Alessandro Marongiu
A proposito di "Nel contagio"

Contagio editoriale

Qualche riflessione sul discutibile instat-book di Paolo Giordano promosso da Corriere della sera e da Einaudi. Temi stiracchiati e motivazioni di beneficenza confuse: ecco il tipico esempio di un'operazione commerciale affrettata che cavalca la paura

Da qualsiasi prospettiva si provi a prenderlo, Nel contagio di Paolo Giordano appare un pasticciaccio brutto, e non poco. Coinvolti a vario titolo l’autore, l’editore e il quotidiano che inizialmente è stato partner, e principale sponsor, della pubblicazione. Andiamo con ordine.

Notizie del libro appaiono per la prima volta sul Corriere della Sera il 24 marzo, quando se ne annuncia l’uscita in edicola due giorni dopo in abbinamento al giornale di via Solferino e in coedizione con Einaudi (la quale poi lo pubblicherà per conto suo; quando, non è precisato). A pagina 30 vengono presentati in anteprima i tre capitoli inziali (7 pagine su 60 del futuro testo), e grande risalto, giustamente, viene dato nel box a firma Giulia Ziino circa il fatto che «i proventi dell’autore andranno alla creazione di due borse di studio presso la Sissa — Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste. La prima sull’intelligenza artificiale e l’analisi dei dati applicate all’epidemiologia e riservata a dottori di ricerca italiani e stranieri che abbiano da poco concluso il loro percorso di PHD; la seconda riservata a data journalist italiani per un’indagine sull’epidemia di Covid-19 nel nostro Paese». Quale lettore – quale cittadino, quale persona – non vorrebbe dare il proprio contributo, considerato che il libro (ancora la Ziino) «esce in un momento così difficile»?

Due giorni dopo ecco Nel contagio nelle edicole, ed ecco la sorpresa. Il colophon infatti recita come segue: «L’Autore devolverà parte dei proventi dei diritti d’autore alla gestione dell’emergenza sanitaria e alla ricerca scientifica». Quindi, diversamente da quanto preannunciato dal quotidiano due giorni prima e da quanto il medesimo quotidiano ribadisce quel giovedì 26 a pagina 36 («questo libro, oltre che una riflessione è anche un segnale: i proventi dell’autore, infatti, saranno destinati alla creazione di due borse di studio presso la Sissa – Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste»), dal libro apprendiamo che: non tutti i proventi di Giordano saranno devoluti alla creazione delle due borse di studio, ma lo sarà invece una parte; questa parte non verrà, come riporta il Corsera, dai proventi in generale (che possono includere tanto un anticipo pagato dall’editore quanto lo spettante dai diritti d’autore), ma esclusivamente dai «proventi dei diritti d’autore»; che la parte in questione sarà divisa tra una generica «ricerca scientifica» (il colophon non entra nei dettagli) e «la gestione dell’emergenza sanitaria». Insomma, il meno (ma anche il meglio) che si può concludere è che ci siano stati dei problemi di comunicazione tra quotidiano milanese e casa editrice torinese: circostanza infelice, trattandosi di aziende che con le parole lavorano e sulle parole vivono (ma gli errori capitano, certo); circostanza però grave, gravissima, perché accaduta nell’ambito di una situazione in cui ci sono di mezzo la salute, la sofferenza, la vita stessa.

Un problema ulteriore lo pone poi l’essenzialità delle informazioni fornite dal colophon relativamente ai «proventi dei diritti d’autore» destinati «alla gestione dell’emergenza sanitaria»: per il semplice motivo che l’emergenza sanitaria è “ora”, e ancor di più lo era il 26 marzo, mentre i proventi dei diritti d’autore si maturano nel tempo. Di norma, un autore riceve ogni dodici mesi dall’editore un rendiconto sul numero di copie vendute del suo libro, in cui è anche indicato l’importo maturato per i diritti d’autore. Quindi: come si potrebbe mai combinare la devoluzione di una cifra ricavata dai diritti d’autore di un libro uscito il 26 marzo, con un’emergenza – meta ultima di quella cifra – in corso esattamente il 26 marzo? Non volendo credere che le cose siano state così mal gestite da generare un simile cortocircuito, possiamo ipotizzare o una qualche forma di contratto ad hoc, o che sia stato versato un anticipo della futura «parte dei proventi dei diritti d’autore»: ma siamo nel campo delle ipotesi, appunto. Inutile sottolineare quanto il «momento così difficile» avrebbe richiesto ben altre attenzione e delicatezza, e quanta chiarezza sia mancata verso chi, acquistando il libro, ha voluto offrire un proprio aiuto alla futura lotta contro questa pandemia.

