Michela Di Renzo
Vita di pronto soccorso

L’anello di Daniela

«Sulla porta comparve un uomo di mezza età, col volto accigliato, i capelli crespi arruffati, la barba sfatta da giorni e indosso una tuta da lavoro sporca. Dietro di lui si intravedeva una donna anziana coperta da una tunica nera lunga fino ai piedi e con un velo dello stesso colore sul capo»

Il paziente dietro la tenda gialla che copriva la parete a vetri dell’ambulatorio stava imprecando da dieci minuti. “Aspetto da più di tre ore” urlava una voce maschile, giovane, sempre più alta, ogni volta che qualcuno passava lì davanti. Daniela alzò gli occhi al cielo sospirando, si rivolse a Leo e appoggiando sconsolata la fronte sulla mano destra gli disse: “Fallo entrare”. Poi gettò un rapido sguardo al display del cellulare. “Per fortuna manca poco alla fine del turno” pensò. Quel pomeriggio era stato massacrante: l’influenza stava raggiungendo il suo picco e in cinque ore aveva visitato più di trenta persone. Senza contare che non staccava da dieci giorni: due colleghi erano partiti per la settimana bianca e come al solito gli altri erano oberati di lavoro. “Domani sono libera finalmente e passo un giorno fuori da questo inferno”.

Guardò distrattamente il paziente che aveva smesso di lamentarsi e si era seduto davanti a lei. “Allora che cosa è successo?” gli chiese. “Ho preso una storta due giorni fa alla caviglia destra.” “E’ un infortunio sul lavoro?” “No stavo camminando per il corso” “Scusi mi ha detto la destra o la sinistra?” proseguì Daniela concentrandosi sulla tastiera del computer, perché le capitava spesso di confondere i due lati quando era stanca. “Le ho detto la destra” rispose lui irritato. “Questa è la richiesta della radiografia. Quando l’ha fatta verrà valutato dall’ortopedico, ora il mio infermiere le spiega dove andare”. Daniela consegnò al paziente il foglio di carta appena uscito dalla stampante e indicò Leo pronunciando in fretta le parole. Solo allora guardò meglio chi aveva di fronte: un ventenne snello con i capelli all’ultima moda ovvero più lunghi davanti e sfumati dietro e con un indosso una maglietta di marca le strappò la richiesta di mano con un gesto di disprezzo e uscì dall’ambulatorio senza zoppicare. Leo storcendo i baffi spruzzati di bianco appena il giovane ebbe varcato la porta commentò col suo accento senese: “Il solito bischero con un codice minore che si lamenta a caso”. “Non ho parole” replicò a bassa voce Daniela. “Meno male tra poco vo in pensione” aggiunse l’infermiere alzando gli occhi verso il cielo e passandosi la mano destra tra i capelli sale e pepe. “Beato te” commentò Daniela. “Io invece qui ci devo stare altri vent’anni”.

Poi si guardò la mano sinistra aggiustandosi l’anello di diamanti che portava all’anulare: qualche mese prima, oltre al solito stipendio, aveva ricevuto dall’azienda un bonus inaspettato e per gratificarsi si era regalata il Trilogy. Ne aveva parlato con Paolo, suo marito e lui non era rimasto entusiasta. “Potremmo andare a fare un bel viaggio ma se te preferisci comprarti un diamante…” aveva commentato storcendo la bocca. Quando Daniela aveva preso in mano l’anello che il gioielliere aveva delicatamente tirato fuori da una scatolina, era rimasta a bocca aperta: le tre pietre emanavano una luce limpida, cristallina, resa più intensa dalle loro numerose sfaccettature; a quel punto se lo era messo lentamente al dito e vedendolo risplendere sulla sua mano lunga e affusolata dalle unghie curate si era immediatamente convinta a comprarlo. Paolo a casa aveva gettato giusto un rapido sguardo ai tre diamanti dicendo: “Mah, lo sai come la penso, però contenta te contenti tutti”, mentre le colleghe le avevano fatto un sacco di complimenti, tradendo persino una punta di invidia. Da allora era diventato più forte di lei gettare un’occhiata al Trilogy ogni volta che avvertiva un senso di frustrazione durante i turni al Pronto Soccorso, cosa che ultimamente le capitava spesso, per via del carico enorme di lavoro. A forza di guardare e riguardare le tre gemme era arrivata alla conclusione che sarebbero state ancora più luminose con accanto una viera di smeraldi.

