Roberto Mussapi
Every beat of my life

Il mistero dell’essere

«Il respiro della ricerca spirituale incessante» nella poesia qui presentata del venezuelano Santos Lopez. Che rivolge alla madre la domanda fondamentale di senso della vita e della morte. Come Ulisse nell’Ade

Cenote è un termine che indica, nel mondo mesoamericano, una pozza d’acqua dolce affiorante, in certe zone dello Yutacan, da un fiume sotterraneo. Quindi un’acqua che dal profondo giunge in superficie, chiamando l’uomo che vi si sofferma forse come la pozza in cui si specchiò Narciso: come scrisse Melville, cercando il mistero della realtà umana nel fondo irraggiungibile di quell’acqua.
Questa pozza, Cenote, era considerata sacra dai Maia. Acqua ferma e dolce proveniente dal tumulto fluviale e tellurico del profondo.
Il poeta uomo che cerca, nel profondo, nel se stesso bambino persistente ma iniziato, le sue origini. L’uomo invoca l’acqua delle origini, acqua materna dell’essere, per scoprire i segreti della vita e della morte. È un duro e appassionato viaggio agli inferi, sul modello di quello di Ulisse che cerca il segreto e il senso nell’ombra della madre abbracciata nell’Ade. Qui non si cerca la madre, ma il segreto dell’origine nel fondo, e questo, a mio parere, è anche lo scopo della discesa di Ulisse passando il fiume Acheronte, acqua in quel caso funerea. Qui acqua d’origine.
Tanti fratelli si sono persi, fratelli perché persi.
È una domanda assoluta alla realtà generatrice e materna che si cela nel mistero dell’essere: il senso della vita e della morte di sé e degli altri.
Una discesa spirituale quella di Santos Lopez, poeta venezuelano, punta della cultura e spiritualità dell’affamata ma resistente Caracas. Santos, a Caracas e nel mondo globalizzato e avvelenato e infranto, porta dalle sue origini di indio dell’Orinoco, dalla sua realtà e pratica di sciamano, il respiro della ricerca spirituale incessante.

Cenote madre

Tu pozza dell’incanto, madre mia,

dimmi quanti ce ne sono, là in fondo,

quanti dei miei fratelli

lavati, qua sotto,

quanti sono scesi cercandoti.

Tu calice madre, quali dei

come nessuno, dimmi

quale insaziabile dio

quanto ci ingoia

in onde di sangue ben conservate

con me, me sacrificato.

Dimmi, madre, dimmi

dimmi chi ha reso muto il tuo rumore,

facendo di te acqua tranquilla,

acqua che non copre: raffredda

i denti e li gela e ti fa muto.

Insegnami la quiete,

la calma dello specchio che non trema.

Madre, mia madre dimmi se il silenzio è la mia corona,

come una lucida trapanazione

che oggi incanta, oggi mi incanta

come il tuo ventre mi incanta:

dimmi questo madre, dimmelo.

Santos Lopez

Traduzione di Roberto Mussapi

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