Periscopio (globale)
Nick Carter & Co.
Mezzo secolo fa, nel 1970, annus mirabilis dei fumetti, uscirono alcune strisce che poi fecero epoca: "Il commissario Spada", "Nick Carter" e "Up". Tre personaggi diversissimi fra loro che hanno cambiato le abitudini di questa arte
In questa rubrica non mi è mai capitato finora di parlare di fumetti; me ne è mancata, in termini montaliani, l’occasione. Vedo di rimediare ora con un breve sondaggio che potrà sembrare quasi archeologico.
A cinquant’anni esatti, si può rilevare con il senno del poi come per il fumetto il 1970 sia stato un annus mirabilis, un’annata davvero magica. Negli Stati Uniti escono alcune strisce che faranno epoca, come Broom Hilda di Russell Myers, Gummer Street di Phil Krohn, Momma di Mel Lazarus e Doonesbury di Trudeau, e appare per la prima volta, ad opera di Roy Thomas e Barry Smith, il personaggio di Conan, che diventerà una delle figure più popolari della Marvel. Una volta tanto, però, l’Italia non sta a guardare, e anche sul suo mercato, evidentemente molto più ristretto, si sviluppano alcune proposte innovative. Dello stesso anno, il 1970, sono infatti Il commissario Spada, Nick Carter e Up, tre fumetti diversissimi fra loro che vorrei ricordare qui brevemente.
Il primo dei tre è una serie di cui sono autori Gianluigi Gonano e Gianni De Luca, pubblicata su un settimanale cattolico, Il Giornalino, dal 1970, appunto, per una dozzina d’anni. Protagonista ne è Eugenio Spada, un funzionario della Criminalpol di Milano, vedovo e con un figlio quindicenne che a volte gli è d’aiuto nelle indagini. Taciturno e preciso, ai limiti della pignoleria, con la sua perseveranza il commissario Spada riesce ovviamente a risolvere anche i casi più difficili.
La particolarità della serie sta nell’esplorazione delle vicende nazionali di grande attualità a quei tempi, con particolare attenzione alla cronaca nera e ai temi politici che si sarebbero intrecciati con episodi criminali, dalle proteste giovanili al terrorismo, dalla malavita organizzata alla diffusione sempre più capillare delle droghe pesanti. Il commissario Spada deve vedersela tanto con delinquenti comuni quanto con criminali politici o ispirati da motivazioni politiche, come il brillante Geronimo, che tenta in tutti i modi di sabotare la società borghese; in seguito, dovrà affrontare anche gruppi terroristici, come quello che nel fumetto viene denominato “Aut aut”.
Quanto a Nick Carter, si tratta invece, almeno all’inizio, di un fumetto televisivo. Ideato anch’esso nel 1970, comparirà e avrà un notevole successo due anni dopo nello storico e innovativo programma Gulp. Fumetti in TV. Testi e disegni sono rispettivamente di Bonvi (Franco Bonvicini) e Guido De Maria. Subito dopo, Nick Carter diventerà anche un seguitissimo fumetto cartaceo, pubblicato dal Corriere dei piccoli, e con il passare degli anni il personaggio sarà protagonista di numerosi volumi e riproposto da Bonvi (spalleggiato in seguito da un altro affermato disegnatore, Silver, l’autore di Lupo Alberto) anche in un altro programma televisivo di fumetti di notevole successo, Supergulp.
Il protagonista, ricalcato su un precedente letterario – un personaggio dello scrittore statunitense di gialli John Russell Coryell –, è un investigatore dall’acume assai scarso, assistito dal gigantesco quanto stolido Patsy e da un piccolo cinese chiacchierone di nome Ten, che ha sempre qualche antico proverbio, ovviamente frutto della millenaria saggezza orientale, da proporre come glossa surreale alle situazioni più disparate. La parodia degli investigatori americani raffigurati nei romanzi hard boiled degli anni Trenta è affidata, oltre che alla scoperta delle scarse qualità investigative di Carter, anche alla reiterazione esasperata delle storie, che vedono Carter trionfare, alla fine, ma smascherando sempre il medesimo colpevole: il perfido e inafferrabile Stanislao Moulinsky, che ha eccezionali capacità di travestirsi e trasformarsi. Alla fine di ogni episodio Moulinsky pronuncia la fatidica frase: «Ebbene sì, maledetto Carter! Hai vinto anche stavolta!», una specie di rassicurante tormentone. Questa denuncia autoironica del sistema reiterativo ci riporta all’analisi del linguaggio dei fumetti fatta da Umberto Eco in Apocalittici e integrati, uscito qualche anno prima, e testimonia della capacità di riflettere in modo anche scanzonato sulle proprie strutture espressive.