Dopo aver giocherellato con l’anello Daniela tornò a concentrarsi sulla lista dei pazienti. “Ora chi abbiamo?” chiese. La schermata del computer indicava che il primo cognome in attesa era Berisha. Daniela ci cliccò sopra col mouse. “Questo è proprio l’ambulatorio del migrante” commentò rivolgendosi all’infermiere che era di nuovo seduto accanto a lei. Quando Leo con il suo dissacrante senso dell’umorismo aveva coniato quella battuta un paio di anni prima ci avevano riso entrambi di gusto ma quella sera né a lui né a Daniela si distesero le labbra.

Sulla porta comparve un uomo di mezza età, col volto accigliato, i capelli crespi arruffati, la barba sfatta da giorni e indosso una tuta da lavoro sporca. Dietro di lui si intravedeva una donna anziana coperta da una tunica nera lunga fino ai piedi e con un velo dello stesso colore sul capo. “Uhm…ci mancava questa Befana” pensò Daniela. “Ma qual è il paziente?”. Poi guardò meglio la lista. Accanto al cognome c’era la lettera F. I due erano appena entrati che Daniela disse all’uomo indicandogli la porta: “Te puoi aspettare fuori”. “Io devo restare perché mia moglie non parla italiano” rispose lui bruscamente. “Sua moglie?” chiese Daniela sorpresa trattenendosi dall’aggiungere “credevo fosse sua madre”. Dette un’occhiata alla donna che aveva lo sguardo vacuo, perso nel vuoto. “Da quanti anni è in Italia?” chiese polemica. “Da dieci” “E non dice ancora una parola della nostra lingua?” rincarò la dose Leo. L’uomo li fissò pieno di rabbia. “Lei sta sempre in casa da sola, lei si occupa dei figli e..”. “Sì sì, va bene” lo interruppe sbrigativa Daniela.

C’erano ancora cinque persone in attesa e non poteva lasciarle tutte al collega che entrava di notte. “Come mai siete venuti?” Aprì la cartella elettronica della signora Berisha. “Ha quarant’anni tondi tondi come me” disse tra sé e sé leggendo l’anno di nascita. Poi guardò meglio lo schermo e notò che anche il giorno ed il mese coincidevano esattamente con la data del suo compleanno. “Come mai siete venuti?” ripeté osservando meglio il volto della sua coetanea: il pallore della pelle della donna in sovrappeso contrastava con il velo nero e sul volto senza un filo di trucco spiccavano due sopracciglia spesse e disordinate. “Questa non sa nemmeno cosa siano un paio di pinzette da estetista” si disse Daniela. “Mia moglie tanto dolore alla spalla sinistra” rispose il marito della donna con un forte accento straniero. “E quando è comparso?” “Da due mesi. E poi le fa anche male la testa. Io ogni sera torno a casa e lei si lamenta” “Ma ha qualche malattia?” “No, lei sempre sana, lei fatto quattro figli. Ma ora lei ha dolore, alla spalla, alle gambe, lei sempre si lamenta, sempre”. L’uomo parlava indicando la moglie con la mano e guardando davanti a sé in maniera arrogante, aspettandosi una soluzione lì su due piedi.

