Pier Mario Fasanotti
Su “I luoghi più strani del mondo antico”

Da Eridu a Troia

Lo storico Martin Zimmermann racconta la genesi dei luoghi e delle città. Comprese quelle più antiche o dimenticate, come Eridu, metropoli dei sumeri, o la mitica, scomparsa Troia. Perché nelle città c'è il destino degli uomini

Gli antichi dell’Occidente, ossia i greci e i romani, continuavano a fondare insediamenti urbani, ma col tempo essi venivano distrutti e abbandonati. Ognuno aveva una sua caratteristica architettonica. E ce n’erano alcuni che non rimandavano a mura, strade e piazze, bensì ai miti, alle leggende, molte delle quali erano strettamente legati ai sentimenti, in primis l’amore. A indagare, con straordinaria documentazione, è un libro della Einaudi, I luoghi più strani del mondo antico (294 pg., 20 euro). L’autore è Martin Zimmermann, docente all’università di Monaco di Baviera. Il quale avverte che non si smette di cercare. Anche perché quando alcuni studiosi americani hanno iniziato a marcare gli antichi insediamenti su una carta digitale (progetto chiamato “Pleiades”, come la costellazione) il numero dei cosiddetti “luoghi” ha superato 36 mila unità. E aumentano, dice l’autore, di giorno in giorno.

Gli insediamenti avevano talvolta tratti molto comuni, grazie ai quali i viaggiatori traevano il vantaggio di raccapezzarsi, tra strade, vicoli, piazze, eccetera. Un esempio: un marinaio siriano del primo secolo d.C. sapeva come muoversi a Massilia, l’odierna Marsiglia, nella Gallia meridionale. Ciò non toglie che alcuni centri urbani presentavano una certa differenziazione e varietà. Curioso il fatto che «l’umanità del tempo era realmente ossessionata – osserva l’autore – dai luoghi più strani e dai mondi contrapposti». Ovviamente non mancavano accenni di terre lontane e misteriose, popolate da esseri favolosi e mostri, in grado di far apprezzare e in un certo qual modo nobilitare la patria.

Gli antichi leggevano con gusto posti dell’Asia Minore, come Cuma o Abdera, i cui abitanti dovevano apparire completamente strani, per non dire ottusi, ai greci dell’Ellade. Alcuni governatori romani, come ad esempio Gaio Licinio Muciano (metà del primo secolo d.C.) passavano parecchio tempo, a cercare i luoghi meno noti, o addirittura ignorati dai più, per poi farne oggetto di documentazione geografica-politica. Erano attratti da un elemento comune: ogni insediamento aveva un luogo “strano”.

Tutte le religioni, nessuna esclusa a quei tempi, narrano dell’origine del mondo e dei suoi primi abitanti. La Bibbia è una fonte eccellente, ma occorre precisare che la Bibbia è solo una delle numerosissime narrazioni e, precisa l’autore, «nemmeno tanto originale». Il paradiso «come immagine primordiale della storia era una visione presente anche in altre culture, proprio come la punizione divina decisa dagli dei di annegare l’umanità per il suo comportamento peccaminoso». In tutti i luoghi della terra si raccontavano storie di dei ed eroi che avevano lottato contro mostri per far sorgere “il mondo degli uomini”. Qualche esempio: il gigante norreno (ossia di zona germanica o islandese) Ymir o le divinità giapponesi Izanaghi e Izanami: esseri leggendari creati appositamente per spiegare, in modo poetico, «l’origine del mondo e un ordine che tiene insieme le comunità umane». Ci è particolarmente familiare – a noi occidentali – la figura di Zeus che lottò contro i giganti, o il dio orientale Marduk, che debellò il mostro Marzuk. Guerre assai cruente, senza alcuna eccezione. Insomma è proprio da escludere la negoziazione o l’arguzia dei tranelli.

Gli antichi, secondo l’autore, tenevano i gran conto le leggende belliche che caratterizzavano la loro origine lungo millenni. Ciò serviva a comprendere il proprio posto in un mondo difficile da comprendere e decifrare, ancorata a una preistoria praticamente sconosciuta. La leggenda fungeva come ancora spirituale. Ciò non toglie però che nei tempi antichi ci si aggrappava alle «grandi opere poetiche o a racconti vividi». Queste immagini mentali non bastavano, o perlomeno «un corrispettivo concreto nella realtà… ovvero si aveva bisogno di un corrispettivo nella realtà… un posto nel qui e ora. Il Verbo si faceva sostanza e si materializzava nel mondo». Potremmo dire: l’idea è importante ma da sola non basta, ci vuole la pietra. E la pietra non era mai arrogante o grossolana in quanto neutra: essa “narrava” le leggende dei semidei che avevano partecipato alla fondazione delle città. Nessun elemento del passato è mai disgiunto dal presente.

