Parole e ombre/10
Le figurine della Madonna
«Non mi pesa stare accovacciato qui, le ali piegate a sfiorare il battiscopa. Riesco a rarefare i pensieri, a riandare con la memoria lieta a quando mi chiamavo Giovanni e facevo collezione di figurine»
Immagine di Yasmine Elgamal
Io sono Angelo e sono nel buio.
Rannicchiato nel cono d’ombra della camera da letto, lontano dai lampi intermittenti dei fari attraverso le liste della serranda.
Aspetto che il respiro si faccia fondo e regolare, che la smetta di avvoltolarsi nelle lenzuola troppo grandi, due piazze e mezza, perché? Per chi?
Vaga sola, alla ricerca di frescura, di attimi di letto ancora intatti, non sciupati dal calore di un altro corpo. Sono sicuro che lo vorrebbe, sono sicuro che lo avrà.
Presto, non adesso, bisogna che la notte diventi più umida, che si impregni di sapore metallico, di gocce umide d’asfalto.
Io mi sono trovato un posto comodo, in una nicchia tra l’armadio e il muro. Il letto lo osservo in diagonale: è una tattica consolidata, è difficile trovare un armadio che si incastri esattamente all’angolo di una stanza, sono sempre irregolari, gli angoli. C’è sempre spazio per me, anche se piccolo, io sono Angelo e riesco a rannicchiarmi ovunque.
Anche entrare nelle case delle mie future spose non è difficile, volo fino alla finestra o al balcone e poi aspetto che aprano le ante, per far cambiare l’aria. Aprono e escono, che non sopportano la corrente. Escono e io entro. Al buio. E trovo subito dove piazzarmi, ad aspettare il cuore della notte.
Poi ci sarà l’Annunciazione.
Si squarceranno le tenebre, un filo teso di luce scivolerà come un dardo a illuminare il ventre della prescelta, lo Spirito in forma di uccello percorrerà la lama luminosa, inciderà il sesso della ragazza. E io apparirò dall’ombra e pronuncerò le Parole Sacre.
Perché io sono Angelo.
Non mi pesa stare accovacciato qui, le ali piegate a sfiorare il battiscopa. Riesco a rarefare i pensieri, a riandare con la memoria lieta a quando mi chiamavo Giovanni e facevo collezione di figurine.
Gli altri bambini giocavano a soffione con le figurine Panini dei calciatori: Giggi Riva, Sandro Mazzola, Gianni Rivera. Chini sullo sporco del marciapiedi, le bocche vicine all’intonaco scrostato dalla salsedine, al capelvenere e ai fiori di cappero bianchi e viola che spaccavano i muri di calcare. Ma quando arrivavo io, con le mie figurine speciali, mi scacciavano, mi ingiuriavano, mi buffuniavano, mi pigliavano per il culo.
Che le mie figurine non erano buone, non capivano niente, le mie figurine erano bellissime.
“Che bisogno c’hai delle figurine dei calciatori?” mi diceva mia nonna “Tu c’hai quelle delle Sante che sono le più migliori, tutte diverse, tutte colorate. E per trovarne nuove devi fare una ricerca speciale, devi volare di chiesa in chiesa a cercarle, come un piccolo angelo, il mio Angelo Custode”.
E così, nell’oscurità solida della camera da letto, pensavo a mia nonna, che le volevo un bene dell’anima, a quando morì che la sua anima santa, fatta di spiccioli e piccoli rutti, di baffi e di verde di denti, la sua anima santa la accompagnai io in Paradiso.
E quelle figurine, quelle figurine di Sante meravigliose, prodigiose, ne ripercorrevo l’intero catalogo nella memoria del buio.
Avevo cominciato con Santa Lucia, giovane e austera, con i suoi occhi azzurrissimi nel piatto, che mi seguivano innamorati ovunque io andassi e diventavano tristi quando io mi toccavo il pisello. Poi era arrivata Sant’Agata, la buttana di Sant’Aita, come dicevano a Catania, evviva la buttana di Sant‘Aita, con quelle minnuzze recise, che ci facevano le cassatine di ricotta con il capezzolo rosso e candito, minnuzze da tuffarci la bocca e succhiarle fino a lordarsi il mento di ricotta bianca, a sbavarla agli angoli delle labbra. E Santa Caterina da Siena, con il suo matrimonio mistico con Gesù Cristo, che sfoggiava vanitosa la mano con la fede, quasi uscisse dal dipinto, e sul retro della figurina spiegavano che quell’anello era fatto con il prepuzio di Gesù, e Padre Carlo, che mi aveva fatto vedere cos’era il prepuzio, che lui ce l’aveva ancora, mentre a Gesù l’avevano tagliato quand’era appena nato, e io che mi chiedevo se l’anello di Santa Caterina cresceva quando lo strofinavi, come cresceva il pisello di Padre Carlo.
E come si sta gonfiando il mio, qui nella nicchia tra armadio e muro, mentre l’odore di donna addormentata sta scivolando sul pavimento della stanza, vischioso, peloso, mi arriva ai piedi, mi sale lungo i polpacci, si infila tra le rughe dello scroto. Cospetto, ho un odorato perfetto! Mi verrebbe quasi da ridere, se non temessi che la donna si svegliasse. Non è ancora ora, non è ancora il momento.