Daniela provò un’antipatia improvvisa per lo slavo, si aggiustò l’anello e si concentrò sull’elettrocardiogramma della paziente: lo guardò e lo riguardò ma era perfettamente normale. “Questa donna è depressa e le ascolta tutte; certo a stare sempre chiusa in casa con quattro figlioli finché non arriva questo maritino” pensò. Poi si girò verso Leo. “Te intanto mettila sdraiata e falle il profilo del dolore toracico che non si sa mai. Poi la visito io”. L’infermiere annuì e si avvicinò alla paziente con l’ago e le provette. La donna si mise sulla barella lentamente e sollevò piano piano la manica fissando il soffitto. Daniela ne approfittò per controllare il cellulare: la scritta 19:30 indicava che mancava un’ora prima del cambio; vide che c’erano due messaggi su whatsapp ma non ebbe voglia di leggerli. Si alzò per visitare la paziente a cui Leo aveva già fatto il prelievo: la donna era ancora immobile sopra il lettino con gli occhi fissi verso l’alto e le braccia distese lungo il corpo avvolta nel suo pastrano nero lungo fino ai piedi. Daniela le andò più vicino e le fece cenno di alzarsi il vestito. La paziente sollevò cautamente la sua tunica nera: sotto indossava una canottiera grigiastra che doveva avere almeno dieci anni.

Daniela si mise i guanti ed il fonendoscopio, allontanando con delicatezza le sue ciocche di capelli biondi e stando attenta a non urtare i suoi pendenti di perle contro lo strumento: si concentrò sui toni cardiaci della paziente ma non sentì niente di patologico. Mentre si chinava sopra di lei ebbe modo di osservarla meglio: il profilo del naso era diritto, le narici erano sottili e le labbra carnose. “Accidenti, sarebbe una bella donna con qualche chilo di meno e se ci curasse di più” pensò. La slava le rivolse due occhi verdi chiari ricolmi di tristezza e sorrise come se le avesse letto dentro. “Mettiti seduta” le disse Daniela mimando con la mano il movimento del tronco. La donna si sollevò e si tirò su di nuovo la tunica scura lentamente; il reggiseno giallastro con i gancini mezzi rotti si mosse in sincronia con la sua gabbia toracica che si espandeva. “Tutto a posto” disse Daniela guardandola in faccia dopo averla auscultata e dopo averle palpato la spalla sinistra. La paziente la guardò perplessa, poi le si inumidirono gli occhi e chinò la testa. Allora Daniela si rivolse verso il marito e proseguì: “Non mi sembra un problema di cuore. Le faccio fare anche una radiografia ma tua moglie mi pare depressa. Ora aspettiamo il risultato degli esami del sangue e se fossero normali, come credo, potrebbe essere il caso di parlare con lo psichiatra, lui la potrebbe aiutare”. “Tra poco mi ci vuole anche a me di questo passo” pensò. Guardò rapidamente l’anello. “Domani pomeriggio vado proprio dal gioielliere a vedere che hanno di bello” disse tra sé e sé. L’uomo borbottò alla donna un paio di frasi nella sua lingua e dopo che lei ebbe annuito, si rivolse a Daniela scandendo bene le parole e guardandola dritta negli occhi disse: “Chiama chi vuoi, lei guarire”. Quindi afferrò la moglie per un braccio e uscì dall’ambulatorio.

 “Gli uomini sono tutti uguali” pensò Daniela “basta solo che tu non gli rompa le scatole.” E le venne in mente suo marito, che ogni volta che lei provava a sfogarsi del lavoro, la interrompeva dicendole: “Quanto manca alla fatidica frase la sanità è allo sfascio?” e subito dopo cambiava stanza. Daniela prese di nuovo in mano il cellulare e aprì whatsapp per leggere i messaggi: suo figlio aveva invitato a cena un paio di compagni del basket e Paolo la avvertiva che sarebbe rincasato più tardi del solito perché si fermava al circolo del bridge a organizzare il torneo del giorno dopo. Daniela diede un colpo secco alla cover del cellulare e strinse l’anello così forte tra le dita che sentì le sporgenze dell’incastonatura che le graffiavano la pelle.

