Raffaello tour
Pellegrinaggio obbligatorio nelle Marche, che nel cinquecentenario della morte del figlio più famoso allestiscono mostre a lui dedicate in svariati, bellissimi luoghi. Si inizia da Urbino, città natale prodiga di iniziative, poi Loreto e Jesi
Le Marche s’inchinano al proprio più famoso figlio, Raffaello, in questo cinquecentenario della morte che il Covid 19 ha tentato di dimidiare. Lo sfregio più grande al pittore di Urbino è stata la chiusura, a pochi giorni dall’inaugurazione, della epocale mostra alle Scuderie del Quirinale. Esposizione riaperta alla fine del lockdown, con le prenotazioni che sono tornare a fioccare. Ma poi l’omaggio all’artista morto a trentasette anni – nella Roma che lo adorava, dai papi alle tante Fornarine – trae vantaggio proprio dalla contingenza attuale: per precauzione si fanno le vacanze in Italia, e dunque c’è il gusto di “incontrare” l’artista nella sua terra, scrutando i panorami dove ha principiato a muoversi, quegli sfondi ondulati di colline che troviamo nei suoi dipinti.
Dunque, partenza per le Marche, che allestiscono mostre raffaellesche in diverse splendide città, in raccolti palazzi nobiliari poco noti o sotto l’ombra di celebri cupole. Urbino, prima di tutto, dove il Sanzio (dal padre Giovanni Santi), vide la luce il venerdì santo 28 marzo 1483. È possibile visitare la dimora (www.casaraffaello.com) nella quale egli visse i primi anni, formato dal genitore, umanista, poeta e pittore alla corte di Federico di Montefeltro. Si trova in una stretta strada che scende a precipizio sulla piazza del Palazzo Ducale, la casa di Raffaello. Un piccolo portone, una scala ed ecco gli ambienti dove – scrisse Carlo Bo nel 1984 – egli «ha imparato la divina proporzione degli ingegni, soprattutto ha imparato il valore della filosofia, della dignità da dare al suo lavoro di Pittore». Al primo piano una sala col soffitto a cassettoni squaderna una Annunciazione di Giovanni Santi con la quale dialogano copie ottocentesche di due opere firmate dall’illustre figliolo: la Madonna della seggiola e La visione di Ezechiele (entrambi gli originali a Firenze, Palazzo Pitti). Accanto, una piccola stanza che si ritiene fosse quella dove emise i primi vagiti: qui una Madonna col Bambino in affresco divide la critica che la attribuisce ora a Raffaello giovane, ora al padre. L’amicizia con l’anziano Donato Bramante, nato nella vicina Fermignano, è sottolineata da un disegno a lui attribuito. Una raccolta di ceramiche rinascimentali, deposito temporaneo della Collezione Volponi, sottolinea la bellezza di oggetti d’uso che lo contornarono fin da bambino, allorché frequentava la bottega del padre e con lui entrava nel palazzo dei Montefeltro fiero delle opere di Piero della Francesca, Pollaiolo, Melozzo da Forlì, Laurana.
E proprio nella dimora principesca diventata sede della Galleria Nazionale delle Marche sono esposte fino al 27 settembre 147 raffinati esempi di maiolica italiana rinascimentale, provenienti dalla più grande collezione privata del mondo. Colori intensi e splendidi, come la Natura può proporci. Che si impressero negli occhi del giovane figlio di Giovanni, sicché la rassegna, a cura di Timothy Wilson e Claudio Paolinelli, si intitola Raphael Ware, la “merce”, le “cose” di Raffaello. Ma ci sono pure i suoi legami amicali e intellettuali nella Galleria delle Marche. Il 19 luglio si inaugura la mostra – curata da Vittorio Sgarbi in collaborazione con Elisabetta Losetti e promossa dal Comitato Nazionale per la celebrazione del Cinquecentenario – Baldassarre Castiglione e Raffaello. Volti e momenti di Corte. È l’indagine sul rapporto stretto tra l’autore del Cortigiano e il Sanzio, sottolineato anche alle Scuderie del Quirinale, dove si espone la lettera firmata da entrambi e inviata a papa Leone X affinché nominasse Raffaello “sovrintendente” delle antichità capitoline che tanto lo avevano impressionato. Dunque, a Urbino si ricostruisce, avendo come fonte primaria le sue Lettere, l’intera vicenda di Baldassar Castiglione, che – fine politico e consigliere – ebbe come interlocutori figure altrettanto complesse e affascinanti: oltre al pontefice, Guidubaldo di Montefeltro, Isabella d’Este, l’imperatore Carlo V, i Medici, i Gonzaga, gli Sforza, oltre – svariando nel mondo dell’arte, delle lettere e della filosofia – a Leonardo, Tiziano, Giulio Romano, Pietro Bembo, Luca Pacioli. Una girandola di relazioni ricostruite anche con supporti multimediali, e sostenute da opere d’arte significative. Del resto nella Galleria Nazionale delle Marche si trova uno dei dipinti più enigmatici di Raffaello, il Ritratto di Gentildonna detta la Muta per quelle labbra sigillate nella austerità complessiva del volto. Un’eccezione rispetto alle figure dolcissime e sensuali che usava ritrarre. Si spiega con la circostanza che il dipinto fu realizzato in due momenti diversi. Nel primo le donna aveva tratti morbidi, capelli mossi, un’ampia scollatura. Ma quando nel 1501 il suo ritrattista riprese in mano l’olio, la dama aveva nel frattempo perso il marito. Allora egli s’adegua alla circostanza: le fa i capelli raccolti, l’abito più accollato, le labbra serrate.
