Un convegno della rivista "Agalma"
Emergenza permanente
Filosofi riuniti per discutere di "arte e emergenza": fino a che punto il virus sta condizionando il nostro modo di vivere e pensare? Quasi tutti hanno parlato del liquefarsi dei confini tra i saperi
Mai come nella maggior parte dei mesi di questo anno la parola emergenza ha avuto un uso più frequente. Il coronavirus ci fa vivere in uno stato di emergenza permanente, in una sorta di ossimoro che descrive l’andamento delle nostre vite. In queste ultime settimane che coincidono con l’inizio della stagione influenzale ancora più del solito. Basta scorrere qualunque giornale italiano e internazionale per trovarla evocata in un modo o in un altro sia per dirci che le misure straordinarie di attenzione, di protezione e di distanziamento sociale saranno prolungate più del previsto, sia per definirne i contenuti in termini di limitazioni, sia per parlare di ciò che manca per vivere entro una normalità ormai solo immaginata.
Ne ha parlato un seminario che si è svolto il 12 settembre a Nemi promosso dalla rivista Agalma, rivista di estetica e di studi culturali fondata nel 2000 dal mai abbastanza compianto filosofo Mario Perniola (dio solo sa quanto si sente la mancanza nel panorama culturale nazionale e internazionale della sua voce e del suo pensiero) e oggi diretta da Luigi Antonio Manfreda professore di Filosofia teoretica all’Università di Tor Vergata di Roma.
Il seminario Arte e Emergenza ha parlato proprio di quanto questo stato di eccezione incida sulle nostre vite e sui processi culturali in generale. Cosi si sono succeduti intellettuali nazionali e internazionali di diverse discipline che hanno declinato questa parola entro i rispettivi campi di competenza. Filosofi, antropologi, letterati, artisti, psicanalisti, ne hanno indicato l’influenza, le trasformazioni sulla cultura e sulla nostra vita quotidiana. Quasi tutti hanno parlato del liquefarsi dei confini tra i saperi.
Cosi Caterina di Rienzo, coreografa e danzatrice, nella sua bella relazione intitolata Danzare: un piano di emergenza ci ha parlato di come questa parola sia legata proprio all’emergere, alla presenza per definizione legata alla mobilità di questa disciplina artistica, “all’immagine evenemenziale” connessa all’evento che però non si cristallizza mai. Dando origine a un discorso di incrocio di temi e di saperi che mette in discussione lo statuto di un’immagine che perdura.
Ma ci sono anche altri significati di questa parola, come fa notare Fabrizio Scrivano, professore di Letteratura italiana all’Università di Perugia, il quale a quest’ultima accezione ne aggiunge altre due, non prima di avere specificato che esiste un’ambiguità di fondo insita nella parola stessa. Il primo è “il presentarsi, il rendersi visibile anche all’improvviso di qualcosa che non si era ancora percepito e che finalmente occupa il nostro spazio di vita, di attenzione” e che si può decidere di ospitare, di ascoltare, prendendolo anche a modello, l’altro il presentarsi “di un problema e di una grana che richiedono un intervento riparatore o repressivo” qualcosa di cui abbiamo paura perché turba la normalità o quel qualcosa che fino a quel momento abbiamo percepito come tale. Scrivano cala poi questi significati nel “discorso pubblico” e parla di politiche dell’emergenza che riguardano la sicurezza, il controllo, la repressione e di “parole alleate” come paura, terrorismo, migrazione, disastro climatico e ora virus. Il tutto comporta un restringimento delle pratiche democratiche, fornendo solo l’opzione di reagire o di collaborare. Il rischio è l’abitudine.
Ci sono poi stati altri interventi che hanno parlato di transdisciplinarietà più che di multidisciplinarietà, evidenziando l’impossibilità di coltivare ognuno il proprio orticello, facendo contaminare i saperi, come tempo fa aveva teorizzato Nicholas Mirzoeff lo studioso americano creatore dei Visual Studies. Bisogna usare “insieme tutti gli strumenti a nostra disposizione a costo di rinunciare alla sicurezza dei confini disciplinari come l’unico modo per pensare e agire il presente” come ha affermato Daniela Angelucci professoressa di Estetica all’Università di Roma Tre.
Tutti gli interventi hanno portato alla luce l’esigenza di rivedere i nostri modelli di vita e i saperi, in direzione di un nuovo cluster di valori e soprattutto di priorità esistenziali e culturali che fino ad ora avevamo ignorato o considerato secondari.