Pier Mario Fasanotti
A proposito di “Terra Alta”

Cercas e Melchor

Javier Cercas confeziona un giallo venato di realismo che sembra un omaggio a "A sangue freddo" di Truman Capote. La storia di un soldato che si chiama Melchor, figlio di una prostituta catalana, che cerca a dipanare il bandolo di una strage assurda

Il soldato Melchor, così chiamato dalla madre (prostituta) in omaggio a Melchiorre, uno dei tre Re Magi, se ne sta tranquillo nel suo ufficio, «a cuocersi al fuoco lento della propria impazienza di finire il turno di notte» quando un collega lo chiama: ci sono due morti nella masseria degli Adell. Sì, si tratta della famiglia più in vista della Terra Alta, una delle 41 “comarches” (distretti) a sud della Catalogna. Non è più il Melchor Marin di prima, quando lasciò, trentenne, Barcellona. Era un ragazzo violento, un teppista irriducibile, mantenuto dalla madre che vendeva il suo corpo non più giovane nelle periferie più povere, sicuramente uccisa. Ammaliato dalla lettura dei Miserabili di Victor Ugo, sceglie di entrare nei panni di Javert, il gendarme che dà una ostinata caccia all’evaso Jean Valjean che, dopo quasi vent’anni di reclusione per avere rubato un pezzo di pane, nel frattempo diventa il ricco (e benefattore) Madeleine, costretto a cambiare nome e ad allevare una bambina, Cosette, che ha salvato in una delle sue interminabili tappe da ex forzato. Melchor entra in Accademia. Vuole la vendetta, o quel che più somiglia alla giustizia.

L’episodio fulcro della vicenda si svolge nella Terra Alta. Con un ritmo che potrebbe essere accostato per certi versi al capolavoro di Truman Capote, Javier Cercas, premio Planeta (l’equivalente del nostro “Strega”), autore di romanzi come I soldati di Salamina e L’impostore, narra di efferati omicidi compiuti dentro la Graficas Adell, i cui anziani proprietari sono stati torturati in modo bestiale e uccisi. È la cuoca della casa ad aver dato l’allarme. Si scoprirà una terza vittima, una domestica, testimone scomodo quindi da eliminare.

Cercas, in Terra Alta (Guanda, 375 pagg., 19 euro) dimentica completamente il ritmo narrativo americano, scegliendo di sondare i meccanismi di una investigazione che fin dall’inizio lascia stupefatti e perplessi i componenti della Polizia, compresi gli uomini Mossos de esquadra (le temibili forze dell’ordine della Catalogna). Singolare il fatto che a sbrogliare la matassa non ci siano ufficiali d’un certo rango. Anche perché i giornali se ne occupano con titoli cubitali.

«Bisogna avvisare tutti» ordina un sergente a Melchor, il quale entra nella masseria industriale di tre piani dopo aver constatato due cose importanti: non c’è stata effrazione e nello spiazzo antistante ci sono le tracce di pneumatici (in seguito si parlerà di pneumatici Continental). Racconta Cercas a proposito di che prova Melchor per lunghi secondi: «…un’incalzante sensazione d’irrealtà da cui riesce a strapparlo soltanto il gemito agonico di Mayol (altro poliziotto ndr) che vomita sul pavimento». C’è un fortissimo odore di sangue, di carne tormentata e di supplizio. Melchor non saprebbe quali parole usare, semmai, entro quelle spesse pareti gli pare di avvertire urla, solo urla. Le vittime sono due fagotti novantenni e sanguinolenti, ai quali hanno cavato gli occhi, strappato le unghie, tagliati i capezzoli, sventrati come maiali (le viscere sono sparpagliate lì attorno). In un’altra camera un altro cadavere, una donna dai capelli paglierini. È la domestica romena. Indossa un camicione color crema e una vestaglia blu, «ha gli occhi spalancati come avesse visto il diavolo». Sulla fronte un foro di proiettile.

