A quarantacinque anni dalla morte
Enigma Pasolini
Dopo tanto tempo, la morte di Pier Paolo Pasolini è ancora avvolta da mille misteri. Tutti legati alla controversa figura di colui che venne accusato dell'omicidio: Pino Pelosi. L'unica verità è che quella notte perdemmo un grande poeta
«Pasolini non è mai riuscito a tradire se stesso e così, anche quando lo sentivamo minacciato dal gioco degli umori e dei risentimenti, non era impossibile ritrovare l’eco della sua passione umana e, grazie a questa carica straordinaria di partecipazione, finiva per trovare un punto d’appoggio e salvarsi». Nel novembre del 1975 Carlo Bo, allora rettore dell’Università degli Studi di Urbino, scrisse queste parole nell’articolo La voce di Pasolini all’interno della rivista «La nuova antologia». Il 2 novembre l’eterno silenzio ha avvolto quella voce, che, a distanza di quarantacinque anni, non ha ancora trovato pace. Pier Paolo Pasolini: poeta, scrittore, regista, pittore, saggista, critico, eretico; un tutt’uno che ha segnato profondamente e irrimediabilmente la storia della letteratura italiana del Novecento. Negli anni successivi all’omicidio il poeta torna a vivere attraverso una vera e propria profusione di dibattiti sul cosiddetto “scandalo Pasolini”, sul personaggio tanto criticato quanto mitizzato dopo quel fatale giorno. Oggi, dopo quasi cinquant’anni, cosa sappiamo di questo tragico delitto italiano?
Idroscalo di Ostia. 6:30 del mattino. Un corpo senza nome, esangue, giace sulla spiaggia del mare d’inverno. Quello scenario, freddo e deserto, accompagna una morte violenta, sacra e profana. Sarà Ninetto Davoli il primo a riconoscere la spoglia; lui, il ragazzo delle borgate, l’innocente e il furbetto – come cantano i titoli di testa di Uccellacci e Uccellini del 1966– che aveva prestato il volto a numerose pellicole del regista. Pier Paolo Pasolini riposa lì, inerte, percosso e investito numerose volte dalla sua auto, un’Alfa Romeo 2000 GT. Pino Pelosi, un diciassettenne romano, sarà fermato dai carabinieri intorno all’una e trenta alla guida dell’auto del poeta, e accusato inizialmente solo di furto di veicolo. Sarà necessario un dettaglio per cambiare rapidamente le carte in tavola: il ritrovamento di un anello sulla scena del delitto appartenente al Pelosi. Il ragazzo confessò subito di essere stato lui il colpevole: i due si sarebbero incontrati nei pressi della Stazione Termini e l’incontro all’Idroscalo, a sfondo sessuale, sarebbe poi degenerato in un’atroce colluttazione tra i due. Pelosi asserì di aver colpito Pasolini con una tavola di legno e di aver lasciato il corpo morente a terra, dopo essere salito a bordo della sua macchina e aver colpito accidentalmente con la medesima il corpo del regista.
Rinviato a giudizio il 10 dicembre del 1975, Pino Pelosi fu condannato a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni di reclusione. Rilevante è sottolineare che la Corte lo ritenne colpevole di “omicidio volontario in concorso con ignoti” poiché, probabilmente, i due quella notte non erano soli. Molti fecero notare effettivamente come fosse poco probabile che un uomo di cinquant’anni potesse esser stato colpito mortalmente da un giovane ragazzo.
Il 7 maggio del 2005, durante il programma Le ombre del giallo di Franca Leosini, l’allora dichiarato colpevole dell’omicidio sottoscrisse di non aver aggredito personalmente Pasolini, ma di aver assistito al massacro provocato da tre persone dall’accento siciliano, sconosciute al ragazzo. «Io ero terrorizzato per la mia famiglia […] hanno minacciato i miei genitori, ora non ho più paura», dichiara il Pelosi alla giornalista. Le ipotesi investigative ricondussero alla complicità dei fratelli Franco e Giuseppe Borsellino, siciliani, conosciuti nell’ambiente malavitoso con i soprannomi di “Braciola” e “Bracioletta”. I due, pur non avendo un alibi credibile per quella notte, vennero esclusi dall’indagine; morirono entrambi di Aids negli anni Novanta. Nonostante la confessione del Pelosi, per il legale non ci furono rilevanti indizi al fine di chiedere alla Procura di Roma di riaprire il caso.
Nel 2011 Pelosi pubblicò la sua autobiografia in cui scelse di raccontare un’ulteriore verità: scrisse di aver frequentato Pasolini nei tre mesi prima della morte, durante i quali furono rubate le pellicole di Salò o le 120 giornate di Sodoma, a carico, secondo il Pelosi, dei fratelli Borsellino (già morti all’epoca della dichiarazione). Quella sera, come mediatore della trattativa, il ragazzo avrebbe dovuto accompagnare Pasolini dai ladri delle bobine del film. Per mancanza di prove, una nuova inchiesta, durata dal 2010 al 2015, fu archiviata da parte della Procura della Repubblica. Giuseppe “Pino” Pelosi morì nel 2017, affetto da un tumore ai polmoni.
Qual è la verità? Non lo sapremo mai.
«Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo […] Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta», come disse Alberto Moravia ai funerali romani del regista. Ma in mezzo a tutto questo oceano di mistero e degenerazione, il grido di Pier Paolo Pasolini, seppur decadente, rimarrà per sempre immortale.