“Andiamo avanti” disse e guardò la schermata del computer corrugando la fronte; cliccò col mouse sul nome successivo. “Quella donna ha i miei anni ed è nata il mio stesso giorno, pensa te” proseguì guardando Leo. “Che coincidenza” ribatté l’infermiere. “Comunque te sembri una cittina al confronto” “Grazie, sei troppo buono” rispose Daniela con falsa modestia. “Certo lei ha fatto quattro figlioli mentre io mi sono fermata dopo il primo. E comunque anche io ultimamente sono parecchio invecchiata” e sollevò le sopracciglia perfettamente arcuate. Quando la sera dopo essersi passata il tonico sul viso si guardava allo specchio le sembrava che le occhiaie sotto gli occhi diventassero ogni giorni più profonde. Aveva provato a chiederne conferma a Paolo ma lui alzando le spalle aveva risposto: “Ma se ce l’avevi così anche quando ci siamo sposati..”.

In ambulatorio entrò un adolescente accompagnato da una signora con un vistoso cappotto rosa che chiese concitata: “Mio figlio ha mal di pancia da stamani, non sarà mica appendicite?” . Quindi si fermò in piedi proprio davanti al tavolino con la borsa stretta tra le mani e gli occhi sbarrati dall’ansia. Il ragazzo che era rimasto dietro, in disparte, la indicò imbarazzato col mento: “Io non volevo nemmeno venire ma mia madre ha insistito parecchio”. Daniela guardò il computer: il paziente era minorenne e quel confettone doveva restare. “Mettiti sdraiato che ti visito subito” disse all’adolescente con uno sguardo di intesa. Lei sapeva bene cosa voleva dire crescere con una mamma apprensiva, anche se a quei tempi non era consuetudine venire al Pronto Soccorso. Il medico di famiglia però sua madre l’aveva messo in croce parecchio. Ed era peggiorata a tal punto col passare degli anni che quando Daniela qualche anno prima si era tolta un nodulo al seno, per fortuna risultato benigno, le aveva dovuto inventare che andava a Roma ad un Congresso anziché ad operarsi pur di evitare le solite sceneggiate.

Si stava avvicinando al ragazzetto per visitarlo quando entrò di corsa in ambulatorio l’infermiere del triage. “Quella vostra paziente Berisha è svenuta in sala di attesa, la stiamo mettendo in barella per portarla dentro”. Leo e Daniela si guardarono sorpresi e commentarono all’unisono: “Strano”. Fecero uscire l’adolescente con la madre: la signora in rosa si fermò un attimo sulla soglia come per dire qualcosa ma poi tirò a dritto. Quando portarono dentro la Berisha si accorsero subito che era grave perché era sudata fradicia e ansimava parecchio. Mentre si affaccendavano intorno a lei col manicotto della pressione e l’elettrocardiografo la paziente prese la mano di Daniela e gliela strinse forte. “Stai tranquilla” le disse Daniela a voce bassa accorgendosi che più che dirlo a lei lo stava dicendo a se stessa. “Ha un infarto” esclamò Leo che a forza di fare tracciati in tutti quegli anni era diventato un esperto. Daniela confermò la diagnosi: “Ed è anche parecchio esteso, va portata subito in cardiologia, te preparati per il trasporto”. L’infermiere stava eseguendo il suo ordine prima ancora che Daniela avesse finito la frase, aveva già messo l’ossigeno alla paziente e caricato il defibrillatore sulla lettiga. “Dobbiamo dirle cosa ha però. Faccio passare il marito, così traduce e intanto informiamo anche lui”. L’uomo entrò in ambulatorio guardandosi intorno perplesso. “Tua moglie ha un infarto, la ricovero in cardiologia” le disse Daniela velocemente. Lui la guardò storto e mise le mani in tasca stringendo i pugni. “Te dire che lei depressa” sibilò a bocca stretta. “Quando siete arrivati non aveva niente di grave, l’ECG era normale” replicò Daniela con un leggero tremolio della voce. “Ma ora la situazione è cambiata. Per cortesia spiegale di cosa si tratta e che la portiamo in un reparto apposta. Chiedile se ha dolore” L’uomo continuò a guardarla con gli occhi pieni di odio e si avvicinò; poi rivolto alla moglie pronunciò un paio di frasi nella sua lingua. La donna scosse la testa e replicò indicando più volte Daniela. Leo li interruppe sbrigativo: “Ha dolore o no? Io intanto devo tagliare il vestito”. La paziente si mise zitta. Leo le sollevò la tunica nera, la tagliò con un paio di forbici e attaccò gli elettrodi del defibrillatore sul suo petto mezzo scoperto. “Ora dobbiamo andare” aggiunse guardando Daniela che aveva appena chiamato in Cardiologia e iniziò a spingere la barella. Si diressero verso l’ascensore, Daniela, Leo, e la Berisha, con il marito dietro di loro con lo sguardo fisso e minaccioso sui due sanitari.