Di fronte a questa magistrale tavola viene voglia di ripassare gli altri lavori dell’Urbinate, sparsi nel mondo. Così dal 25 luglio al 1 novembre, al Collegio Raffaello di Urbino, c’è Una mostra impossibile, ideata da Renato Parascandolo: ovvero 45 dipinti, compresa l’inamovibile Scuola di Atene delle Stanze in Vaticano, riprodotti in scala 1:1 e riuniti insieme: un’“abbuffata” di capolavori da sindrome di Stendhal disseminati in diciassette Paesi. È la potenza della tecnologia, che supplisce alla difficoltà di ottenere prestiti degli originali ovviamente senza poter sostituire il valore della visione diretta ma al tempo stesso riuscendo a coinvolgere chi non ha la consuetudine di girar per musei e sollecitando il viaggio per conoscere quelle opere da vicino. Allo stesso modo dal 18 luglio vuole rivolgersi ai più piccoli il progetto Raffaello Bambino in collaborazione tra il Comune e l’omonima Accademia che dissemina in Urbino immagini, testi, indicazioni di circuito, insomma un itinerario in cui parlano il pittore e la sua città.
Il tour raffaellesco nelle Marche prosegue a Loreto, la città dove, dice la tradizione, fu trasportata dagli Angeli dopo una sosta in Illiria la Santa Casa di Maria. Ed è appunto all’ombra del Santuario che fino al 30 agosto, nel severo Bastione di Sangallo, che si può vedere per la prima volta l’arazzo da cartone di Raffaello appartenente alla collezione Bilotti Ruggi d’Aragona. Raffigura Ananias e Saphira, i due anziani coniugi narrati nel Nuovo Testamento che vendettero un campo per darne il ricavato agli Apostoli ma che mentirono a Pietro perché ne tennero una parte per sé. In autunno poi il Museo Pontificio della Santa Casa presenterà la Madonna del Velo o Madonna di Loreto di Raffaello. Storia avventurosa e successo di un’opera. Si darà conto di un soggetto caro al Sanzio, appunto quello della Vergine lauretana, una cui pregevole replica della sua bottega – di cui ora si sono perse le tracce – fu donata all’inizio del Settecento al Santuario.
Ultima tappa, ma bisogna aspettare l’autunno, nella mirabile Jesi, la città di Pergolesi e di Spontini, che omaggia con un bel teatro. Raffaello e Angelo Colocci. Bellezza e scienza nella costruzione del mito della Roma Antica esplora appunto l’impegno dell’Urbinate nella tutela delle vestigia capitoline. Suo punto di riferimento fu lo jesino Colocci, umanista al quale a Roma si rivolgevano artisti, antiquari e poeti. Nel bouquet della rassegna documenti originali e tecnologie digitali per la ricostruzione dei capolavori di Raffaello. Ma oltre al contenuto conta il contenitore della mostra: Palazzo Pianetti, sede dei Musei Civici: incantevole nel rococò che esplode nella galleria, una sorte di promenade invernale per la famiglia Pianetti, affacciata con la fuga delle finestra sul giardino all’italiana e decorata con stucchi pastello e intarsi dorati. Una allure che si replica nei saloni affrescati con le Storie d’Enea. E che come parte del tutto sintetizza le bellezze sparse nella terra di Raffaello.