Nella stanza dei coniugi Adell, noti e odiati in tutta la provincia, tutto è sottosopra. I cellulari sono stati calpestati più volte, le carte sim sparite. Un massacro che induce alcuni poliziotti a immaginare un rituale: gli elementi si sono tutti. Interviene anche l’Unità territoriale investigativa di Tortosa. In quella regione catalana «dove non succede mai niente», ma che è stata terreno di scontri feroci al tempo della guerra spagnola iniziata nel 1936 e terminata tre anni dopo con la vittoria del dittatore Francisco Franco.

La strage è un rebus, perpetrato nella zona più ricca della regione. Ovvio quindi scavare sui legami della famiglia Adell che con le sue fabbriche si comporta come un despota sadico. E lo fa anche in famiglia. Oltre ai due vecchi massacrati, c’è la figlia di Adell, Rosita (che abita a qualche chilometro dalla masseria) e il genero Albert Ferrer. Questi, in base al matrimonio, aspira alla successione della Graficas Adell, che ha filiali dappertutto, compresa una in Messico (a Puebla): non conta nulla, anzi lo si prende in giro durante le riunioni, anche quelle familiari. È Francisco Adell, affiliato all’Opus Dei, che ha sempre l’ultima parola. Alle cene erano presenti anche alti funzionari dell’azienda, tra cui l’ambiguo Grau. Cene a base di raffinatissimo catering, con camerieri cortesi ed efficienti. Si parla ovviamente di lavoro, dato che la Graficas spagnole danno lavoro a quasi seicento persone cui si devono sommare le quattrocento che obbediscono oltre i confini della Catalogna. Quanto al fatturato, si parla di 70 milioni di euro l’anno.

Si scopre che le telecamere di sicurezza e gli allarmi sono stati disinseriti poche ore prima del massacro. Qualcuno ipotizza che le tracce degli pneumatici potrebbero non essere Continental. È forse un depistaggio visto che uno dei partecipanti alle cene in casa Adell guida un’auto dotata di gomme Pirelli.

Javier Cercas indugia molto sulla personalità di Melchor Marin, probabile bersaglio degli estremisti islamici visto che ha usato contro di loro la sua leggendaria mira. Il gruppo degli inquirenti decide, per precauzione, di allontanarlo dalla zona del crimine. A questo punto occorre ricordare che negli anni trascorsi in prigione, Melchor fece amicizia con il bibliotecario. È questi che gli consiglia di legge I Miserabili di Hugo. Si appassiona, li legge e li rilegge, poi chiede altri libri. Il bibliotecario, convinto che i romanzi degli di questo termine siano tutti dell’Ottocento. Fa un’eccezione con Lo straniero di Albert Camus e con Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa Ma la figura letteraria che gli entra nelle vene è il poliziotto Javer, inseguitore di Jean Valjean. È lui che incarna la legge.

Melchor per un certo periodo si sposta freneticamente alla ricerca dell’assassino (o assassini) della madre. Il suo è un continuo porre domande, ma senza risultati. L’unica certezza che ha è che la madre, poco dopo un rifiuto visto l’ora tarda, è entrata in una macchina, grande e nera, dove non c’era soltanto il guidatore. Chilometri dopo chilometri trova un aggancio: una donna anziana che era stata molto amica della madre di Melchor. Anche lei batteva, poi smise e si sposò. Quanto al padre, Melchor non si fa illusioni: quando da bambino cercava di dormire, sentiva passi maschili. L’autore non lo rivelerà mai, tuttavia lascia intendere che un macilento avvocato lo difende al processo senza chiedere nulla in cambio. Malgrado un modo di presentarsi, il legale manterrà sempre i legami con Melchor. È lui il padre?

Un altro incontro importante è quello che il poliziotto ha, a casa di Rosita, con Grau, consigliere delegato della Graficas Adell. La domanda ovviamente riguarda i nemici, veri o presunti, di Francisco Adell. Per tutta risposta Grau si mette a ridere: «Ma come non poteva non avere amici un uomo che misurava il lavore di un uomo dal numero dei suoi nemici?». Era uno sfruttatore, dice, e aggiunge: «Il problema è che nella nostra attività tutti odiano tutti, e tutti hanno ragione. Immagino che negli altri settori le cose funzionino allo stesso modo, dopo tutto è in questo che consiste il capitalismo, no? Nell’organizzare una guerra di tutti contro tutti in modo che sopravviva il più forte». In coda alla sua smaliziata analisi – Grau è stato al fianco di Adell per quasi cinquant’anni – consiglia gli inquirenti di verificare tutte le aziende di punta del settore, e non solo in Spagna, ma anche nei paesi dove la Graficas Adell ha filiali. La sua lunga esperienza di abitante della Terra Alta gli fa concludere che «questa è una terra inospitale, molto povera; lo è sempre stata… qui c’è una tempesta di fuoco degna di un castigo biblico, un’apocalisse che ha ucciso ragazzi di mezzo mondo».

