Omaggio a Roberto Mussapi /3
Un filo e la memoria
La nuova antologia di monologhi in versi di Roberto Mussapi si apre con l'ispirato racconto di Arianna sul suo risveglio e sulla scoperta della solitudine dopo l’abbandono di Teseo. Anche quando sperimenterà l’eterno, continuerà a rimpiangere “quel vuoto/ tra dito e dito dove passava un filo”
Il giorno in cui finì il lockdown, il 3 di maggio, mi arrivò un plico: conteneva una copia dell’ultimo libro di Roberto Mussapi, I nomi e le voci (Mondadori, Lo Specchio). Mi parve un evento fortemente simbolico, e anche gioioso: la vita riprendeva con la poesia! Faticosamente, in quel giorno, la gente stava uscendo dalle case – come i prigionieri della caverna platonica liberati dalle catene tornarono a vedere la luce – e il primo momento verso la normalità dell’esistere, per me, fortunatamente, fu scandito da quel plico, dal contenuto altamente “anormale” che conteneva una raccolta di poesie: dico anormale non perché la poesia non faccia parte della natura umana e delle buone abitudini dello spirito – al contrario, ci accompagna dagli albori della nostra specie e morirà con noi – ma perché rivedere le stelle con una forma speciale, diversa, qualificata, di realtà linguistica, parve a me in quel momento una catarsi dal fiume di paure e di parole, spesso terrorizzanti e vane, che ci erano state riversate addosso nei due mesi precedenti dai mezzi di comunicazione di massa e dai virologi televisivi.
Sono, quelle di Mussapi, poesie belle da leggere, ma più ancora fatte per essere dette, recitate, e hanno il fascino della parola viva: “monologhi in versi” è infatti il sottotitolo. Come l’antica poesia greca, anche questa è fatta per l’oralità e per avere un aedo che le reciti.
Aperto il libro, m’imbattei in un tema a me caro e familiare, vale a dire il mito: Mussapi (nella foto, © Cirella) inizia infatti la sua raccolta (e continua) con due poemetti dedicati a due figure tra le più affascinanti della tradizione letteraria, antica e moderna, Arianna e Didone. Due donne che diedero ai loro uomini l’amore e furono abbandonate; due donne quindi che insegnarono l’eroismo d’amare. L’inizio del primo poemetto – a mio parere il testo più ispirato di tutta la raccolta – Il filo di Arianna, trasporta con alcuni versi bellissimi, in cui si percepisce il sapore di notti e di mari mediterranei, al risveglio di Arianna e alla scoperta della solitudine: solo la sensazione del filo con cui salvò il suo amato la lega ormai all’amore perduto. Meglio il Labirinto dell’isola, dunque: lì almeno, all’altro capo del filo, c’era lui che si aggirava per i meandri tortuosi, nel “buio che inghiottiva lentamente”; ed ecco che icasticamente ci compare sotto gli occhi lo srotolarsi del filo bianco che segue passo per passo l’avventura di Teseo e viene inghiottito anch’esso dalla bocca buia del labirinto, in cui risuonano le grida di terrore delle vittime.
Questo filo continua a srotolarsi, nella sua mente, anche quando Arianna si sveglia e la nave di Teseo è ormai scomparsa: l’unica, tenue, linea che la connette con un amore che sta svanendo, sinché nulla le resterà più di reale, nemmeno il filo, ma solo la percezione di averlo tenuto tra i polpastrelli. L’abbandono, il filo, la memoria: Arianna ricorda le vibrazioni del filo nel buio e le sue angosce legate a quell’esile segno di vita, nel momento in cui era tutta lì “nel teso filo batteva il mio cuore” – le fa dire Mussapi. Arianna è tutta proiettata nel ricordo di ciò che la rese famosa nel mito, eppure è anch’esso svanito: un filo, l’unica esile, silenziosa, linea bianca che in quel momento separava la vita dal buio e dalla morte. Cosa più silenzioso, infatti, tenue e a suo modo imprevedibile di un sottile filo che si snoda?
Quello di Teseo è ovviamente un percorso iniziatico, dopo il quale è necessario che l’iniziato prenda altre strade e l’abbandono diventi un percorso inevitabile, anche se crudele. È un percorso, il suo, di morte e di rinascita, e la morte di un amore fa anch’esso parte di questo itinerario. Le vite che il filo aveva unito si separano e accadrà poi che Arianna incontri un dio e divenga immortale; ma nella sua memoria non è questo l’evento principale: anzi, anche come sposa di Dioniso continuerà a rimpiangere la parte mortale di sé, quella effimera, legata all’istante dell’innamorarsi.
Arianna imparò, il giorno in cui incontrò Teseo, ad amare: per questo (come scrive Mussapi in un verso bellissimo con cui chiude il monologo) anche quando sarà diventata stella, e avrà sperimentato il senso dell’eterno, continuerà a rimpiangere “quel vuoto/ tra dito e dito dove passava un filo”.