 720 e il 740. Ma se ne è fissato bene il giorno, il 1° settembre. Per questo l’abate francese che dedicò la vita ai poveri è stato celebrato con commozione in questo 2020 – che si pone mediamente come il milletrecentesimo dal suo addio alla vita – dalla Comunità laicale che ne porta il nome, in quella che a Roma è la sua chiesa, nel cuore di Trastevere. E allora vale la pena di recarsi nella piccola piazza che la ospita e varcarne il portale. Un’oasi di raccoglimento opposta alla confusione da movida che impera nel rione, snaturandolo. E che invece in questo angolo preservato favorisce anche il recupero di tante memorie capitoline.

Sant’Egidio, dunque. Una storia con molte lacune, compensate da leggende. Era un giovane ricco di nome Gilles, nato in Provenza, o forse là giunto, proveniente dalla Grecia. Un pellegrino nell’Europa del Medioevo, insomma, impegnato a intercedere con la preghiera e con qualche aiuto materiale a favore dei mendicanti, degli storpi, dei naufraghi, degli indemoniati, dei condannati a morte, dei contadini impoveriti dalle carestie. Simbolicamente rappresentati dalla cerva che ogni giorno veniva a mangiare nelle sue mani e che a sua volta gli offriva il proprio latte, mentre era eremita. Egli salvò l’animale opponendo il proprio corpo nella traiettoria di una freccia scagliata dal re dei Goti. Rimase ferito a una gamba e il sovrano, per fare ammenda, gli donò un pezzo di terra sulla quale Egidio eresse un convento. La sua fama di santo calamitava gli abitanti del Sud della Francia ma anche da molto più lontano. Un carisma che colpì perfino Carlo Martello: si inchinò davanti all’abate e domandò il perdono per una colpa mai confessata ad altri. Più tardi Egidio venne a Roma e il Papa concesse protezione al suo cenobio, che si smarcò così da qualsiasi ingerenza del potere temporale.

E la piccola chiesa in Trastevere? Gliela dedicò nel Seicento un pio macellaio, Agostino Lancellotti. Costui aveva ottenuto nel 1610 dal capitolo della attigua basilica di Santa Maria in Trastevere la concessione della pericolante, antica chiesa di San Lorenzo in Janiculo o de curtibus. Il bottegaio la restaurò sostenuto anche dai denari della generosa principessa di Venafro. Poi la donò con la casa annessa alle Carmelitane Scalze. Il nuovo tempio – era il 1630 – fu intitolato alla Madonna del Carmelo, come si legge nell’iscrizione sulla candida facciata – unico portale, stretto da lesene corinzie, sormontato da una alta finestra e sulla sommità da un assertivo timpano – che così recita: “B. V. Mariae de monte Carmelo dicatum a. salutis MDCXXX”.

Fu nell’unica navata interna che dal 1968 si riuniscono a pregare i giovani aggregati alla Comunità di Sant’Egidio, fondata da Andrea Riccardi, oltre cinquant’anni di operosità a favore dei poveri e dei diseredati. Si trovano di fronte, davanti all’altare, un’icona con il volto di Gesù: antica, proveniente dalla Russia, in forma di mandilium, il velo sul quale si impresse il volto di Cristo. Accanto, una scultura in legno raffigura il Salvatore: non ha le braccia e il motivo resta un mistero, come il periodo in cui fu scolpita. Il ritratto di Sant’Egidio è del Pomarancio (nella foto sopra, ndr), sistemato in una cappella laterale. Carlo Fontana, altro nome celebre nella Roma del Seicento, ha firmato il monumento funebre di Veronica Rondinini Origo, marchesa della potente famiglia di collezionisti capitolini.

La chiesa è la “quinta” che chiude piazza Sant’Egidio. Ed è l’estrema propaggine dell’intero complesso conventuale, suggestivo pure per il chiostro. La dimora delle Carmelitane ha subito tante trasformazioni: fu espropriata nel 1870 dai Savoia di Roma Capitale, passò nel 1875 al Comune, diventò sede di un sanatorio antimalarico infantile, infine negli anni Settanta del Novecento divenne la sede del Museo del Folklore, mentre una parte ospita una scuola e un’altra la Comunità di Sant’Egidio. Oggi poi il museo si chiama “Di Roma in Trastevere”, perché raccoglie molti materiali provenienti da Palazzo Braschi. Ecco allora che la memoria si moltiplica: accanto alla chiesa eretta dal religiosissimo macellaio trasteverino sono conservate scene della vita popolare romana tra Sette e Ottocento, molte ispirate alle incisioni di Bartolomeo Pinelli. Vi si trovano anche i preziosi acquerelli di Roma sparita, dovuti al pennello di Ettore Roesler Franz e la serie di capolavori dedicati al Carnevale Romano: disegni, dipinti, ceramiche sulla festa più sfrenata dell’anno, ben rappresentata da Barbaro, barbaresche e maschere, una terracotta di Achille Pinelli, figlio di Bartolomeo. 

Fuori dal museo e dalla chiesa, all’angolo della piazza con via della Scala, una della più suggestive Madonnelle: dedicata alla Vergine del Carmelo, seduta sulle nubi tra testine di cherubini. È dipinta direttamente sul muro e per questo è rovinata la parte inferiore dell’affresco, meno protetta dalla barocca cornice in marmo e dallo scuro “cappello” in bronzo. Un altro tassello di Roma sparita. 

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