Finestra sul mondo
L’arte al fresco
La storica dell'arte Laura Freeman ha trovato l'antidoto adatto alla "sete" di musei in tempo di lockdown: un catalogo degli “Sculpture park" inglesi: giardini pubblici dove è possibile ammirare opere senza correre il rischio del contagio
Dal cinque novembre, l’Inghilterra è entrata nel suo secondo lockdown, con cinema, teatri, gallerie e musei di nuovo chiusi. E gli amanti dell’arte sono entrati in crisi di astinenza, come i maniaci della forma fisica a cui sono state tolte le palestre. Questa volta, però, la scrittrice Laura Freeman, londinese e critica d’arte, non si è fatta cogliere impreparata. La scorsa primavera – scrive sul Daily Telegraph (https://www.telegraph.co.uk/art/what-to-see/missing-art-lockdown-venture-great-outdoors/) – la salvezza, per chi come lei è “dipendente” dall’arte e dalla bellezza, è stata la corsetta quotidiana ad Hyde Park fra alberi, statue e monumenti. Un modo per tenere in esercizio gli “addominali” del corpo e del cervello, intorpiditi dalla mancanza di stimoli e di spazio.
Per questa seconda clausura, ha stilato una lista di sculpture park, parchi privati nella campagna inglese dove arte e natura si fondono, sparsi in tutto il Paese e per tutti i gusti, che rimangono aperti anche durante le settimane di lockdown, dove è possibile ammirare le opere esposte in grandissimi spazi, in tutta sicurezza.
Lo Yorkshire Sculpture Park vicino a Wakefield, il New Art Centre a Roche Court nello Wiltshire e lo Sculpture Park a Churt nel Surrey (nella foto accanto al titolo) continuano a garantire ai visitatori la possibilità trovare «conforto all’aria aperta, a contatto di arte e natura». Il distanziamento sociale non è difficile nei 10 acri dello Sculpture Park, nei 60 di Roche Court, o, a maggior ragione, nei 500 dello Yorkshire Sculpture Park dove le opere di Edoardo Paolozzi, Henry Moore, Barbara Hepworth, James Turrell, Maria Luisa Tadei, Antony Gormley e di tanti altri artisti contemporanei sono pronti ad accogliere i visitatori in cerca di sollievo.
Una guida utile, non solo agli inglesi confinati, ma anche a noi, si spera, futuri viaggiatori post pandemia.
Camminare nel verde di Hyde Park guardando il neogotico Albert Memorial, oppure Physical Energy, monumento equestre del 1907 o ancora, The Arch di Henry Moore del 1980”, ha dato modo a Laura Freeman di incamerare la “dose di aria e di arte” quotidiana e di fare alcune riflessioni.
Godere delle opere d’arte al fresco (così dicono proprio gli inglesi), senza i condizionamenti e le costrizioni di un’esposizione in una galleria; “far scendere le sculture dal loro piedistallo è liberatorio ed entusiasmante”, scrive, proprio perché, immerse nella natura, molte opere acquistano un nuovo significato e ci permettono una nuova percezione.
Vedere «la luce del sole riflessa sul bronzo, le sculture sparse nel paesaggio o raggruppate in piccoli gruppi circondati dalle pecore» nell’Henry Moore Studios and Gardens a Much Hadham nell’Hertfordshire – scrive Laura Freeman – «è stata un’esperienza illuminante. Ho capito – aggiunge – che guardare un’opera di Henry Moore in un museo significa provare la stessa pena che si ha per un animale chiuso in gabbia».
Secondo la Freeman ci sono opere nate per essere esposte a contatto della natura, come quelle di Andy Goldsworthy o di Anya Gallaccio, fatte di ghiaccio, felci, fiori e foglie, che quasi si nascondono ai nostri occhi; altre, al contrario, come le opere di Giacometti, se portate all’aperto, danno sempre l’idea di aver bisogno di un cappotto.
Ci sono opere prepotenti come quelle esposte allo Jupiter Artland nei dintorni di Edimburgo (chiuso per il lockdown) che ci trasportano in un mondo magico e divertente come quello del Cappellaio Matto.
Per superare la tristezza di questi tempi – seguendo i suggerimenti di Laura Freeman – non ci resta che programmare una visita estiva per vedere la Love Bomb di Marc Quinn, far due passi nel Rose Walk di Pablo Bronstein o sognare di fare il bagno nella stravagante piscina intitolata Gateway di Joana Vasconcelos.