Parole e ombre/2
Fredda
«Di me sono state dette tante altre cose: che sono eccessiva, difficile da portare, non elastica, pretenziosa, svasata. Come volete. Nessuna di queste mi ha ferita tanto come il fatto di sentirmi dire che sono fredda»
Immagine di Martino Pirella
Mi sfiori. Esaminami pure, o accarezzami. Ti accorgerai che sono anche io così, lucida e setosa come avevi in mente, ma senza spendere troppo. Sono e anche tante altre cose, però se pretendi ancora di più, allora no, allora forse non sono quella che fa per te. Sono un’imitazione, te lo concedo. Fuori, nel mondo, altre me, sparse un po’ ovunque, si contendono la tua attenzione, e credi di meritare di meglio, di essere unica e insostituibile. Non è così, lo sappiamo. Il mio compito è fare in modo che qualcuno sia disposto a riconoscerlo. Posso provarci, ma non passare oltre, per favore non lasciarmi qui. Per quello che valgo sono un affare, io sono un affare, anche se sono – perché lo hanno detto, una volta hanno detto di me che lo sono e da allora penso che è vero e da allora è diventato vero – sono: fredda. È vero, una volta hanno detto di me che sono fredda, ma non lasciarmi qui. Non so cosa voglia dire, nel mio caso, fredda. La ragazza che si prende cura di me, quella che mi aveva anche messa in vetrina, neanche lei sapeva cosa intendesse la donna. Mi aveva appena indossata quando lo ha detto.
«Fredda?» le ha chiesto.
«Il colore.» ha risposto lei, e poi mi ha messa via.
Io non so se sono fredda, e poi cosa vuol dire? La mia è una tinta blu fosco con effetto metallizzato. Altro che fredda. Sul serio vuoi lasciarmi qui? Lo pensi anche tu? Va bene. Sarò anche fredda ma non dimenticare che su un lato ho un divertente ricamo di paillette.
Di me sono state dette tante altre cose: che sono eccessiva, difficile da portare, non elastica, pretenziosa, svasata. Come volete. Nessuna di queste mi ha ferita tanto come il fatto di sentirmi dire che sono fredda. Perché a nessuno piacciono le cose fredde. Ma poi lo sono sul serio? Sono composta al 98% di viscosa e al 2% di elastan. Lunghezza midi. Questo è un fatto. Il resto è interpretazione. Però non mi scegliete mai. Anche questo è un fatto.
Vorrei piacervi di più? Certo. Ci provo, ma qualcosa si mette sempre di mezzo. La volta in cui la donna ha detto chiaro e tondo che ero fredda le ho creduto. In questo siamo simili, io e tutte voi, crediamo a tutto quello che ci viene detto e lo ricordiamo per sempre. Quindi da allora sono fredda. La ragione per cui non mi scegliete mai deve essere questa. Devo proprio essere fatta così. Non l’ho scelto io, comunque. Non so perché questa cosa sia un problema. Sono come tante altre. Oppure è questo il problema? Il problema è essere come tante, tra tante? Perché per voi è un problema. Sto divagando e tu stai per andartene. Tornerai? Nel caso, ecco qualche altra informazione sul mio conto. Puoi lavarmi a casa, se vuoi, ma ricorda che sopporto massimo i trenta gradi. Candeggiare: scordatelo. Stirare: puoi stirarmi, ma fai attenzione alle temperature. L’asciugatura a tamburo non è mai stata un’opzione. Non fai prima ad andare sul sicuro con una bella lavatura delicata a secco? Mi piacerebbe tornare a casa con te., ma ho capito, come non detto.
A ogni modo ora in vetrina ci sono le altre. Quelle di un certo tipo, le ampie, quelle arricciate in vita, a balze, le estive in popeline (frivole), le sofisticate dalla silhouette scivolata (pretenziose), le primaverili sablé (finte ingenue), le stampate in twill di seta o in georgette (superbe), le plissettate (promiscue). Tutte quelle del nuovo catalogo: loro non hanno problemi.
Ho trascorso le ultime tre settimane a veder entrare le clienti e scegliere sempre qualcuno che non ero io, a guardarle, in posa, a fare piroette davanti allo specchio, mirandosi di sbieco, schermando la paura dietro un sorriso innaturale, una scrollata di capelli, mentre io me ne stavo buona, accanto a una partita di pullover a coste con collo a barchetta arancioni, cardigan lunghi e infeltriti in filati misto e top dorati con maniche in rete, stretta contro di loro, ammassata in un carrello porta abiti cromato, oltraggiato da un cartellone giallo su cui è stata impressa la parola “Saldi”.