Una volta dentro Daniela si mise al lato della paziente: con un occhio controllava la sua faccia e con l’altra il monitor del defibrillatore dove i parametri erano nella norma mentre la mano stringeva il polso della donna che pulsava normalmente. “Che pomeriggio di merda” sussurrò Leo storcendo di nuovo i suoi baffi. “Davvero” sospirò Daniela. La Berisha sembrava che si fosse rilassata lì sdraiata e accennava quasi un sorriso sulle labbra. “Tutto bene?” chiese Daniela. La donna fece di sì con la testa. Dopo pochi secondi però diventò improvvisamente bianca come un cencio, rovesciò gli occhi all’indietro e perse coscienza: l’allarme del monitor iniziò a suonare. “E’ in arresto, va massaggiata” disse ad alta voce Daniela. Il marito iniziò a gridare e a dare dei pugni contro la parete dell’ascensore. Leo gli dette uno strattone urlando: “Facci lavorare”. L’uomo smise. Daniela nel frattempo aveva incrociato le sue mani curate e iniziato a massaggiare, dimenticandosi nella fretta di sfilarsi l’anello. Leo aveva abbassato la barella e si era posizionato alla testa della donna con il pallone per ventilare. “Manca poco al piano della Cardiologia” disse. I lunghi capelli mesciati di Daniela andavano in su e in giù in sincronia con i movimenti dei suoi fianchi stretti mentre contava a bassa voce concentrandosi sull’efficacia delle compressioni e sulla loro sequenza; peccato che ogni volta che premeva contro il torace della donna sentisse le tre pietre che si conficcavano nel palmo della sua mano destra. “Maledetto Trilogy” pensò cercando di non distrarsi. L’ascensore finalmente si aprì. Leo schiacciò il pallone un paio di volte, poi spinse fuori la barella e corse a suonare il campanello del reparto; dette anche un paio di colpi alla porta gridando: “Aprite”. Daniela continuò a massaggiare mentre il dolore alla mano destra aumentava ma non poteva assolutamente smettere. “E’ il momento del cambio” disse a un certo punto gettando un rapido sguardo a Leo che era tornato al suo posto e spostandosi alla testa della paziente. Allora si sfilò rapidamente l’anello dal dito e se lo mise nella tasca dei pantaloni. Dopo pochi secondi la donna aprì gli occhi. Daniela controllò il polso. La paziente tentò di prenderle la mano ma lei si ritrasse; non era il momento per le smancerie quello: il polso carotideo era ricomparso e il monitor segnava la ripresa del ritmo. I due sanitari tirarono un sospiro di sollievo. In quel momento arrivò il collega della Cardiologia. Quando vide Daniela si aggiustò il ciuffo fluente e la fissò con gli occhi di ghiaccio che avevano sedotto diverse colleghe, ma a cui Daniela fino ad allora era sempre stata immune. “Che è successo bellezza?” “Un arresto cardiaco in ascensore ma l’abbiamo ripresa” rispose Daniela a testa alta. “Accidenti” commentò lui guardandola ammirato. “Trattala bene mi raccomando perché siamo nate lo stesso giorno” aggiunse Daniela. Quindi entrò con lui dentro il reparto, gli dette un paio di spiegazioni veloci e tornò indietro perché doveva rientrare in Pronto Soccorso. “Un giorno vengo a trovarti e ci prendiamo un caffè insieme” gli disse il cardiologo prima che uscisse dalla corsia. “Va bene” rispose Daniela e pensò “Che sguardo magnetico che ha, peccato che ci provi con tutte” chiudendo la porta.

