Incontro con il grande scrittore napoletano
La letteratura necessaria
«Ci sono delle idee nella nostra fantasia e allora diventa necessario scriverle. Chi è Raffaele La Capria? È sulla pagina scritta che si rivela lo scrittore. Quindi “chi è” è quello che ho scritto»
Mentre cammino avanti e indietro, dirimpetto all’ingresso di Palazzo Grazioli, incontro una signora bassina, vestita bene e con i capelli tinti di nero raccolti in uno chignon più sopra della nuca.
– Aspetta qualcuno? – chiede, la sua bocca gonfia di silicone si muove sulla faccia allungata.
– Sto aspettando le undici per salire da La Capria. Devo intervistarlo. – rispondo.
Subito dopo Valerio, il regista, mi raggiunge insieme a Lorenzo che invece si occuperà delle luci e del montaggio.
Gli occhi della donna hanno un guizzo.
– Ah! Io ho sempre detto che al professore dovrebbero dare il Nobel! Per quale giornale lavorate?
– No no… La video-intervista verrà proiettata a un convegno sul Romanzo – dico, intanto che rollo il tabacco nella cartina. Poi abbasso la cerniera del giubbotto, comincio a sentire un po’ caldo. Ci tratteniamo ancora qualche minuto e prima che la signora si congedasse, ci prega di portare il suo saluto al maestro. Loretta mi pare che si chiami, i nomi non li ricordo mai, non riesco a concentrarmi appena le persone si presentano.
Siamo carichi di telecamere, faretti, microfoni e cavi di ogni tipo. Dobbiamo fare tre viaggi in ascensore per arrivare all’ultimo piano dove si trova l’abitazione. Apre la porta Emma, la sua collaboratrice domestica. Ha l’accento dell’est, ci saluta con affetto mentre tra le mani legnose sistema sul braccio il panno da cucina.
Siamo nell’ingresso, ci vorrà almeno un’ora per tirare fuori l’attrezzatura dalle borse e poi montare tutto e sistemare nel salotto.
– Il signor Raffaele ci metterà un po’ per arrivare. Si sta ancora preparando. Ma avvisatemi quando siete pronti – dice Emma e va via chiudendo la porta.
In fondo alla sala, c’è una poltrona con un telo porpora sgualcito con dietro una lampada a cilindro. Intorno, le librerie di legno arrivano fino al soffitto, i tavolini con le foto di famiglia insieme alla moglie Ilaria soprattutto da giovani. Valerio apre le tende che fino ad ora erano chiuse, scoprendo le lunghe vetrate e l’enorme terrazza panoramica su Roma. La luce si riflette sui trofei, targhe d’oro e d’argento, cofanetti in velluto.
– Ammazza che vista! – fa Valerio, legandosi i capelli lunghi con l’elastico. Lorenzo è silenzioso, osserva gli angoli della stanza, le ombre, i chiaroscuri per posizionare al meglio i faretti.
Finalmente l’attrezzatura è pronta e avvisiamo Emma. Dopo qualche minuto la porta si apre, entra La Capria accompagnato quasi di peso da lei che, tenendolo per il braccio sotto all’ascella, lo fa accomodare con lentezza sulla poltrona. Siamo molto emozionati. Ci saluta e subito ci domanda su quale tema è l’intervista. Dico che è sul romanzo con la collaborazione della Fondazione Premio Napoli e di Achab la rivista letteraria di mio padre. Mentre con interesse sfoglia la rivista che gli ho appena consegnato, Emma ci fa qualche raccomandazione.
– Il signor Raffaele non ci sente, parlate a voce alta più vicini all’orecchio destro che è quello migliore. Comunque state tranquilli, è lucidissimo! Di quanto tempo avete bisogno? Perché poi all’una deve pranzare.
Le rispondo rapida che non ci metteremo molto.
– C’è anche un’intervista a Erri De Luca, sulla rivista. Cosa pensa di lui? – gli faccio.
– Eh! Ognuno ha il suo modo di scrivere – risponde evasivo.
Lui è adesso di fronte alle telecamere, la barba un po’ incolta sulla faccia, gli occhi gonfi sono immobili e sotto uno di questi c’è una macchia scura, forse un grande neo. Per ora gli sono seduta accanto.
– Per chi è questa intervista? – domanda e gli rispondo ancora una volta.
– Ah, ho capito – fa lui.
Mi allontano sedendomi su una sedia di fronte col canovaccio zeppo di appunti alla mano.
Valerio dà il via alla registrazione.
– Che idea ha del Romanzo? – mi tremano le mani, la voce è incerta.
– Ha avuto un ruolo import… – viene subito interrotto dal regista.
– Mi scusi, dovrebbe ripetere il soggetto… altrimenti non possiamo montarlo – dice Valerio con gentilezza.
Alza gli occhi, alle volte pare un po’ spaesato, e ricomincia:
– La mia idea di romanzo è basata su un’esperienza personale: l’incontro che ho avuto con i grandi romanzieri dell’epoca, ovvero Tolstoj e Dostoevskij. Tolstoj per la sua scrittura è un grande fiume che scorre come la vita mentre Dostoevskij per il suoi romanzi nervosi, di ipersensibilità dove le ragioni dell’uomo, quelle più profonde e fondamentali vengono sempre discusse in una maniera straordinariamente vicina a noi.