Martin Zinnermann, autore di questa affascinante ricostruzione dell’antichità, ci narra di una città conosciuta solo da pochi, le cui rovine sono lontane da qualsiasi percorso turistico. Si trova nell’Iraq meridionale e si chiama Eridu. Potremmo definirla come la prima città del mondo. Con la guerra del Golfo il British Museum aveva la missione di proteggere le antichissime rovine della regione. Fu intrapresa una spedizione archeologica, protetta dai militari. Collaborarono esperti tedeschi e gli stessi iracheni. Nel 2008 l’intento era quello di passare al setaccio lo spazio che divideva la città di Ur (ben conosciuta) e quella di Eridu. Obiettivamente occorreva avere molta fantasia per descrivere – si fa per dire – la città, situata su un luogo squallido, «posto al centro di un vasto e arso territorio desertico».  Ci vuole fantasia per “guardare” la città, che si trova tra il lago di Hammar a nord-ovest e un’enorme spianata acquitrinosa, non lontano dall’incontro dei due fiumi, il Tigri e l’Eufrate. Questa regione fino al 1991 era molto fertile e ricca d’acqua. E così era millenni fa, quando era considerato il modello del giardino dell’Eden di cui si legge nella Bibbia. Tutto è peggiorato con la guerra in Iraq, quando gli sciti compirono massacri orribili e prosciugarono l’area acquitrinosa. Un giornale tedesco titolò: Il paradiso non è più qui.

Nei tempi antichi in questa regione c’erano molte città sumere. Eridu ebbe un ruolo speciale, perché era forse il luogo più antico e sacro. In base agli scavi del XIX e del XX secolo si è riusciti a datare questo insediamento primitivo attorno al 5400 a.C.. Ma a rendere speciale questa località si erigeva il tempio del dio Enki, una costruzione impressionante costituita da diciotto fasce architettoniche, costruite da altrettanti strati sovrapposti l’uno sull’altro, seguendo uno schema molto elaborato. Enki, il dio del tempio, era considerato il simbolo della saggezza: aveva sconfitto Abzu, il dio delle acque dolci, prendendo così il potere sull’acqua, che era immaginata come un gigantesco lago sotterraneo. Nelle figurazioni del dio l’Eufrate e il Tigri scaturiscono dalle sue spalle. Ma ci sono alcune varianti del mito. Una delle quale narra che Enki si sia masturbato per far sorgere con il suo sperma il Tigri. A questo proposito, spiega l’autore, si spiega «una drastica allegoria dell’immane fertilità della Mesopotamia». Secondo altre leggende Enki era talora immaginato addirittura (con gli dei Anu ed Enlil) come il fondatore del mondo e creatore dell’uomo.

Secondo i testi della storia mitica di Eridu, la città esisteva già precedentemente al grande diluvio, di cui si raccontava ben prima dell’Antico Testamento. Perché il diluvio? Al tardo II millennio si data un testo, la cosiddetta Genesi di Eridu, che è la più antica menzione sumerica della grande inondazione. In base ad essa il dio Enlil decise di spazzare via dalla terra gli uomini chiassosi, rei di disturbare le sfere divine. Non morirono tutti. Enki, amico dell’umanità, decise di far costruire una barca enorme per sopravvivere assieme alla sua famiglia e ad alcuni animali scelti. Attenzione alla stranissima analogia tra le antiche narrazioni (Bibbia compresa). Un altro testo in cuneiforme, ci informa Zinnermann, ambienterebbe già Eridu la vicenda del giardino dell’Eden: «Un tessitore o un giardiniere di nome Tagtug viene punito da Enki per il fatto di aver mangiato un frutto dall’albero proibito, cosa che gli era stata espressamente vietata».

Rovine di Troia

Che dire poi di Troia, presumibilmente collocata nella Turchia occidentale? Gli antichi greci credevano a quanto Omero aveva narrato, anche se pare che in quella zona gli antichi insediamenti del 1200 a.C. erano in gran parte distrutti. Furono dunque quelle rovine di tremila anni, che probabilmente attorniavano l’odierna Hisarlik) ad alimentare la fantasia e, al tempo stesso, poter datare la civiltà ellenica al secondo millennio a.C.. Contro la rocca di Ilio si mossero soldati ed eroi greci provenienti da duecento poleis (città stato). Ilio, abbiamo detto, ed è bene sapere che Omero parlava di Troia (o Troie) in riferimento alla spianata attorno alla rocca che per dieci anni fu attaccata da eserciti e milizie con a capo uomini che diventarono immortali: Achille, Ajace, Ulisse, ecc.. Come si ricorderà, un manipolo di troiani fuggì dalla città in fiamme. Ce lo racconta l’Eneide di Virgilio (nel 19 a.C.).  Quanto accadde in quella parte di Turchia divenne, nel Medioevo, un elemento di irresistibile fascino. Molti nobili asserivano che la loro genealogia iniziava proprio da Ilio e da coloro che sbarcarono nel Lazio.

Ci sono poi luoghi collegati a leggende amorose e non a pietre o fortificazioni.  Ad Abido, sulla costa micro-asiatica dei Dardanelli, qualsiasi costruzione antica è scomparsa. Ma a indicare una struggente storia d’amore è rimasta una moneta, risalente all’imperium di Settimio Severo. Si narra che un certo Leandro si innamorò di Ero, sacerdotessa di Afrodite. A dividerli era il mare dei Dardanelli. Allora Ero collocò in cima a una colonna un grande lume, così da facilitare la nuotata di Leandro. Finche un furioso temporale distrusse il faro e mise fine a quella eroica passione. Leandro affogò, e la sua amata, distrutta dal dolore, si tolse la vita.

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