So io quand’è il momento giusto dell’Annunciazione, il momento di scoprirle le cosce dorate, e di irrorarle con lo Spirito Santo. Non è la prima. Non sarà l’ultima.
Ripasso a memoria tutte le figurine delle altre, l’intero catalogo delle donne che ho visitato, un’agendina di pelle di Gesù, con nomi, indirizzi, foto.
Tutte le mie Annunciazioni, tutte le mie Madonne.
Perché, dopo quelle delle Sante, ero passato alle figurine della Madonna. La Madonna Addolorata, che si tiene Gesù sulle gambe, la Madonna delle Lacrime, che piange per le ferite della guerra, la Madonna austera e dolente, alta in trono, di Giorgione, la Madonna di Loreto, che fa volare le chiese. Erano così belle, con quei volti seri e dolci, quasi tristi, quasi felici. E poi mia nonna mi aveva portato, di ritorno da un pellegrinaggio parrocchiale a Siena, la figurina della Madonna del Latte. E a me vedere quel Bambino Gesù, abbarbicato con le manine alla minna della Madonna, aveva fatto tremare, agitare nelle convulsioni, bagnare i pantaloni.
Lo sapevo che non potevo essere io quel bambino, non avevo diritto io, a stare in braccio alla mamma di Gesù, io che la mamma non l’avevo mai vista, sempre e solo mia nonna.
Però potevo essere l’Angelo, quello che avevo visto al Museo di Palazzo Bellomo, l’Angelo che entrava nella camera delle donne per annunciare il loro futuro, da quel momento in poi. Ora e per sempre. Amen.
Il frutto.
Io sono diventato quell’Angelo, ma le mie ali le ho dipinte di nero, per nascondermi meglio nelle alcove, Anna, Elvira, Zerlina, Antonella, Claudia, Fiammetta, Danila, e ora lei. Il suo nome glielo pronuncerò sulle labbra appena schiuse, sopra e sotto.
Chissà se sarà lei la mia Madonna, se vorrà tenermi tra le braccia, guardandomi e sapendo, sapendo cosa ne sarà di me.
Perché io l’ho capito lo sguardo della Madonna. L’ho capito quando mi hanno portato in gita a Venezia, alle Gallerie dell’Accademia. E c’erano quelle bellissime Madonne di Giovanni Bellini, con i loro occhi venati di zucchero, ma anche di tristezza infinita, che non assomigliavano a nessuna delle Madonne delle figurine che avevo collezionato fino a quel momento. E mi chiedevo il perché non erano felici di tenere in braccio il figlio di Dio, o meglio, lo erano e non lo erano. E poi ho visto quel quadro della Madonna vecchia che teneva in braccio Gesù morto, e lo teneva come lo teneva da bambino, nello stesso modo e lo guardava allo stesso modo. Perché lo sapevano, perché una mamma già lo sa, sapevano che il loro figlio sarebbe morto in quel modo atroce, per questo erano tristi. Sapevano la morte, sapevano di morte.
Come il mio Annuncio.
Perché io non sono l’Angelo che annuncia la nascita, la vita.
Chiuso nell’ombra.
Io sono l’Angelo Sterminatore.
Arturo Belluardo è nato a Siracusa. Vive e lavora a Roma. I suoi racconti sono apparsi in antologie edite da Nottetempo e dal Goethe Institut e sulle riviste “Lo straniero”, “Mag O” e “Succedeoggi”. Il suo romanzo Il ballo del debuttante è stato segnalato al Premio Calvino. Il suo romanzo Minchia di mare (Elliot, 2017) è stato finalista al POP 2017, al Premio John Fante e al Premio San Salvo. Nel 2019, per Nutrimenti, è uscito il suo romanzo Calafiore.
Yasmine Elgamal nasce a Roma nel 1993. Incontra nel 2010 Marco Rossati, storico allievo di Giorgio De Chirico, che segna in modo sostanzioso la sua produzione e la sua poetica. Da questo momento, partendo dagli studi di disegno dal vero, trova nella pittura a olio il suo mezzo prediletto, in quanto le dà la possibilità di sperimentare nel tempo diversi tipi di materia pittorica. In cerca di ispirazione e guidata dal bisogno di uno studio ”matto e disperatissimo” della pittura, si trova spesso in viaggio, dapprima in Italia e poi in the UK, a Brighton, dove ha vissuto per due anni e dove si è dedicata allo studio dei maestri inglesi. Tornata nella città natale, insegna presso la scuola del Nudo ”Scienza dell’Arte”. Attualmente rappresentata da Francesco Boni (FMB Art Gallery), negli ultimi anni ha visto esposti i suoi lavori presso le gallerie Tevere Art Gallery(RM), SpazioCima (RM), la Galleria Trart (RM) e a Firenze, a Palazzo di Cosimo Ridolfi, per l’Accademia di San Pietroburgo.