Attilio Del Giudice
Un racconto di normali soperchierie

Lo stil novo

«Hai ragione, non si deve permettere. Pure perché offendendo te, ha offeso anche tua madre che ti ha fatto chiattone. Io sono solo tuo cognato, ma faccio parte della famiglia e non mi posso stare zitto»

Alle sette di sera c’è ancora molta luce nel nostro paese in fondo al corso la piazzetta col monumento di tale Meschieri Eraldo (un eroe del Risorgimento, che è nato qui). La piazzetta definisce e chiude il paese con una ringhiera, dalla quale si può godere un panorama ampio e anche bello, pittoresco, come dicono le cartine della Pro loco; naturalmente quando c’è visibilità, specialmente d’inverno con l’aria cristallina e i venti di tramontana che puliscono il cielo. Oggi no, siamo in pieno agosto, c’è foschia e la vallata con questa caligine non ha alcun fascino. È stata una giornata afosa, senza un filo d’aria, non si respirava e ancora si anela a cercare un po’ d’ombra.

D’estate è sempre aperto, anche di notte, un chioschetto dove vendono fette d’anguria, limonate e spremute d’arancia. Mi sono fermato qui per bere qualcosa di fresco e ho dovuto ascoltare parole che, in qualche modo, mi sono sembrate nuove e specifiche di  un mondo irreversibilmente degradato, una realtà e un linguaggio che,  in questi nostri antichi paesi contadini, non erano mai comparsi. Nessuna inibizione per la mia presenza: ero là, vicino al chiosco, ma come se non ci fossi stato.

Ecco, ascoltate anche voi.

* * *

“Quello che ti ha offeso sta affacciato alla ringhiera, si sta pigliando la spremuta. Lo vedi? È lui?”

“Si, si! È lui. Però credo che è meglio lasciar perdere. Non mi voglio rovinare la giornata.”

“Ma fammi capi’: esattamente che ti ha detto?”

“Mi ha chiamato chiattone. Io lo so che sono chiattone, ma lui non si deve permettere!”

“Hai ragione, non si deve permettere. Pure perché offendendo te, ha offeso anche tua madre che ti ha fatto chiattone. Io sono solo tuo cognato, ma faccio parte della famiglia e non mi posso stare zitto. Mo ci parlo io con questo stronzetto e vediamo se tiene le palle.”

“Vabbé, lascia stare, magari se si permette un’altra volta…”

“Come sarebbe ‘Lascia stare’. E allora? Ché, ci vogliamo calare i calzoni con questo merdillo? Tu tieni un nome e un cognome e appartieni a una famiglia che tutti devono rispettare, senza contare che Amelia, tua sorella, a maggio, diventa la mia consorte. Basta una volta che uno fa finta di niente e sei fottuto. Pensano che ti metti paura e in qualunque cosa non conti più niente, sei il due di picche.”

“Mannaggia, però facci la lezione, ma non lo massacrare, perché quello è il nipote di Sanguetta e Sanguetta non se lo tiene l’oltraggio.”

“Stai tranquillo! Non lo massacro. Ce lo faccio solo capire. E, poi, a me Sanguetta non mi fa tremare, anzi, sai che ti dico: Sanguetta a me mi fa una pippa. Tiene 76 anni, un cancro alla prostata e sta per finire il tempo che poteva fare il capo dei capi senza che nessuno si mettesse di traverso a fargli cacare sangue.”

“Va be’, però fammi sta’ tranquillo.”

“Non ti preoccupare, ci penso io. Sono o non sono tuo cognato?”

* * *

“Ue’ bello! Ti devo chiedere una cosa. Però mi dispiace, forse prima ti vuoi sorseggiare l’aranciata?”

“No, no, per carità, a disposizione. Che mi volete chiedere?”

“Tu lo sai che questo ragazzo è mio cognato?”

“È vostro cognato? Veramente non lo sapevo, però se me lo dite voi. Cioè, mo lo so.”

“Ah, adesso lo sai? Bravo! E come lo vogliamo chiamare a mio cognato? Signor Nicola Manzella o, magari, lo vogliamo chiamare: chiattone?”

“No, no! Signor Nicola Manzella.”

“Bravo, vedo che capisci! Però non basta, io credo che ci vuole qualche altra cosa.”

“Forse devo chiedere scusa?”

“Chiedere scusa, certo questo è un passo avanti, ma è ancora poco. Lo dovresti capire da solo e mi meraviglio che non lo capisci che è ancora poco.”

“Veramente, mo mi trovo un po’ spiazzato.”

“Ah, ti trovi spiazzato? E mo ti aiuto io. Tu mo ti devi inginocchiare e devi dire: Signor Manzella pisciatemi in bocca ne ho piacere. Apri la bocca e aspetta! Quando Nicola ha finito, ti alzi e ti vai a sorseggiare l’aranciata con la cannuccia. Mi so’ spiegato? Hai capito bene? No, perché se non hai capito bene, io tengo molta pazienza e ti posso ripetere.  Devi dire: Signor Manzella, per favore pisciatemi in bocca, fatemi questa cortesia!“

“Si! Ho capito, cioè ho capito, però…”

“Però? Che cazzo dici? Mi vuoi far perdere altro tempo?”

“Avete ragione. Scusate. Faccio come avete detto.”

* * *

Cari lettori, avete ascoltato? Io sono certo che molti di voi si saranno chiesti: questo, che qui fa la voce narrante, che stava là e ha potuto sentire e vedere, perché non è intervenuto? Ha avuto paura? Ha trovato conveniente farsi i fatti suoi?

Non sono intervenuto, perché non stavo là, anzi tutto quello che vi ho raccontato è la classica finzione letteraria che tende a imitare la realtà. Ora, in questo sforzo narrativo, ho inseguito la realtà, ma sono stato il più possibile moderato, timidamente moderato, soprattutto ho considerato la sensibilità di lettori anziani, increduli e sgomenti di fronte a questa deriva.

La realtà, cari amici, purtroppo, è più dura, squallida e truculenta.

Grazie, in ogni caso, dell’attenzione.


Accanto al titolo, una scultura di Mu Boyan

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