Su tutt’altro piano, più propriamente di satira politica e sociale, siamo con la striscia Up, il sovversivo di Alfredo Chiappori, ispirata alla contestazione giovanile di quegli anni e pubblicata dalla rivista Linus. Racconta le avventure dell’omonimo personaggio, un omino che ha deciso, per protesta contro la società, di vivere capovolto e che assomiglia dunque a un pipistrello. Questa posizione singolare e soprattutto l’anticonformismo delle sue taglienti battute ne fanno un rivoluzionario permanente, le cui sfuriate sono provocate da situazioni tipiche in una società basata sul consumismo e sull’edonismo alla quale non risparmia le sue stoccate. A provocare le sue reazioni sono in particolare due personaggi: l’angelica Elisabetta, che rappresenta la speranza in una civiltà più sana e razionale, e Alfreud, un reazionario che vive rinchiuso in un cubo e che sarà poi protagonista di una striscia successiva.
Considerato il padre del fumetto di satira politica, Chiappori, classe 1943, è stato il precursore e maestro dei vari Altan, Staino o Pericoli e Pirella, e sarà in seguito autore anche di una storia del Risorgimento in chiave umoristica. Up, il sovversivo appare, forse non a caso, all’incirca un mese dopo la strage di Piazza Fontana e la defenestrazione di Giuseppe Pinelli ed è il segnale, se non la scintilla, del risveglio dell’espressione fumettistica dichiaratamente di sinistra e ostile al regime democristiano.
Per capire la portata iconoclasta e perturbante di queste strisce, pur nella loro sobrietà e nelle loro differenze anche sostanziali, non va dimenticato che sono anni assai particolari, di scontri sociali e politici non dissimulati che colpiscono anche il mondo dei fumetti.
Appena quattro anni prima, per l’esattezza il 28 settembre 1966, la magistratura era intervenuta ad esempio con durezza, facendo sequestrare in tutte le edicole del paese l’albo n° 45 del fumetto Satanik di Magnus e Bunker, dal titolo L’isola dei mostri. Il reato sarebbe stato quello di offesa alla morale comune, sovvertimento dell’ordine familiare e – persino – raccapriccio. Dato che gli albi erano destinati principalmente a un pubblico giovanile, i magistrati censuravano il fatto che in certi casi il Male potesse prevalervi sul Bene, finendo per dare l’impressione, secondo i giudici antieducativa, che il Male finisse per rendere. La serie, che (sia detto en passant) arrivò a toccare le duecentomila copie vendute, continuò tuttavia la sua corsa per un’altra decina d’anni, malgrado i tentativi di censura e le numerose interrogazioni parlamentari, e rimase caratterizzata da un forte umorismo e dal gusto per il grottesco, mentre i tratti horror si andarono col tempo stemperando.
Un intenso dibattito si svilupperà poco dopo anche al 2° Convegno internazionale sui fumetti di Lucca, dove Gino Sansoni, l’editore di Diabolik, l’altro fumetto nero italiano per eccellenza, dovette precisare che il suo personaggio non era amorale, che la lotta ingaggiata da Diabolik e dal suo avversario, l’ispettore Ginko, la lotta fra Bene e Male, non si esauriva nel fumetto, ma continuava nella vita di tutti i giorni, e che il fumetto si limitava semmai a rappresentare quest’ultima. Oggi queste sembrano ovvietà, ma all’epoca la distinzione fra fumetti “buoni” e “cattivi” era marcata, al punto che i primi riportavano in copertina il marchio “Garanzia morale” per distinguersi dai secondi. C’erano insomma ottimi motivi per far sì che molti disegnatori di fumetti si orientassero non verso lo scontro aperto con certa magistratura e con i benpensanti, ma verso creazioni ironiche e corrosive, che faranno superare comunque al fumetto il suo tradizionale status d’intrattenimento puro.