Altro quesito: come ha fatto un uomo rozzo come Francisco Adell detto Paco a diventare un padrone così temuto e così ricco. Un’altra sentenza di Grau: «Ha fatto quel che ha fatto proprio perché era povero. La Graficas praticamente è nata dal nulla. Vedete, i ricchi sono troppo ben abituati e hanno molto da perdere; questo li rende delicati, vulnerabili. Paco sapeva cosa erano la miseria e la fame. E Paco non aveva paura, ne ho visti davvero pochi fatti così». Inevitabile che il rancore sociologico di Grau si sia fatto, anno dopo anno, desiderio di vendetta. Oltre a Ferrer è lui da mettere nell’elenco dei sospettati? Oppure: chi ha assoldato sicari così violenti? Infine: erano in grado di aprire il portone senza scassinarlo e disattivare i sistemi di sicurezza?

Nel mezzo delle indagini, che poi si scoprono essere illazioni, chiacchiere e poco più, Melchor Marin si sposa. Avranno una bambina e la chiameranno Cosette, alla memoria della bimba salvata dall’ex detenuto Jean Valjean. La famiglia vive nell’armonia e per il poliziotto orfano è un porto sicuro. Fino a quando un’auto entra nel marciapiede e falcia la donna. Batte il capo sul gradino e morirà in ospedale.

Melchor decide di controllare gli originali delle foto scattate, anche se è praticamente impossibile ricavare un’impronta digitale da una foto. Mette a confronto tutto il materiale che ha a disposizione e alla fine nota, andando in un altro laboratorio per fare un ennesimo confronto. Si sofferma su un’impronta e, facendo i raffronti, deduce che non appartiene né agli Adell né alle due cameriere. Il particolare che gli dà la certezza sul massacro è l’impronta di Albert Ferrer. Il che significa che il genero di Paco Adell non poteva che trovarsi all’interno della masseria. Scopre anche che c’è stata l’omissione di un suo collega Sirvent. Sale in auto e accusa il collega. Il quale però si difende accusando un altro poliziotto, il caporale Salom, che aveva lavorato alla polizia scientifica. Questi, in realtà era stato incaricato da un superiore. Viene fuori che o l’uno o l’altro è stato pagato per quell’imbroglio. « Tu sei un assassino» ribatte Salom «E’ questo che sei. Ti si vede in faccia. Io me ne sono accorto non appena ti ho visto…è questo che sei, rassegnati. Sei nato così e morirai così». Melchor non replica e ordina al collega di vestirsi. Poco dopo ordina loro di entrare nella sua auto che, lentamente si avvia verso il commissariato. Li lascia lì e riparte.

Esiste tuttavia una spiegazione autentica. Melchor viene tramortito e messo nel bagagliaio di un’auto. Si ritrova davanti a un uomo grasso, quasi ottantenne, che alterna pacatezza e rancore.  La conversazione, anzi la rivelazione, dura l’intera notte. Si chiama Armengol ed è dalle sue labbra che esce «il tintinnio di verità». Ha modi di uomo di potere. È nato in Spagna ma poi ha deciso che la sua patria è il Messico. Qual è dunque la verità? Non la riveliamo, limitandoci a specificare che tutto nacque per una violenza privata, complice Francisco Paco Adell. Si era ai tempi della guerra spagnola, quando abbondavano le vendette. Il misterioso Armengol, che mai è riuscito a dimenticare un affronto crudele, con molta pazienza riesce a convincere un uomo non più giovane, un insider. Gli spiana la strada dopo aver ricordato le tante frustrazioni subite. E i massacratori degli Adell? Ci vuole poco per scomparire, nessuno poteva immaginare chi fossero.

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