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Il mondo a rovescio
La difficile educazione alla vita di Pierre Pachet, la parodia delle Metamorfosi di Kafka di Ian McEwan e i racconti fulminanti di Georgi Gospodinov. Tre prospettive diverse su un mondo sempre più difficile da capire
Straniero. «Da bambino mi annoiavo molto. Rivedo la mia infanzia da lunghi deserti di noia, impossibili da attraversare, il corpo abbandonato alle torture invisibili del tempo, dell’attesa dell’incomprensibile». Suo padre gli dice: «Se ti annoi, fatti una vita interiore». Da qui comincia tutto, nello splendido libro di Pierre Pachet, Autobiografia di mio padre (L’orma editore, 155 pg., 18 euro) Il protagonista, Simcha (che in ebraico significa gioia), prematuramente orfano della madre, descrive la figura del padre, e la interiorizza (di qui l’ossimoro del titolo), uomo supremamente elegante, anche se impacciato, viaggiatore curioso, addirittura avido, come se la realtà vera sia nelle cose che si vedono in lontananza. Nato nell’Est europeo, sballottato dai vari pogrom, non crederà mai che la Russia sia la sua vera patria. E annota: «Non sarebbe mai diventata il paradiso vantato dai rivoluzionari; il grande rammarico della mia vita è aver avuto ragione». Dopo anni di gioventù introversa, per nulla interessato dalle ragazze, si mette a leggere, per poi scegliere di diventare oftalmologo. Non è un caso, se ci pensiamo bene: diffidente nei confronti delle teorie freudiane, affida la ricerca della verità interiore agli occhi, premessa indispensabile per addivenire all’introspezione che, con gli anni si farà dolorosa. Si stabilisce in Francia, con gli occhi «ben aperti in attesa di catastrofi future».
Frequenta la rigida scuola ebraica della Jeshivah, e comprende che l’esistenza dei suoi correligionari non ha come scopo l’amore degli uomini, «idealistico e menzognero, ma il rispetto della legge morale». Al contempo pensa che la filosofia, morale e non, si riduca al parlare senza dire nulla, o «nel migliore dei casi al parlare di ciò che non si conosce. E riconosce che in questo pesante giudizio include buona parte delle speculazioni talmudiche. Si potrebbe dedurre che Simcha sia un cinico. Non è vero: il suo pensiero, è teso alla comprensione della «insignificanza originaria della condizione umana». Indubbiamente tormentato (anche a causa di Hitler i cui discorsi barbari sono la quintessenza dell’emozione primitiva: rancore, angoscia, rabbia), è sempre rivolto a una tessitura profonda dell’essere e della vita, invaso dal tarlo della comprensione totale. Quando arriva la senilità, l’attenzione verso il mondo e gli uomini si fa dolorosamente acuta, sfiorando sia il cinismo sia il sarcasmo. Nella Lucida postfazione, Lisa Ginzburg scrive: «Che cosa si perde un padre? Quel che si perde è una voce, risponde a se stesso Pierre Pachet». Simcha vede nel padre il suo alter ego, e l’occasione di raccontarsi, con il timbro sonoro paterno, «fino a rigenerarsi in assoluta solitudine e assumersi intera la responsabilità della propria esistenza».
Metamorfosi. «Quella mattina Jim Sams, un tipo perspicace ma niente affatto profondo, si svegliò da sogni inquieti per ritrovarsi trasformato in una creatura immane». Questo l’incipit del nuovo romanzo di Ian McEwan (Lo scarafaggio, Einaudi, 108 pg., 16 euro). Il riferimento alle Metamorfosi di Franz Kafka è del tutto palese. Lo stesso autore, nella postfazione, ne fa menzione, aggiungendo però di avere un maggior debito letterario nei confronti di Jonathan Swift. Un’elegante e garbata infermiera entra nella camera da letto di Jim Sams, scosta le tende e gli annuncia che sta per cominciare il consiglio dei ministri. Sams si era addormentato come scarafaggio, quale era, e all’inizio fa molta fatica a prendere atto di essere diventato un uomo. Comunque se la cava bene nel nuovo corpo (robusto) e si abitua alla nuova voce. Ecco i suoi ministri, tutti molto deferenti. Sams ribadisce il suo piano economico, qualcosa di rivoluzionario, e non sono per la Gran Bretagna. Sarà il Parlamento a doverlo approvare: di qui molti guai. La sua riforma, pazzesca e radicale, si chiama “Inversionismo”, un’inversione del flusso finanziario e dell’intero sistema economico. In poche parole: quando un dipendente, dopo una settimana di lavoro, paga alla ditta le ore svolte. Quando va a fare la spesa, tuttavia, trova ampia ricompensa, a prezzi di dettaglio, per ogni articolo che si porta a casa. La legge proibisce di accumulare contante. Il denaro che deposita in banca, alla fine di una dura giornata al centro commerciale, produrrà alti tassi di interesse negativi. Più o meno velatamente alcuni ministri non sono d’accordo. Sams ricorrerà alla rimozione e a metodi violenti. Ian Mc Ewan non fa mistero della sua avversione alla Brexit, che considera semplicemente «disastrosa». Ci si potrà confortare con una risata, ci suggerisce. Il limite del romanzo consiste in una complessità che rischia di farsi astrusa o forzatamente allegorica.
Sguardi. Una felicissima sequela di racconti, brevi e arguti, quella di Georgi Gospodinov (due libri separati: Tutti i nostri corpi; … e altre storie pubblicati da Voland, rispettivamente 145 e 108 pg., 14 e 12 euro). In un racconto si narra di un uomo che guarda i treni. Un giorno una ragazza, Cristina, decide di salutare tutti, dal finestrino («scintillava come stagnola»). In una sosta ferroviaria la giovane donna rivela al capostazione d’essere convinta di aver fatto molto contento l’ultimo uomo al quale aveva regalato un gesto d’affetto e un bellissimo sorriso. L’uomo le dice che sbaglia e così argomenta: «Hai davvero scombussolato la sua vita. Immaginati che ora quell’uomo rientra a casa dalla moglie vecchia e parecchio petulante, getta il fieno all’asino, dà il pappone al maiale, fa rientrare le pecore nell’ovile e si siede davanti a casa su un vecchio sedile di camion. E durante tutto questo tempo tu non gli esci dalla testa. Per giunta gli ricordi terribilmente un’altra donna, da lui confinata nel profondo della memoria al punto che per 38 anni si è impedito da solo di pensare a lei». Un saluto e un sorriso può intristire un’intera esistenza. Quanto al racconto Rituali, vale proprio la pena di riportarlo per intero: «Mangiare il pane su un tavolo di legno, raccogliere poi le briciole e mettersi a scrivere su quel tavolo. Farti il tè con la menta raccolta nell’orto del monastero. Aprire il giornale locale Zuger Woche, senza capire la lingua e senza conoscere i personaggi del posto che vedi nelle notizie. Controllare le previsioni del tempo, pensando ai cipollotti appena spuntati e a un ciliegio in fiore nel cortile. Pieno di premure per un mondo cui non appartieni». Ecco, la brevità dell’autore diventa uno sguardo lungo e profondo sul mondo e suoi abitanti.