Nicola Fano
Ai Musei Capitolini di Roma

La luce di Longhi

Una bella mostra di opere caravaggesche dalla collezione privata del grande critico Roberto Longhi mette in risalto il lavoro di quei pittori intorno alla luce. Quasi a stravolgere la realtà e a preconizzare l'illuminotecnica teatrale

C’è ancora un mese per vedere la mostra Il tempo di Caravaggio ai Musei Capitolini di Roma: un’occasione preziosa non soltanto per ammirare il celebre Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio, ma anche per cogliere il senso di una grande passione critica: quella di Roberto Longhi per la luce caravaggesca. Infatti l’esposizione – curata da Maria Cristina Bandera – propone una quarantina di tele provenienti dalla collezione personale del grande critico (1890-1970), di cui quest’anno ricorre il cinquantenario dalla morte.

È strano e bello vedere insieme questa serie di caravaggeschi proprio sul Campidoglio, nel cuore della città che vide esplodere la moda del naturalismo figurativo nel Seicento: quasi un ritorno a casa. Ed è molto ben studiata, la mostra, perché segue una linea precisissima, quella dell’importanza della luce nelle opere, vera e propria feconda fissazione di Roberto Longhi. Il quale, studioso straordinario ed eclettico, con i suoi approfondimenti tese sempre a rilevare l’artificiosità nella presunta naturalezza della pittura classica: con Caravaggio e i suoi seguaci (come dimostra questa esposizione) e poi con la predilezione per quella che chiamò “pittura plastica” (Masaccio, Piero della Francesca, Paolo Uccello).

Giuditta e Oloferne di Carlo Saraceni

Qui si va da una piccola serie di figurette di Lorenzo Lotto fino a uno strepitoso Giuditta e Oloferne di Carlo Saraceni, dalla singolare Allegoria della Vanità di Angelo Caroselli (una curiosa, moderna scena laica in un tempo in cui la pittura era soprattutto a soggetto religioso) agli Apostoli di Jusepe de Ribeira (il più caravaggesco dei caravaggeschi…). Per finire con due grandi tele di Mattia Preti che segnano il confine tra il metodo caravaggesco e la pittura successiva (da non perdere il bellissimo Susanna e i vecchioni), quasi rasentando il bianco e nero nella scelta di colori in grado di esaltare il lucore della pelle delle donne.

Susanna e i vecchioni di Mattia Preti

Ecco, proprio la sperimentazione degli effetti di luce, come si diceva, è il segno distintivo di questa mostra: quasi che Longhi, con la sua collezione, avesse voluto testimoniare il lavoro pittorico che sta alla base della illuminotecnica teatrale (che nacque proprio negli anni della sua formazione, i primi del Novecento). D’altra parte, la passione per la scena accompagnò sempre la sua attività: anche i suoi studi su Piero della Francesca vertono giusto sulla capacità del maestro di Sansepolcro di “rappresentare” la realtà, evitando la moda del suo tempo che prescriveva piuttosto l’obbligo di “imitarla”.

La mostra romana, dunque, si segnala non solo per la sua colta bellezza, ma anche per come insiste sull’aspetto anti-naturalistico della pittura seicentesca, quasi a testimoniare che nell’attenzione spasmodica alla verosimiglianza di Caravaggio e dei suoi seguaci c’era comunque una predilezione per la “messa in scena”: pare di veder muovere i candelabri, in questi quadri, immaginandosi i pittori alle prese con modelli immobili che dovevano districarsi tra fonti di luce diverse, in grado di rendere quasi iperrealistico il risultato sulla tela. Teatro, in ogni caso; a testimonianza, ancora una volta, di come la pittura e l’arte scenica siano sempre state interdipendenti, soprattutto nel caso di artisti attenti alla “interpretazione” non pedissequa, non fotografica del reale.

Questa mostra, infine, rende omaggio a un maestro della critica il cui magistero va continuamente ribadito per ricordarci che, nel nostro Paese, la storia del Novecento non si è divisa maniacalmente in crociani e marxisti, ma ha conosciuto eccellenze che hanno seguito strade proprie lontane dalle mode. Tanto che oggi, 2020, per (apparente) paradosso, la scuola longhiana, ad di là del suo peso specifico nella critica d’arte, è una delle più vive e feconde per via della sua capacità di coniugare rigore storico-analitico, inflessibilità etica e libertà assoluta di ispirazione critica.

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