Ero esausta, quanta fatica cercare di essere scelti. È andata così, finché non sei tornata a prendermi. Sei venuta verso di me, oserei dire che mi stessi cercando. Mi hai guardata. Mi hai fatto sentire come quando ero in vetrina, aggrappata ai fianchi duri e traslucidi di Rebecca, un bel busto in polipropilene senza testa, e ho capito di colpo che anche per te, lì fuori, non è che le cose andassero meglio. Mi hai sfiorata. Ancora prima che le tue dita mi trascinassero via dal mio calvario ho capito di essere tua. Ma avrebbe potuto non essere vero. Perché io lo credo sempre. Sono fatta così, ci vuole poco per comprarmi. In questo siamo simili. Nello specchio eravamo perfette. La ragazza della vetrina ti ha dato istruzioni per il lavaggio. Hai risposto che ti servivo subito, non c’era tempo. Così ho saputo che quella sera avevamo un appuntamento. Hai pagato con la carta di credito. Mentre mi adagiava nella busta color avorio, la ragazza ti ha chiesto della serata.
Non avevi nulla da dire, lo avremmo conosciuto insieme per la prima volta. Siamo uscite. Non ero triste, non ero felice. Non sono stata fatta per l’una o l’altra cosa. Era l’inizio di una nuova vita, volevo solo godermela. Seduta in macchina, mi hai tirato fuori dalla busta e hai letto ancora una volta sulla targhetta che avevo cucita addosso di cosa sono fatta. E tu di cosa sei fatta?
Hai bisogno anche tu che qualcuno ti legga per saperlo?
Ma adesso che siamo alla fine della serata la mia composizione è già cambiata: 98% di viscosa, 2% di elastan, a cui vanno aggiunti: fango, sperma, e un bel po’ del tuo sangue. Lavare via tutto: lasciamo stare. Stirarmi non ha più importanza. Sono tutta squarciata, fatta a brandelli. E ora anche tu sei fredda. Ti ho lasciata lì, neanche il tempo di salutarti. Il corpo nudo e bianco, il volto coperto dai capelli scuri, sembravi Rebecca, in posa in una vetrina notturna. Sono andata via con lui, mi ha portata con sé. Ora sono a casa sua. Sono sporca, guasta, sformata, rovinata per sempre, ma a lui non importa. Mi annusa, sento il suo alito caldo. Si è appena spogliato, si strofina contro il mio corpo ferito, non sono sicura ma penso che stiamo facendo l’amore. Gli piacciono le cose fredde, a lui vado bene così come sono. E credo di amarlo.
Emanuela Cocco ha scritto per il teatro e per la tv. È redattrice della rivista di drammaturgia contemporanea Perlascena. Suoi racconti e contributi critici sono stati ospitati su alcune riviste, tra queste: Achab, Script, Lo Spazio Bianco, Verde, L’irrequieto, CrapulaClub, Donne Difettose, Malgrado le mosche, Horror, Flanerì, Zest. Con il racconto Mappa ha partecipato alla raccolta “Le parole sono importanti”, Dots Edizioni, 2018. Con il racconto Demiurnare ha partecipato alla raccolta “Vocabolario minimo delle parole inventate”, a cura di Luca Marinelli (Wojtek, 2019). Collabora come docente alla Scuola Macondo – l’Officina delle Storie. Tu che eri ogni ragazza (Wojtek 2018) è il suo primo romanzo. Scrive di quello che legge e che vede su: congetturesujakob.com
Martino Pirella. Nato a Mantova 58 anni fa. Ha studiato alla Scuola d’Arte a Gorizia e poi Venezia dove si è laureato in architettura. Dopo nove anni a Milano come urbanista con lo Studio Gregotti Associati, si è trasferito a Roma, dove vive e lavora da ormai vent’anni, svolgendo attività di consulente, formatore e project manager. Appassionato di musica e di teatro, è stato l’animatore de I Beatles a Roma, gruppo multidisciplinare che ha portato in scena per dieci anni la musica e la storia dei Beatles nei principali teatri della Capitale. Più di recente si è interessato di fotografia, partecipando a numerose mostre collettive e a festival fotografici in Italia (Roma, Todi, Santa Severa) e all’estero, (Les Rencontres de la Photographie di Arles), con una ricerca sull’autoritratto, il selfie, la auto-rappresentazione del corpo.