Nella sala di attesa si fermò ad aspettare l’infermiere che era rimasto dentro per sbarellare la Berisha. Il marito della donna le si parò davanti. “Ora questo mi spacca la faccia” pensò Daniela “Ma devo cercare di mantenere la calma fintanto che non arriva Leo”. “Tra poco le fanno la coronarografia, ma la situazione di tua moglie è grave, lo hai visto anche te” disse guardandolo dritto negli occhi. Poi rimase immobile senza respirare in attesa della sua risposta. “Io ho quattro figli a casa, come faccio senza di lei?” gridò l’uomo con la voce strozzata. Per una frazione di secondo Daniela si vide davanti suo figlio e suo marito e si chiese se Paolo avrebbe avuto la stessa reazione. “Ti capisco ma per ora è viva, e qui in Cardiologia sono molto bravi” replicò. L’uomo non aggiunse nient’altro ma gli si inumidirono gli occhi. In quel mentre arrivò Leo che guardò l’uomo con sospetto; gli si avvicinò per bloccarlo qualora avesse alzato le mani ma quando vide che restava lì impalato si allontanò per chiamare l’ascensore. “Io devo andare, in bocca al lupo” disse Daniela avvicinandosi rapidamente all’infermiere. Poi entrò con lui in ascensore e distolse lo sguardo dall’uomo che continuava a fissarla con la disperazione dipinta sul volto. “Ci mancava questo a concludere la serata” commentò Leo appoggiandosi con i gomiti alla testata della barella. “Io me lo sentivo che questa tutta vestita di nero portava merda”. ”E pensare che aveva un tracciato perfetto” osservò Daniela. Poi guardò il cellulare: il display segnava le otto e mezzo. Chiamò suo marito. “Senti io stasera torno a casa più tardi perché c’è stata un’urgenza, te sei ancora al circolo del bridge?”. Paolo all’altro capo del telefono iniziò a parlare. “Meglio così” lo interruppe Daniela. “Allora visto che sei già a casa e abbiamo ospiti inizia a preparare. In frigorifero ci sono del roastbeef e degli affettati, se non bastano ordina delle pizze. Ci vediamo tra una mezz’oretta”. Suo marito cercò di replicare. “Me lo racconti dopo” tagliò corto Daniela e riattaccò. “Figurati se in questo momento mi interessa come mai hanno rimandato il torneo di domani” proseguì. Leo sorrise. “Ognuno ha le sue priorità” disse. Poi cambiando argomento aggiunse: “Comunque ce la siamo cavata anche stavolta” e la abbracciò. “Che sincronia perfetta durante il massaggio cardiaco” commentò Daniela appoggiando leggermente la testa sulla sua spalla.

