Cartolina dall'America
Perché Kamala Harris
Le origini metà giamaicane e metà indiane, il marito ebreo, l'esperienza amministrativa in California: quali sono le ragioni che hanno indotto Biden a scegliere Kamala Harris come sua vice? Negli Usa le elezioni si vincono anche grazie alle lobby...
E cosi abbiamo la coppia che guiderà i democratici alle prossime presidenziali di novembre. Joe Biden ha scelto la sua vicepresidente: Kamala Harris, senatrice della California. Era chiaro che avrebbe scelto una donna e che, dopo l’assassinio di George Floyd e l’attivismo di questi ultimi mesi del movimento Black Lives Matter, sarebbe stata nera. Biden aveva uno spettro ampio di candidate che andavano bene: da quelle che avevano servito nell’amministrazione Obama come Susan Rice a deputate come Karen Bass della California e Val Delmings della Florida a Stacey Abrams deputata del parlamento della Georgia che aveva perso l’elezione a governatrice di quello stato a Keisha Lance Bottoms, sindaca di Atlanta. Queste ultime due avevano in realtà molti numeri per ricoprire il ruolo di vicepresidente e carisma da vendere.
Nessuna di coloro sopramenzionate aveva tuttavia esperienza amministrativa sufficiente o seppure l’avevano, come nel caso di Rice, avrebbero ricordato all’elettorato episodi spiacevoli come la strage di Bengasi quando Rice era ambasciatore alle Nazioni Unite prima di diventare consigliera del presidente Obama per la sicurezza nazionale. Le altre donne che facevano parte della rosa delle candidate non di colore erano la senatrice Elizabeth Warren, la governatrice del Michigan Gretchen Wilmer, la senatrice dell’Illinois Tammy Duckworth di origini tailandesi ed eroina della guerra in Iraq durante la quale aveva perso le gambe pilotando il suo elicottero che fu abbattuto, e le senatrici del Wisconsin Tammy Baldwin e dell’Arizona Kyrsten Sinema. Tutte queste avrebbero potuto svolgere in maniera egregia quel ruolo.
La scelta si è concentrata su Kamala Harris che diverrà la prima donna nera a ricoprire il ruolo di vicepresidente degli Stati Uniti, in caso di vittoria di Biden. A suo favore gioca il doppio legame etnico: è infatti figlia di un’indiana Tamil e di un giamaicano e quindi può attrarre sia i voti degli afroamericani che quelli degli indiani che sono emigrati in America. È stata, prima di diventare senatrice, Attorney General dello stato della California che ha il numero più alto di avvocati di tutto il paese (circa 7.000). Questo la porta naturalmente a una facilità di dibattito che certamente spaventa Trump e il suo vicepresidente Mike Pence con il quale dovrà affrontare un pubblico scambio di idee. Ambedue questi uomini contemplano con difficoltà immagini di donne forti. I prossimi tre mesi saranno pieni di attacchi sotto la cintura. C’è da esserne sicuri. Trump, si sa, non risparmia nessuno e Harris non farà eccezione.
Nelle elezioni del 2016 il voto delle donne costituiva il 55% dell’elettorato secondo una stima del Pew Reasearch Center. Nelle elezioni di midterm del 2018 le donne erano il 53% come anche nelle precedenti cinque tornate elettorali. Le donne dunque hanno il potere di pilotare le elezioni. E questo i repubblicani lo sanno bene.
Ma quali sono gli strati di popolazione che Harris potrà attrarre nei prossimi mesi? Vediamo nel dettaglio i suoi punti di forza e di debolezza. Certo le donne la sosterranno senza sé e senza ma. Gli afroamericani viceversa non affideranno meccanicamente il loro voto a lei solo perché è nera. Molti di loro infatti ricorderanno ad esempio che quando ricopriva il ruolo di Attorney General della California era stata troppo accondiscendente nei confronti degli abusi che la polizia perpetrava verso i neri. E il suo melange etnico in casi come questi può non aiutare. A volte infatti la comunità nera si sente meglio rappresentata da bianchi come Bernie Sanders o Elizabeth Warren. D’altra parte il suo supporto nei confronti del movimento Black Lives Matter la rende immune a critiche di questo genere.
Harris è sostenuta dalla comunità ebraica. Il marito Douglas Emhoff è ebreo e i due si sono sposati con rito ebraico. Da quando è stata eletta nel 2016 ha già parlato due volte alla Convention dell’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) da cui ha ricevuto forti sovvenzioni. Inoltre ha sostenuto la risoluzione del Senato nel 2017 che ha respinto la decisione dell’amministrazione Obama che condannava le politiche dei settlement dei coloni israeliani.
Per quanto riguarda il sostrato sociale dl sostegno alla coppia Biden-Harris, anche grazie a quest’ultima, è pensabile che le classi medie che in precedenza avevano votato democratico ripeteranno l’esperienza a cui si aggiungerà anche una parte di coloro che avevano votato Trump e che sono stati delusi dagli ultimi mesi di politica senza criteri razionali. Resta da vedere cosa faranno le classi popolari a cominciare da quei Blue collar workers parte dei quali alle ultime elezioni avevano dato in molti casi la preferenza a Trump.
C’è infine una considerazione da fare. La narrativa di Harris, come d’altra parte quella di Biden, sembra essere il contrario di quella di Trump che tende sempre a sbigottire il suo elettorato con affermazioni esagerate fatte solo per stupire. E che, a cominciare da come ha gestito la pandemia, sembrano progressivamente distruggere il consenso nei suoi confronti. Il bisogno diarroico di rilasciare parole alla leggera o di twittare senza sosta con affermazioni spesso senza senso sembra sortire l’effetto contrario a quello dell’approvazione. E c’è da chiedersi se la pratica di stare in silenzio o di parlare solo in alcune occasioni in maniera misurata non sia una strategia politica studiata al tavolino da Biden e adesso da Harris per fare sì che il loro avversario si distrugga da solo. Che gli americani riescano a ritornare in sé e finalmente a vedere le cose come stanno?