Veniamo ora al contenuto. Così Giordano nel primo capitolo: «Mentre scrivo, è un raro 29 febbraio […] i contagi confermati nel mondo hanno superato gli ottantacinquemila, quasi ottantamila solo in Cina, le morti si avvicinano a tremila. […] Guardando il disco rosso sopra l’Italia, non posso fare a meno di esserne suggestionato, come tutti. I miei appuntamenti dei prossimi giorni sono stati cancellati per le misure di contenimento, altri li ho rimandati io stesso. Mi sono ritrovato dentro uno spazio vuoti inatteso. È un presente condiviso da molti: stiamo attraversando un intervallo di sospensione della quotidianità, un’interruzione del ritmo, come a volte nelle canzoni, quando la batteria sparisce e sembra che la musica si dilati. […] Ho deciso di impiegare questo tempo scrivendo. Per tenere a bada i presagi, e per trovare un modo migliore di pensare tutto questo. A volte la scrittura riesce a essere una zavorra per restare piantati a terra. Ma c’è anche un altro motivo: non voglio perdere ciò che l’epidemia ci sta svelando di noi stessi. Superata la paura, ogni consapevolezza volatile svanirà in un istante – succede sempre così con le malattie». Seguono ventisei capitoli brevi o brevissimi, che temporalmente coprono all’incirca tutta la settimana successiva al 29 febbraio, in cui Giordano, un dottorato in Fisica, ricorre ai numeri alla Matematica e più in generale alla scienza per affrontare l’emergenza tanto sul piano dei dati e dei fatti, quanto sul piano interiore ed emotivo (con l’ambizione però di parlare a/per tutti). Raramente (“Erre con zero”; “Traslochi”; “Una profezia troppo facile”) si va oltre le buone intenzioni; perlopiù, si deve fare i conti con l’impalpabilità.
Non sfuggirà inoltre quanto la diffusa semplificazione di riflessioni e concetti si riveli perfino contraddittoria, se è vero che a pagina 58 Giordano sottolinea: «Se le istituzioni si fidano degli esperti, non si fidano altrettanto di noi, della nostra tenuta emotiva. Nemmeno gli esperti, in effetti, si fidano molto di noi, ci parlano in un modo troppo semplice che risulta sospetto». Lui, invece, ci parla così: «Ora sappiamo che contrastare l’epidemia equivale a trascinare giù il valore di R0. È come riparare un rubinetto senza aver chiuso quello centrale» (pag. 15); «Nel contagio siamo tutti liberi e agli arresti domiciliari» (23); «Come le api e il vento portano in giro il polline, noi portiamo in giro le nostre inquietudini e i nostri patogeni» (34).
Come spiegare poi al lettore il virus, ossia «la forma di vita più elementare che conosciamo» e la sua azione? Giordano risolve chiamandone in causa l’intelligenza: «Dobbiamo calarci nella sua stupida intelligenza, vederci come ci vede lui», e poco più avanti: «L’incremento dei casi […] è sempre più grande. Sembra fuori controllo. Qui potrei aggiungere: ecco un altro modo che il virus ha trovato per spiazzarci, ma sarebbe una concessione eccessiva alla sua intelligenza limitata». Detto del quasi dietrofront in terzultima pagina («Forse è vero che i virus non hanno un’intelligenza»), rimandiamo al capitolo “Il problema della fede” de L’ultimo approdo di Hisham Matar, in cui l’autore libanese rievoca la Peste Nera: fate un confronto e, in termini di sottigliezza di pensiero, tirate le vostre somme.