A quel punto mettendo il cellulare nella tasca dei pantaloni si ricordò dell’anello. Affondò la mano ma non c’era. Provò dall’altro lato ma non c’era nemmeno lì. “Leo ho perso il Trilogy” disse sgranando gli occhi. “Che hai perso?” gli chiese stupito l’infermiere. “Il mio anello di diamanti, l’ho perso” rispose Daniela bruscamente. “Ma sei sicura?” “Certo, guarda che segno mi ha lasciato qui sul palmo mentre massaggiavo. Poi me lo sono sfilato e l’ho messo in una tasca dei pantaloni quando ci siamo dati il cambio”. “Forse ti sarà cascato per terra davanti alla Cardiologia” disse Leo. “Ci sta, ora torno sopra a cercarlo”. “Vuoi che ti accompagni?” “Ma no grazie, te vai pure a casa, abbiamo già fatto tardi”. “Allora a domani”. Daniela lo salutò alla svelta, riprese l’ascensore e salì in Cardiologia. “Mi ci mancava anche questo stasera” pensò irritata. Quando uscì dall’ascensore accasciato su una sedia nella sala di attesa c’era ancora il marito della Berisha con la testa tra le mani. Appena la vide si ricompose sollevando la schiena e allineando le braccia lungo il tronco. Daniela iniziò a guardare per terra più o meno dove aveva rianimato la donna ma del Trilogy non c’era traccia. “Hai perso qualcosa?” chiese l’uomo senza alzarsi. “Non trovo più un anello. Forse mi è caduto mentre massaggiavo tua moglie”. Lo slavo si alzò, andò verso di lei e guardò distrattamente il pavimento. “Qui niente. Costa molto?”. A Daniela parve strano che lui le facesse una domanda del genere mentre sua moglie lottava contro la morte; le sembrò anche di intravedere uno strano luccichio nei suoi occhi mentre pronunciava quelle parole. Fu per questo che ebbe un attimo di incertezza prima di rispondere un flebile: “Insomma”. “Stai a vedere che se l’è messo in tasca lui. E del resto mi è sembrato un tipo losco fin dal primo momento” disse tra sé e sé. L’uomo parve leggerle nel pensiero. “Se trovo io porto in Pronto Soccorso. Come ti chiami?” disse guardandola in faccia. “Giannelli” rispose lei andando verso l’ascensore e premendo il pulsante della chiamata. Lui la seguì. “Senti dottore Giannelli grazie” le disse balbettando. Poi aggiunse con un tono di voce più sicuro: “Mia moglie sapeva che te brava. Mentre lei sdraiata ha detto “Non urlare, lei sa quello che fa”. E lei ragione. Te brava”. Daniela replicò alla svelta: “Ho fatto solo il mio lavoro. Arrivederci”. Entrò in ascensore e mentre le porte si chiudevano gettò un ultimo sguardo sconsolato al pavimento. Quando entrò nello spogliatoio si sentì esausta. Si spogliò barcollando, appoggiandosi più volte all’armadietto. Mentre si levava la parte superiore della divisa sentì un tintinnio provenire dal basso: guardò a terra e vide il Trilogy. “Lo avevo messo nella tasca della maglietta e non me lo ricordavo da quanto sono stravolta” disse a voce alta tirando un sospiro di sollievo. “E ho anche dubitato dello slavo” pensò. Sentì vibrare il cellulare che aveva messo in tasca. Era Paolo. “Dani noi aspettiamo te a cenare. Quanto c’hai?” “Mi sto cambiando” “Ma cosa è successo di preciso?” “Una paziente della mia età ha fatto un arresto cardiaco” “Accidenti” “Suo marito era stravolto” “Ci credo” disse Paolo di getto. Dal tono con cui pronunciò le due parole Daniela ebbe la certezza che suo marito si sarebbe disperato come lo slavo se le fosse successo qualcosa di grave, e per un attimo se lo vide davanti mentre si prendeva tra le mani il viso rotondo e scuoteva il  testone pelato. “E per concludere ho anche perso il Trilogy” “Ma dai, ci tenevi così tanto” disse Paolo dispiaciuto. “Ma poi per fortuna l’ho ritrovato, ti spiego tutto dopo, a tra poco” concluse Daniela. Si immaginò la scena a cui avrebbe assistito rientrando a casa: suo marito l’avrebbe ascoltata per un po’ e poi avrebbe cambiato argomento. Raccontandole dei suoi dubbi sullo slavo quasi sicuramente l’avrebbe presa in giro dandole della leghista. Lo slavo già. Daniela si rivide davanti la sua faccia e sospirò. Ma Paolo faceva l’impiegato di banca, mica faceva il medico del Pronto Soccorso. Lui lo sprazzo di riconoscenza sul volto di quell’uomo che la ringraziava nel suo italiano stentato, la donna che le stringeva la mano e diceva al marito: “Lei sa quello che fa”, lui questo non lo aveva mica mai visto, lui non poteva capire. Fu allora che avvertì una sensazione che non provava da tempo, un’euforia che le scrollava di dosso la grande stanchezza. Sorrise, prese delicatamente l’anello, se lo rimise al dito e lo fissò intensamente: di luce ne facevano parecchia ma erano solo tre stupide pietre senza vita. “Anche se lo perdevo pazienza” si disse dirigendosi verso l’uscita.

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