Valentina Fortichiari
“L’ultimo marinaio” di Andrea Ricolfi

Istanti di mare

Metafora della vita con il suo essere insondabile e i suoi richiami, il coraggio e la libertà necessari ad affrontare le sue sfide, la “grande acqua” è la protagonista del felice romanzo d’esordio dell’autote torinese. Che padroneggia la scrittura con maestria

«Posso dire, adesso che è quasi passata, che la mia vita è stata interessante solo in minima parte: un minuto al massimo, volendo sommare tutti gli istanti degni di essere ricordati. Ma sono certo che ognuno di essi avesse qualcosa a che fare con il mare». È il protagonista di un romanzo a parlare, nell’epoca dei bilanci, a 62 anni, quando la vita si raccoglie su se stessa e si possiedono ormai i tempi lunghi dei ricordi, a dispetto della brevità dei giorni. L’io narrante è Matias Holm, ma se della sua esistenza, quasi del tutto trascorsa, si salva un solo minuto, scomposto in brevissimi istanti di felicità, viene spontaneo domandarsi da dove derivi una concezione della vita tanto drastica, lucida e disperata. Oppure, al contrario, tanto ricca. Forse lo può confessare soltanto chi ha vissuto mille vite in una, ha provato tutto e da tutto è stato annoiato, ricavandone la consapevolezza che solo il mare possiede il dono speciale di consolare, di stregare.

Il romanzo, davvero molto interessante, nel solco della narrativa marina nordica, si intitola L’ultimo marinaio (Garzanti, 147 pagine, 16 euro): ha una copertina bellissima, sospesa in una dimensione atemporale, onirica, le nuvole basse sulla superficie immobile del mare che raddoppia in modo speculare gli elementi del paesaggio. Una piccola casa dipinta di rosso, dimora di pescatori, fa capire che ci troviamo in Norvegia; una barca a vele spiegate se ne sta immobile; sullo sfondo, il contorno morbido di una montagna. Tutto è fermo, in un celeste tenue, quasi di ghiaccio, che fissa per sempre un ricordo, forse. Un sogno?

L’autore, Andrea Ricolfi, torinese, matematico, dopo un dottorato di ricerca conseguito in Norvegia, si è trasferito a Trieste. Un giovane uomo: lo dice la foto sulla quarta di copertina, un sorriso appena accennato, un angolo di mare schiumoso alle spalle, colori di tramonto.La scrittura gli appartiene come se avesse da sempre scritto nella sua testa, nei pensieri: il rigore, l’asciuttezza frutto di una sottrazione, nella fantasia, nei sentimenti, un nitore sobrio, sono le peculiarità del suo narrare. Un pudore insolito che trattiene ogni sbavatura, ogni eccesso, dice e non dice, lascia indovinare al lettore anche più di quanto è sulla pagina. Colpisce subito la rara maturità del vivere di Andrea Ricolfi, anzi dell’aver vissuto e già compreso Tutto, la capacità di fare pulizia dentro, di votarsi all’essenziale, di viaggiare nel mondo libero, solitario, senza illusioni.

Ma adesso la vicenda, in poche parole, perché la storia è apparentemente semplice, soprattutto storia di sentimenti e di profondità, e copre l’arco di pochi anni, per quanto nel congedo sia trascorsa una vita intera in lampi di consapevolezza. Matias è un ventenne, che vive su un’isola, uno scoglio deserto: il nome è Noss ma non esiste nella realtà, probabile la somiglianza con le isole Lofoten.Era bambino quando una tempesta marina gli portò via il padre, lasciandogli una barca a vela, il Marlin, costruita a mano. Non per questo ha smesso di amare il mare, al contrario ne fa una ragione di vita. Con Jonas, amico pressoché coetaneo, il quale gli aveva insegnato a nuotare, fonda una scuola di vela, che diventa insieme scuola di vita per «gli studenti del mare». 

Alla scuola si aggiunge Tomas Henkel, maestro di mare: Matias rimane subito incantato dall’umiltà e umanità di quest’uomo solitario, riservato, eppure dotato di simpatia e senso dell’umorismo. È la sua natura di animale selvatico ad attrarlo, che nessuno avrebbe mai potuto addomesticare, proprio come gli oceani. Diventerà il perno su cui si muove l’intera narrazione, il punto di riferimento per tutti, imprescindibile, per quanto impenetrabile. La lezione di costui è un invito all’ascolto, l’ascolto della voce del mare, e dunque dell’esistenza umana nella quale ci si deve muovere coraggiosi e liberi, quando si sfidano le onde. Il mare non è amico, il mare non si lascia mai conoscere: temibile per la sua imprevedibilità, si doma solo restando uniti, più uniti di una famiglia, per combattere l’inferno durante le tempeste di vento e acqua. Se nessuno – in alto mare – deve mai restare indietro, essere abbandonato, tutti devono sapere quanto sia essenziale la velocità per valutare ogni situazione e decidere subito il da farsi.

Tomas è un esemplare unico, forse l’ultimo di una specie estinta, e Matias – con la mente dell’autore – comprende la fortuna di avere accanto brevemente un uomo singolare, che ha portato «un po’ di limpidezza» nella sua vita, e gli ha insegnato a «intuire la profondità delle cose dalla loro ombra». 

Sono bellissime, liriche, le descrizioni dei paesaggi artici, la danza sregolata delle luci del Nord, l’irrompere prematuro della primavera, gli incendiari tramonti estivi, i pesci con il loro sangue ricco di antigelo, il saluto delle pulcinelle di mare che tornano dalla pesca, i vulcani che si parlano, le tempeste di neve e le stelle; certamente suggestivi solo per chi quelle visioni ha lungamente osservato, con occhi ‘interni’. Non mancano i sogni, che irrompono come lampi, ma che, come le azioni da svegli, fino a un certo punto ci dicono chi siamo. Siamo esseri, a volte solitari come le balene, esseri che non hanno bisogno di clamore, ma che si illuminano quando alcune creature «passano nella nostra vita quasi di soppiatto, a dispetto della profondità che riescono a toccare nella nostra anima». Sapevate che dipende tutto da quanto sono importanti i colori? Tesi singolare di Andrea Ricolfi, che nelle ultime pagine ci parla della rara magia dell’amore. Ma qui mi fermo, non si può svelare il finale: l’intreccio dei destini, la forza del ricordo attraverso gli oggetti, i viaggi mai interrotti, le fughe. L’insondabile, potentissimo richiamo del mare.

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