L'Italia ai tempi del coronavirus
No, non è andato tutto bene
Doveva essere l'apoteosi della solidarietà e della sobrietà. Il tempo dell'orgoglio nazionale e del grazie a medici e infermieri. E invece ci siamo ritrovati intruppati nelle discoteche e nelle movide. Neanche la Botticelli/Ferragni ha compiuto il miracolo
Ve li ricordate i brindisi da palazzo a palazzo, i canti con l’anima patriottica e gli occhi lucidi affacciati alle finestre, le tammurriate con i musicisti sul terrazzo in cima al caseggiato e gli altri a ballare sui balconi? E i flash mob a mezzogiorno, gli applausi per ringraziare chi stava lottando per noi negli ospedali, medici e infermieri? Le bandiere, l’orgoglio nazionale, l’inno di Mameli diffuso a tutto volume da qualche altoparlante all’interno di un appartamento, ve li ricordate? Riuscite a richiamare alla memoria almeno una soltanto delle migliaia di dirette Instagram, i poeti che declamano poesie, gli attori che declamano qualsiasi cosa, tutti gli altri che si sforzano di manifestare un’idea, di avviare una conversazione, solo per dire siamo uniti e ci vogliamo bene, anche se fino ad ora non ci siamo nemmeno considerati?
A me sembra che tutto questo, il sogno di far dialogare le nostre ragioni con quelle degli altri, anche del famigerato vicino di casa, quello che bisticcia con la moglie di notte, feriali compresi, e si è tranquillizzato e silenziato solo tra marzo e aprile, l’improvvisa e imprevista aspirazione a capire che insieme si raggiunge prima l’obiettivo, si sia perduto definitivamente sulle piste da ballo e tra i tavolini del Billionaire.
In parecchi predicavano che il virus ci avrebbe resi migliori, che ci avrebbe aperto gli occhi, rendendoci invise le malignità, le piccolezze morali, i ladrocini che fino a qualche settimana prima frequentavamo con agile noncuranza. Non è stato così. L’era di Covid 19 ha solo acutizzato le nostre caratteristiche, le ha esagerate o forse le ha solo rese più evidenti. I cattivi più cattivi, gli imbroglioni più imbroglioni, i superficiali più superficiali, i buoni ancora a lottare con la propria bontà, affare vintage.
Che Paese siamo? La risposta è tragicamente compresa nella tre giorni di discussione intorno al ricovero di Flavio Briatore, positivo al coronavirus. La parabola è degna della sceneggiatura di uno di quei cinepanettoni natalizi che ancora qualcuno si ostina a ritenere eredi della commedia all’italiana, che immaginiamo tanto piacciano al contagiato. Briatore, l’imprenditore spesso intervistato dalle nostre tv in qualità di opinionista, l’uomo di successo e di arroganza un tempo transfuga alle isole Vergini, amante dei tavoli da gioco e dei tavolini da discoteca, a vederlo in questo film non è nemmeno un caratterista, nemmeno un comico d’avanspettacolo, altro spessore loro, altra dignità soprattutto. La trama conta poco, basta far vedere il popolo dei ricchi che balla, beve e sghignazza al Billionaire, poi Briatore che lancia proclami contro gli affossatori dell’economia italiana, i governanti e i loro scagnozzi esperti in epidemie, rei di aver chiuso le discoteche, innanzitutto la sua, anima, non ha dubbi, della ripresa economica del Paese, colpevoli di volere un mondo grigio e ingrugnito, mentre l’Italia desidera festeggiare e divertirsi. Che ripartenza è mai possibile senza Papeete e Billionaire, senza lo struscio famelico e l’aperitivo a portata di mascherina? Poi la storia degenera in barzelletta da Pierino contro tutti. Briatore ricoverato per quel virus che aveva sostenuto fosse mera invenzione di virologi e ministri, artefici insomma di uno dei tanti complotti di cui Briatore e i tanti briatorini da cui è abitato il Paese si sentono infestati ogni giorno. Infine Briatore che dal letto d’ospedale emana bollettini medici, se il virus non esiste posso avere solo una prostatite, sentenzia, infiammazione meno nobile forse, ma certamente politicamente più adeguata. La sceneggiatura, pateticamente grossolana nella sua nefandezza, si completa (o si complica?) con l’intervento di Daniela Santanchè, membro del Senato della Repubblica, in arte dunque senatrice, laureata in scienze politiche, esperta in marketing, che dichiara che è vero sì, Briatore ha la prostatite. Gli animi si tranquillizzano, gli anziani ricoverati per Covid sperano prima o poi di conoscere la Santanchè. Il film si conclude con un giornalista che racconta al suo capo redattore che dalla Sardegna si cerca di rintracciare i tremila frequentatori del locale di Briatore, ma molti hanno dichiarato un numero di telefono falso. La forza dell’abitudine. Titoli di coda.
In coda c’è la cultura. Ma non si doveva ripartire dall’immenso patrimonio artistico del nostro Paese, dai teatri e dagli altri luoghi di spettacolo, dalle scuole? Che c’entrano la movida e le discoteche? Tra i tentativi innovativi che si ricordano (l’unico?) del post lockdown campeggia la visita a metà luglio di Chiara Ferragni agli Uffizi, accompagnata dal direttore del museo. Chiara Ferragni di professione fa l’influencer (?), grande presa sui giovani e dunque grande soddisfazione da parte della direzione del museo, che ha visto nella primaverile Ferragni fotografata dinanzi alla Primavera del Botticelli una occasione di promozione per il museo e per la cultura italiana. Sollevazione di tanti: è un affronto alla nostra storia e alla nostra cultura (riassumo per non tediare).
Nulla di nuovo comunque sotto il sole. Le orde che frequentano i musei, le mostre milionarie, i centri storici più conosciuti d’Italia, da chi pensate siano composte, da pensatori e storici dell’arte, da frequentatori di biblioteche e lettori seriali? Perciò tutto come prima. Perché disperarsi per la Ferragni, se non l’abbiamo fatto finora?
Da segnalare solamente un passaggio del comunicato stampa del museo degli Uffizi: «La celebre imprenditrice digitale ha voluto concedersi un tour del museo, alla scoperta dei suoi tesori d’arte. Accompagnata dal direttore Eike Schmidt, ha molto apprezzato i dipinti di Botticelli: non solo le superstar Venere e Primavera, ma, soprattutto, Le storie di Giuditta, e L’adorazione dei Magi con autoritratto dell’artista». Notare “la celebre imprenditrice digitale”, per indicare la Ferragni, e “superstar”, per indicare due dipinti di Botticelli.
Siamo un popolo di imprenditori, di frequentatori di musei e di superstar.