I Leoni d'oro della Mostra del cinema
Venezia in bianco
Hanno vinto Alberto Barbera e Roberto Cicutto (direttore del Settore Cinema e presidente della Biennale), ha perso Rai Cinema, che pretendeva di identificare se stessa con la produzione nazionale e invece non sa più intercettare il meglio della nostra produzione
Si può fare il bilancio di un festival senza avere visto, praticamente, nessun film? No, non si può, o meglio, non si potrebbe. Ma in questo caso si deve. Perché in questo festival, anzi, in questa 77^ edizione della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica c’è chiaramente un vincitore e ancora più chiaramente uno sconfitto. Il vincitore è il direttore Alberto Barbera, e con lui Roberto Cicutto, presidente della Biennale, che lo svolgimento della manifestazione hanno fortemente voluto. Lo sconfitto, a parte quel satanasso di Pierfrancesco Favino che ha, in maniera quasi ineluttabile, vinto la Coppa Volpi come migliore attore per l’interpretazione in Padrenostro di Claudio Noce e, nella sezione Orizzonti, Pietro Castellitto migliore sceneggiatura per I predatori, lo sconfitto, dicevamo, è il cinema italiano. Perlomeno questa è la prima impressione che si ricava dalla assegnazione dei premi.
Ma per una volta, lo sconfitto, ha un padre, o se volete, una madre. Perché, a ben guardare, Rai Cinema, che era presente in pompa magna, ha ricevuto un solenne scapaccione. I suoi film – e non il cinema italiano con cui Rai Cinema non può pretende di identificarsi in toto – sono i veri sconfitti di Venezia 2020. A questo punto credo converrà, a tutti, farsi una domanda. Non è che si sta sbagliando qualcosa, per lo meno ultimamente? Non è che alcuni investimenti sono stati fatti un po’ troppo sulla fiducia e poco sui contenuti? Non è che magari c’è da togliere qualche ragnatela, dare una rinfrescata a quei sepolcri imbiancati individuando quelli che ne avrebbero davvero un gran bisogno? Forse sì, ma credo che non sarebbe giusto dare tutta la colpa a questo importante settore della nostra amata mamma Rai, che altre volte ha invece brillantemente figurato. Ma sarebbe davvero un errore mortale non rendersi conto che il nostro cinema ha un grosso problema, legato anche alla debolezza di una scrittura che non riesce, salvo rarissime eccezioni, a rinnovarsi, a rigenerarsi. È in questo caso che iniziano le responsabilità: nel non saper cogliere, individuare ed incoraggiare quel che di nuovo i nostri autori potrebbero offrirci. Fossilizzarsi è un attimo. In fondo non siamo come Don Abbondio: il coraggio, in certi casi, possiamo anche trovarlo, per il bene di tutti.