Sulle tracce di un mito
Il Leonardo polacco
Storia di un viaggio in Polonia e di una strana scoperta: nel 1801, i potenti principi Czartoryskich acquistarono “La dama con ermellino" di Leonardo da Vinci e lo fecero arrivare nel loro palazzo imperiale, Ora è a Cracovia
L’ultimo dei miei tanti viaggi in giro per il globo decisi di farlo in Polonia. Riuscii, alla fine di questo febbraio 2020, a compiere la fatidica impresa – poco prima che i confini europei e mondiali venissero bloccati dall’anomala pandemia del Coronavirus – dopo anni di ripensamenti e di procrastinazioni, dovuti ad impegni universitari e a quant’altro fosse, come molto spesso accade, racchiuso sotto la ricorrente etichetta dell’”ora non posso”.
Sono sempre stato affascinato dalla storia polacca degli anni Ottanta/Novanta: quella che fa capo, per intendersi, principalmente al movimento Solidarność guidato dal futuro premio Nobel per la Pace 1983 Lech Wałęsa, appoggiato, nella sua non-violenta ribellione al regime sovietico, dal cardinale Karol Wojtyla, futuro Papa Giovanni Paolo II.
Durante questa mia rapida permanenza in territorio polacco (si trattò infatti di non più di sette giorni totali compresi i viaggi di andata e ritorno) ho avuto modo di ammirare la capitale Varsavia insieme alla sua città vecchia – ora patrimonio dell’Unesco – interamente ricostruita dopo essere stata quasi del tutto rasa al suolo dai bombardamenti tedeschi nella seconda guerra mondiale; il vecchio quartiere ebraico con i suoi negozi tipici che portano tuttora le tracce della antica comunità askenazita lì insediatesi sin da inizio Novecento; ho anche approfittato per visitare una parte della importante rete museale di cui dispone la città: il museo Chopin, il museo del ghetto ebraico e quello di Arte Moderna e Contemporanea.
Ed è proprio riguardo la rete museale che un giorno seppi, da Dariusz, un mio caro amico, e da una coltre di suoi colti compatrioti con i quali cenai la seconda sera di permanenza nel paese dell’est Europa, della presenza, al Museo Nazionale di Cracovia, della Dama con ermellino (1487-1490 ca.) di Leonardo Da Vinci. Stupito, decisi l’indomani stesso di partire da Varsavia per andare a visitare il famoso quadro, allogato in quel di Cracovia.
Durante le lunghe cinque ore di viaggio in autobus che mi separavano dall’antica città universitaria del sud della Polonia, pensai a tutto ciò che di polacco non avevo ancora visto né letto, o che io – per mia spontanea limitatezza personale – non avevo voluto vedere né leggere fino a quel momento: a quel libro di Adam Zagajewski (Dalla vita degli oggetti. Poesie 1983-2005, uscito in versione italiana per i tipi di Adelphi nel 2012) che il mio amico Alberto Fraccacreta mi aveva fortemente consigliato di acquistare, tanti anni or sono, in un caldo pomeriggio urbinate di fine maggio, dicendomi che avrei ben speso quei 20 euro e passa, anche se io in fin dei conti non avevo voglia di spenderli; dell’opera di Czesław Milosz e di quella della Szymborska, entrambi acclamati Premi Nobel per la Letteratura, il primo nel 1980, la seconda nel 1996; i romanzi di Olga Tokarczuk, un’altra autrice sempre dal nome impronunciabile, che lo vinse nel 2019 lo stesso tipo di Nobel; non avevo visto neanche questo Leonardo, il quale, benché non avesse avuto neanche una goccia di sangue polacco che scorreva nelle sue vene, era ormai diventato proprietà della Polonia dal 1801, quando i potenti principi Czartoryskich acquistarono il dipinto e lo fecero arrivare nel loro palazzo imperiale. Mi venne di conseguenza da pensare: perché tutte le più grandi opere del pittore toscano sono finite all’estero? Perché noi italiani non siamo mai riusciti a preservare uno dei più nostri grandi geni dalle grinfie di sedicenti avventori?
Nel 2018 in seguito alla polemica del taglio delle cattedre di italiano nelle scuole francesi di I e II grado, girò per qualche tempo sul Web, tra Italia e Francia, una petizione con lo scopo di ritirare La Gioconda dalle collezioni del Louvre se non vi fosse stato un aumento delle suddette cattedre in vista dello svolgimento della prima sessione dei concorsi nella primavera dell’anno seguente. Molti intellettuali, politici, personalità della vita civile e sociale dei due paesi firmarono il “manifesto”, d’accordo sul fatto che l’italiano fosse lingua lungi dal non esser più studiata in Francia, e che l’Italia non avesse mai perso il ruolo di primo partner commerciale con i cugini transalpini. Dopo numerose trattative, che videro anche un tête à tête tra Macron e Mattarella ad Amboise, dove Leonardo è morto nel 1519 ed è ivi seppellito, le cattedre sono state aumentate (anche se di pochissimo!), forse con lo spauracchio da parte dei cugini francesi di vedersi sottrarre dalle tasche la loro preziosa opera d’arte!