Racconti brevi e brevissimi di Tiziano Rossi
L’ippopotamo ribelle
In questa “Piccola orchestra”, la prosa del poeta milanese ha il nitore e l’esattezza dei versi. “Antifavole” lucide e cariche di ironia, dove si aggirano eroi umani e animali, testimoniano la felicità di una scelta ormai irreversibile
«“Come la mosca cede alla zanzara”: Gherardo è innamorato di questi versi di Dante, che evocano con tanta grazia e sapienza il calar della sera; e si augura perfino che questi animaletti – mosche e zanzare – tornino un giorno o l’altro nella sua casa a scandire le ore. Ma da più di un anno la sua casa, come l’intera città, è perfettamente disinfestata». Questo piccolo, fulminante apologo, è uno dei tanti che compongono Piccola orchestra – Antifavole e dicerie (La Vita Felice, pp. 181), la nuova attesa raccolta di racconti brevi e brevissimi di Tiziano Rossi. Parafrasando il titolo di un celebre racconto dell’Adalgisa, e rincarando sul numero dell’organico, possiamo dire subito che si tratta di un “concerto per centocinquantanove professori”, laddove la cospicua partitura che ne discende va incontro a un numero incalcolabile di sonorità e soprattutto di dissonanze. E i professori, così come nelle precedenti raccolte di racconti dell’autore – quattro a partire dal 2006 – sono lì a testimoniare, ciascuno con il proprio spartito, il grande impossibile convivere che ci interroga e modella.
La scelta della prosa, per un poeta come Tiziano Rossi formatosi negli anni Sessanta in quel particolare clima della poesia italiana, soprattutto milanese e lombardo, che vedeva nell’alleanza tra versi e prosa una possibile uscita “morale” dalle secche dell’ermetismo, sembra essersi fatta irreversibile. E la sua prosa ha il nitore e l’esattezza che si addicono ai versi, a comporre una pagina sempre lucida, calibrata, che elabora, nella tensione di una sorvegliatissima ironia, più registri mentre diviene critica del linguaggio, delle sue pigrizie, delle sue sfasature e posticce retoriche. Bisogna sentirli parlare, questi 159 professori, per rendersene conto, perché al finissimo orecchio di Tiziano Rossi sembra non sfuggire nulla. Poi, oltre che ascoltarli, converrà vederli in azione, e sorprenderli in quel dato momento – follia, inettitudine, sopraffazione, rivolta … – che li definisce per sempre e ce li consegna.
Questa Piccola orchestra è parente delle Vite di uomini non illustri, per la cura e l’intelligenza linguistica, la misura che permette di avvertire un sottofondo o contesto non dichiarato e, non ultimo, per quel particolare retaggio illuministico di ascendenza lombarda che conosce la malinconia. Ma se nelle rastremate caratterizzazioni di Giuseppe Pontiggia era dato cogliere un intero arco esistenziale – quando non un destino – qui a colpirci, talvolta ad atterrarci, è il momento, l’attimo, allora che si rende decisivo in virtù di una parola o di un singolo gesto. Basso-mimetici – avrebbe detto Northrop Frye – sono gli eroi di Tiziano Rossi, in prevalenza uomini e donne di estrazione urbana e, antifavolisticamente, gli animali con essi convocati. E mi pare di poter dire che rispetto alle raccolte precedenti la presenza di questa fauna del pari loquente e opinante si sia fatta più folta e costituisca forse il segno più persuasivo dell’intero libro.
Il piccione Piercarlo, il tarlo Eufemio, la biscia Teodora, il lombrico Edgardo, il ragno Stanislao, il vecchio lupo Timoteo capobranco, che sorprende per la mentalità da leguleio – «Stupido! Se tu ti fossi appostato a valle dell’agnello e non a monte, avresti avuto dalla tua il diritto e non sparlerebbero di noi!» – e ancora la formica Adalgisa, il leone Antenore, il povero rospo Romildo, che improvvidamente tramutato in un bel giovane sarà costretto a sposare la bruttissima figlia del re e per quanto lo desideri non potrà più tornare rospo: le «fiabe hanno regole ferree e non consentono all’accadere di riavvolgersi, insomma di tornare a come si era prima» ci ricorda Tiziano Rossi, che conclude senz’altro: «Circa il seguito della vicenda è bene tacere». E c’è da aggiungere che per quanto l’intero ordito del libro venga padroneggiato da uno sguardo che delimita e referta, conferendogli una solida impressione di oggettività, proprio a questi confratelli qui ironicamente umanizzati vanno di preferenza le simpatie dell’autore. Come il serpente dell’Eden, in un memorabile sonetto di Belli, dispone la vendetta contro i nostri ineffabili progenitori usi a mortificare le altre creature dandosi un sacco di arie – ma la musica da allora non è poi molto cambiata – così anche l’ippopotamo televisivo si ribella all’umiliazione che lo inchioda come testimonial dei pannolini per l’infanzia, «e così, quando ieri ha avvicinato il bambino che con lui partecipava allo spot, lo ha addentato e tanti saluti».