– Secondo Lei qual è il destino del Romanzo? Siamo di fronte a una crisi o a una mutazione?
– Il romanzo esisterà finché esiste il racconto della vita. È difficile che il romanzo scompaia finché l’uomo avrà la capacità di raccontare chi è ci sarà il romanzo.
Mi stupisco delle risposte rapide, molto brevi.
Gli chiedo come definirebbe il suo Ferito a morte, gli scappa una risata dicendo che è un romanzo e basta, un romanzo d’inizio e che racconta la vita che passa.
Comincio a pensare che forse ho sbagliato tutto, che avrei dovuto preparare altre domande, qualcosa di più diretto forse. Faccio fatica a parlare a voce alta, ma sono costretta per non fargli sfuggire le parole. Continuo:
– Ha anche collaborato alle sceneggiature di molti film come Le mani sulla città di Francesco Rosi. In che modo ha influito il Cinema nelle sue opere letterarie?
– Cinema e letteratura sono due forme di espressione che nella mia vita sono andate di pari passo. L’una è servita all’altra. Per me erano equivalenti perché avevano la stessa funzione. Si può fare il racconto attraverso il cinema e attraverso le parole.
Appoggio il canovaccio sul pavimento, mi faccio forza e vado a braccio:
– Quand’è che la scrittura diventa necessaria?
– Sono domande del cavolo, – sorride – nel senso che ci sono delle idee nella nostra fantasia e allora diventa necessario scriverle. Soprattutto bisogna esprimere la vita del proprio tempo e la propria visione del mondo in un certo periodo della storia.
– Che ruolo ha un Maestro di pensiero nella società? Ne riconosce qualcuno oggi?
– Maestri di pensiero? Maestri ai quali riferirsi? Anche per riconoscere il talento? Beh non so… devo fare qualche nome di scrittori per me importanti? Ci devo pensare… ora non mi viene niente.
Valerio interviene, spostandosi con la testa sopra alla telecamera:
– Prima ero musicista e la musica mi ha aiutato molto per il ritmo nel montaggio. Lei ascolta musica quando scrive?
– Non ascolto necessariamente musica quando scrivo. Però c’è sempre una musicalità in ognuno di noi, un suono, possiamo dire, della scrittura che è diverso l’uno dall’altro ed è quello che si percepisce immediatamente.
– Cosa consiglierebbe a un giovane scrittore? – gli domando.
– Di avere nella testa idee…
– Può ripetere il soggetto per favore? – fa Valerio, facendomi l’occhiolino.
– Consiglierei a un giovane scrittore di avere nella testa idee chiare, di avere anche una cultura e cioè di conoscere la tradizione da cui egli stesso deriva. Leggere Dostoevskij e Tolstoj per esempio. Poi se uno il talento ce l’ha, che faccia lo scrittore altrimenti è inutile che si cimenta. E non è necessario solo per chi scrive ma ci vuole anche un talento di lettore. Perché non c’è un’emissione se non c’è uno che riceva. È questo il punto.
– Cos’è che non le piace invece? – Valerio fa segno a Lorenzo di continuare a riprendere con l’altra telecamera, quella laterale. Do un’occhiata fuori, verso la terrazza dove c’è uno stendino con i panni: qualche maglioncino, calzini e mutande.
– Non mi piace tutto ciò che sa di falso, di non autentico, di manierato, di preso a prestito. Insomma, si nota subito quando c’è una scrittura fasulla e falsa e diversa dalla necessità che fa la scrittura vera.
– Chi è oggi Raffaele La Capria? In che modo si pone davanti “alla pagina bianca”? – gli faccio, ho la gola affaticata.
– È una domanda che si mangia se stessa. È sulla pagina scritta che si rivela lo scrittore. Quindi “chi è” è quello che ho scritto.
– E com’era la sua vita prima della scrittura?
– Non mi ricordo come era la mia vita prima di diventare uno scrittore. Io credo che si nasca con la tendenza d’essere scrittore.
Gli chiedo ancora se secondo lui c’è una differenza tra lo scrittore “del Sud” e tutti gli altri. Risponde che non ci dovrebbe essere differenza, che vale solo la scrittura autentica, la capacità di esprimere la verità della propria origine.
– Sta scrivendo qualcosa in questo periodo?
– No, io in realtà sto solo dormendo…
– Beh, dopo tanti anni di lavoro intenso… – guardo Valerio e Lorenzo e decidiamo di terminare la registrazione.
– Abbiamo finito la tortura! – dico e lui si mette a ridere.
Lo ringrazio, mi faccio firmare la mia copia di Ferito a morte, scattiamo una foto insieme. Poi chiamo Emma bussando alla porta di fronte e subito ci raggiunge. Piano, tenendolo sempre stretto stretto a lei, accompagna La Capria in camera sua. Penso che si sia stancato molto oggi. Mi affaccio alla ringhiera della terrazza per respirare un po’ d’aria fresca, inizio a fumare. Mi volto, c’è un gatto nero dall’aspetto regale, con il pelo gonfio che dall’angolo di una sedia mi fissa. Roma dall’alto è silenziosa, si sta bene. Chissà se lui si ricorderà di questo incontro, a me di certo resterà sempre nella testa.