Verso la riapertura delle aule
Chi disfa la scuola
Il Covid ci ha dimostrato che ognuno dice la sua, salvo poi prendersela con chi non ha trovato la soluzione, anche se la soluzione non c’era (ormai lo sappiamo tutti). A scuola, per esempio, tra banchi, bus, mascherine, termometri, abbiamo dimenticato la cultura. E la formazione
Penso a uno di quei libri in edizione tascabile pubblicati negli anni Cinquanta, ereditato dai genitori o comprato su una bancarella dopo mille interiori note di giubilo, letto o consultato centinaia e centinaia di volte, un libro con la costola fatta a pezzi e le pagine che si staccano. Lo teniamo tra le mani e ci sembra che possa disfarsi solo a contatto con le nostre dita. Già una leggera brezza potrebbe costituire un pericolo per la sua salute di libro in disfacimento. Bisogna non sfogliarlo, non cadere nella tentazione di riaprirlo, che ci si ritrova le pagine ridotte in ordine sparso, come se fossero carte da gioco, una fatica ricomporle avendo cura di seguire l’ordine stabilito. Una volta che ci fossimo riusciti, che il volume sembra riposizionato nella disposizione originaria, c’è sempre qualcosa che non torna e comunque il ritratto non è più lo stesso, non fosse altro per i lembi delle pagine che qui e lì fuoriescono dal limite che la copertina, o quello che resta di essa, vorrebbe imporre.
La scuola è come quel libro. Un prezioso reperto affettivo e culturale in edizione economica e in via di decomposizione. Appena ci si mette le mani sopra, le pagine confondono il proprio verso, si sparpagliano, non ritrovano più una disciplina. L’avvento di Covid-19 è stato una tempesta per la scuola italiana, che ha resistito con orgoglio, asserragliata nella roccaforte della didattica a distanza, mentre la tempesta diventava un ciclone e lo stato confusionale penetrava tra gli interstizi. Fogli sparsi dovunque, sempre più difficile riportare le cose nel loro verso, perché il verso in fondo mancava già da molto, la costola disfatta raccoglieva solo pagine sgualcite, che un tempo avevano composto una narrazione coerente ed ora rappresentano un insieme sciatto e caotico, che si tenta di riorganizzare a forza di acronimi e di burocrazie da avanspettacolo.
Dopo decenni di successivi e sempre più problematici assemblaggi, dopo l’aria turbolenta scatenata dall’emergenza virale, ultima nel tempo delle tante meno burrascose ma altrettanto dannose emergenze, dopo tentativi di rieditare il volume sempre naufragati a causa delle sollevazioni dei nostalgici e dei conservatori di una rivoluzione a venire, quello che resta sono banchi rovesciati, certo in versione monoposto, mascherine abbandonate ad un destino di incertezza, insegnanti asserragliati dietro cattedre diventate fortezze per difendersi dai tartari, dovessero mai arrivare, studenti costretti ad un disciplinare degno di un riformatorio, un catechismo che mette paura prima ancora che spingere a atti di responsabilità. Ci si difende così: l’etica è quella di liberare la coscienza da ogni ipotesi di colpevolezza. Ci si domanda chi debba misurare la febbre agli studenti, non se questo serva a qualcosa. Soprattutto non ci si chiede se la scuola del dopo coronavirus possa essere in tutto uguale alla scuola che esisteva prima dei lunghi mesi di lockdown dell’insegnamento.
La scuola nell’anno di Covid-19 ha incontrato la grande occasione per diventare sana e bella, e si ritrova, all’inizio dell’anno scolastico, quello della cosiddetta ripartenza, il primo dopo il grande confinamento, a non sapere che volto ha, qual è la sua temperatura corporea, in che direzione stanno andando le sue gambe. Cerca di mettere insieme i capitoli che compongono il libro e manca sempre una pagina, un’altra è girata al contrario, dell’indice del volume si sono perse le tracce.
È ancora l’epoca delle ricette dispensate sotto forma di benedizioni, un po’ si salvi chi può, un po’ la messa è finita andate in pace, solo che qui non è ancora cominciato nulla e l’officiante a quanto pare non ritrova il messale. Invece che guardare verso l’altare della cultura, se mai ce ne fosse ancora uno, ci tocca di assistere ancora una volta a uno dei tanti talk show dove tutti si atteggiano a depositari di verità. Sotto il bombardamento di slogan, la scuola traballante rischia di ritrovarsi presto un ammasso di macerie. La lunga sequenza delle certezze da studio televisivo si stempera nella realtà quotidiana della ridda dei tentennamenti. Le mascherine proteggono studenti e insegnanti e di conseguenza anche i loro familiari e di conseguenza la popolazione tutta, ma forse anche no, potrebbero anche rendere cattivi i respiri e i pensieri. Quindi è possibile non indossarla, la mascherina, anzi meglio farlo solo nel caso di “situazione epidemiologica di bassa circolazione virale”. Il distanziamento sociale è indispensabile per fare in modo che Covid non riemerga, come se si ritrovasse di nuovo a ballare in una discoteca della costa smeralda, ma forse non è proprio così importante sui mezzi di trasporto che i ragazzi siano a debito intervallo l’uno dall’altro, in quel caso vale solo la distanza di sicurezza tra un veicolo e il precedente, da aumentare in caso di pioggia.
Le lezioni quest’anno cominciano tutte lo stesso giorno, in ogni parte d’Italia, con buona pace delle Regioni e della loro autonomia calendaristica pensata a suon di previsioni meteorologiche e di esigenze degli operatori turistici. Ma forse no, anzi no senza nemmeno forse, perché a Bolzano si torna tra i banchi il 7 settembre (solo a Bolzano? e il resto dell’Alto Adige?), in Friuli il 16, le scuole in Sardegna riaprono il 22 (del resto sono chiuse anche le discoteche), in Puglia il 24. La Campania deve ancora decidere, il governatore De Luca, chissà, starà pensando a una riapertura modello famolo strano, scuole aperte solo quando sono chiuse nelle altre regioni. Sugli scuolabus i posti occupati dovranno essere pari al 50% della capienza, suggerisce il Comitato scientifico, ma forse no, meglio al 75%, ma non ci sono i mezzi necessari dicono i Comuni, allora si può viaggiare occupando l’80% dei posti disponibili. Anche il cento per cento se il viaggio è inferiore ai quindici minuti: nel caso di ingorghi che potrebbero far lievitare il tempo di percorrenza, scendere e farsela a piedi.
La scienza è questo, il Covid ce lo ha insegnato: ognuno dice la sua, salvo poi prendersela con chi non ha operato una soluzione, pensando fosse quella corretta, anche se la scelta corretta non c’era, ormai lo sappiamo tutti.
E la scuola? Non doveva ripartire anche con un rinnovamento delle idee, degli spazi mentali, oltre che di quelli fisici, che del resto in gran parte sono rimasti gli stessi?
La tempesta è entrata dalle finestre lasciate aperte per areare i locali, i fogli sono sparsi sul pavimento sanificato, forse non vale neppure più la pena raccoglierli, chi ha voglia di rimettere insieme il volume, che poi i cocci sarebbero i suoi, non sia mai. E poi, per raccogliere le pagine di questo vecchio libro in edizione economica, bisognerebbe alzarsi dal banco, circolare nello spazio dell’aula e dunque ridurre la rima buccale, lo spazio tra le bocche, che non può nemmeno diventare, che ne parliamo a fare, rima baciata.