A proposito di “Unwritten Constitutions”
Da Hegel a Schmitt
Samuel Heidepriem, nell'analizzare il pensiero di Hegel e di Schmitt in materia di “costituzioni non scritte", arriva a riflettere sulla nuova destra mondiale. E sul suo tentativo di rivoluzionare leggi, valori e convenzioni come fossero "leggi da riscrivere"
«La nostra situazione politica globale nel XXI secolo ha questo in comune con la Repubblica di Weimar: le istituzioni liberali sono ampiamente consolidate e tendono a definire le normali aspettative della vita pubblica (diritti individuali, pluralismo, governo rappresentativo), ma questa normalità è costantemente e spesso violentemente messa in discussione». Proprio come accadeva nel 1928, durante quel primo fallimentare esperimento democratico in Germania, quando apparve la Teoria costituzionale del filosofo e giurista tedesco Carl Schmitt (1888-1985) che, nel maggio del 1933, avrebbe aderito al partito nazista. A ricordarlo è Unwritten Constitutions, “Schmitt, Hegel e il significato di costituzione”, un saggio pubblicato sul numero 2 del 2020 della German Studies Review, edita dalla statunitense Johns Hopkins University, e scritto da Samuel Heidepriem, un osservatore privilegiato della rivalità sino-americana, quale politologo e germanista formatosi all’università del Michigan e ora docente presso la Tsinghua University di Pechino.
Nel 1798, il giovane Hegel (1770-1831) cominciò a scrivere un testo mai pubblicato in vita e molto apprezzato da Schmitt, intitolato da un editore postumo Die Verfassung Deutschlands (“La Costituzione della Germania”). La Costituzione americana in vigore dal 1789 e le costituzioni francesi del periodo rivoluzionario, avevano inaugurato da poco l’idea oggi familiare che il senso di direzione della vita collettiva e il conferimento di autorità alle istituzioni dipendano da un documento scritto, invece che da un monarca e dalla nobiltà. Ma in quel testo Hegel continuava a usare il termine costituzione esclusivamente in senso esistenziale, correlato alla situazione effettiva della politica tedesca, così come nel linguaggio colloquiale si parla della costituzione fisica di un individuo. «Se il liberalismo è in declino globalmente e la costituzione scritta è inseparabile da esso, dovremmo sapere cosa attenderci dall’alternativa non scritta», spiega Heidepriem, chiarendo il senso della sua riflessione sul pensiero giuridico dei due filosofi tedeschi.
Hegel e Schmitt svilupparono le loro teorie costituzionali richiamandosi a una tradizione di pensiero politico che enfatizzava l’unità del potere. Hegel si ispirava al Principe di Machiavelli per dedurne che, «senza unità politica, gli Stati tedeschi non avevano alcuna chance contro la Francia napoleonica», scrive Heidepriem, in quanto erano retti da una collezione di statuti che limitavano invece di istituire una fonte centrale di autorità, l’unica in grado di realizzare quanto stava a cuore al maestro dell’idealismo tedesco: ein vereinigtes Staatsganzes, una totalità statale unificata. E il Leviatano di Thomas Hobbes, pubblicato nel 1651, poco dopo la guerra dei trent’anni (1618-1648) e al termine della guerra civile inglese, in un’epoca di crisi politica paragonabile a quelle vissute da Hegel e Schmitt, anticipava entrambi nel minimizzare l’importanza della legge scritta, a favore di una fondazione legale della comunità politica posta nella legge non scritta di natura, distinta dal diritto positivo, quest’ultimo creato da sovrani umani e comunicato con la scrittura.
Per Hegel, riforma costituzionale non significava quindi scrivere nuove e migliori leggi costituzionali, ma intervenire nella struttura concreta del potere. E per Schmitt, i 181 articoli della Costituzione di Weimar non esprimevano una volontà di Stato unitaria, bensì una moltitudine di interessi in competizione, corrispondenti a settori della società civile abbastanza forti per ritagliarsi uno spazio nel documento costituzionale, ma incapaci di unificare l’ordine politico. L’unità dell’ordine politico per Schmitt poggiava sull’esistenza politica del popolo tedesco, e per esistenza egli intendeva null’altro che la sua presenza. Mentre un testo costituzionale descrive cosa la politica dovrebbe fare, senza garantire che lo farà, il potere costituente esiste oppure no. E tra il crollo dell’Impero tedesco alla fine della prima guerra mondiale e la promulgazione della Costituzione di Weimar, ovvero tra il novembre del 1918 e l’agosto del 1919, il potere costituente del popolo non derivava da alcuna codificazione normativa, ma essenzialmente da una realtà che si era stabilita. Lo stesso schema interpretativo fu applicato da Schmitt al nazismo, una nuova autoformazione politica del popolo tedesco che, per determinare l’ordine legale, la volta successiva scelse Hitler, che infatti non ebbe nemmeno il disturbo di dover abolire formalmente la Costituzione di Weimar, talmente da essa non scaturiva alcun potere decisivo.
Quanto mai attuale è pertanto l’osservazione di Heidepriem che questa dimensione extralegale del potere, coincidente con la capacità di istituire la legge, veniva collegata da Schmitt, nella Teologia politica del 1922, alla facoltà di decidere sull’eccezione, vale a dire sulla sospensione dell’ordine legale, che è sempre una reazione a una situazione che per qualsiasi motivo esula dall’ordinario. Riferendosi in particolare a Donald Trump, al Brasile di Jair Bolsonaro e ai successi della destra tedesca di Alternative für Deutschland, Heidepriem nota che «se la destra continua a guadagnare potere elettorale e istituzionale, sarebbe ingenuo ritenere che a un certo punto non tenterà di ristrutturare le categorie basilari del diritto». E lo farà in due direzioni intrecciate. La prima è la politica contro gli immigrati, che cercherà una struttura legale adatta a preservare il senso di omogeneità nazionale, intesa come negazione della differenza culturale, secondo quanto teorizzò Hegel nel saggio sul Diritto naturale del 1802-1803: i costumi di una comunità nazionale non devono essere letti, scritti o comunicati, perché sono pensati da chi ne fa parte davvero, mentre l’altro da escludere è appunto chiunque dimostri di non averli presenti.
La seconda è il militarismo. La dicotomia amico-nemico, che Schmitt indicò come essenza della politica nel Concetto del Politico (1932), è anch’essa concreta ed esistenziale, invece che metaforica o normativa, risultando di fatto indipendente da qualunque documento costituzionale in vigore al momento. E l’idea di costituzione in senso esistenziale e assoluto, che è quello non scritto caro a Hegel e Schmitt, tende a coincidere con i poteri di guerra. Il nemico infatti non è tanto un aggressore in azione, quanto l’altro esistenziale, che all’interno dei confini diluisce l’unità nazionale, all’esterno è una minaccia sempre presente, perfetta per «respingere il principio liberale globale che le guerre dovrebbero essere evitate, considerando l’aggressione militare una forma legittima di sforzo nazionale. Le restrizioni imposte da documenti come testi costituzionali, trattati di pace e accordi commerciali saranno irrilevanti, perché l’unità esistenziale del popolo, piuttosto che la legge scritta, sancisce l’autorità finale. Dopo aver demonizzato vari altri nazionali, i leader dell’estrema destra del futuro si sentiranno anche costituzionalmente tenuti ad attaccarli», conclude Heidepriem.