Infine, l’aspetto più controverso di Nel contagio, che riguarda principalmente ma non solo la sua versione da edicola, e di tutta l’operazione che vi sta a monte. Citiamo dal quarto capitolo, e dal conclusivo: «La buona notizia è che R0 può cambiare. In un certo senso dipende da noi. Se diminuiamo le probabilità del contagio, se correggiamo i nostri comportamenti in modo da rendere più difficile al virus passare da una persona all’altra, R0 diminuisce e il contagio rallenta»; «Siamo davanti a qualcosa di più grande, che merita la nostra attenzione e il nostro rispetto. Che esige tutto il sacrificio e la responsabilità di cui siamo capaci». Ora: sarà impossibile non ravvisare il macroscopico paradosso: lo stesso libro che invita il lettore a diminuire le probabilità del contagio e a comportarsi in maniera tale da rendere più difficile al virus passare da una persona all’altra, lo stesso libro che invita alla responsabilità, per essere prima realizzato e poi letto ha costituito un elemento che la probabilità di contagio l’ha alzata. Messi infatti da parte quanti hanno potuto lavorare da casa propria (autore, editor, eventuale correttore di bozze), per la produzione e la diffusione del volume sono stati coinvolti tipografi, corrieri, edicolanti, lettori: sono state cioè create delle relazioni tra persone (potenzialmente contagiate e contagianti), e persone e oggetti (il libro in sé, superfici di ogni genere, monete e banconote) che possono aver favorito la diffusione del virus. Se anche ci arrestassimo al solo (“solo” si fa per dire) dominio della potenzialità, le domande sono inevitabili: autore, editore e quotidiano si sono interrogati sulla loro responsabilità nel far uscire il libro? L’eventuale obiezione che tipografi, corrieri, edicolanti e lettori sarebbero comunque entrati in relazione tra loro non regge, ovviamente, perché la produzione e la successiva diffusione di Nel contagio hanno originato delle specifiche condizioni che, a prescindere dalla loro entità, hanno determinato una certa realtà che, unica, discende appunto dall’esistenza fisica del libro. Il quale, giusto per stare a un esempio concreto, è rimasto in edicola per settimane: e ogni persona uscita di casa appositamente per comprarlo perché attirata dal contenuto, dal nome dell’autore o dalla contribuzione alla ricerca e all’emergenza attraverso l’acquisto, può essere stata vettore di contagio. Così come può esserlo stato chi l’ha dovuto smistare nella Penisola, o far viaggiare in aereo o in nave e poi smistare nelle isole.
Altra obiezione: queste valutazioni non si possono estendere a tutti i quotidiani cartacei, e a tutti i libri cartacei su coronavirus e Covid-19 arrivati in edicola con quei quotidiani? In assoluto, è un’obiezione che ha una sua ragionevolezza. Ne ha meno però se si fanno dei distinguo, anche elementari. I quotidiani cartacei garantiscono, e a maggior ragione l’hanno garantito «in un momento così difficile», un diritto: quello all’informazione. Non che ci fosse bisogno di prove ulteriori, ma l’istituzione della didattica a distanza ha reso palese un dato: parte non secondaria della popolazione italiana non ha accesso a internet per carenze strutturali o non ne ha la disponibilità per ragioni economiche. Altra parte della popolazione, poi, non ha confidenza con la rete per questioni legate all’età: e siamo, com’è noto, un Paese di anziani. Insomma, assieme alla televisione, i quotidiani cartacei erano e restano una necessità, tanto per le informazioni generali quanto, se non di più, per quelle relative ai singoli territori. Il libro di Giordano ha innegabilmente una sua dimensione informativa, ma a prevalere è quella speculativa, dell’invito alla riflessione: e se già questo lo pone su un piano diverso rispetto ai giornali, ancora di più lo pone il modo in cui Nel contagio svolge questo invito, tra diaristica post-adolescenziale, un’immancabile citazione di prammatica del Rasoio di Occam in mezzo paragrafo («la soluzione più semplice è con ogni probabilità quella più corretta»), e uno spiacevole, anche se per fortuna sporadico, cattivo gusto: «Nel frattempo il parassita avanza, si moltiplica indisturbato. Fa capolino ad Antibes, in Corsica, a Maiorca. La xylella ama la villeggiatura»; «Fra le malattie che potrebbero beneficiare del climate change ci sono […] la malaria, la dengue […] e perfino la diarrea, che forse è un fastidio da poco qui da noi, ma è un pericolo molto serio altrove. Il mondo sta per farsela addosso».

A tirar le somme, non si riesce ad allontanare due pensieri: che il contenuto di Nel contagio non giustifica l’esistenza del libro, ma che al massimo da tale contenuto potevano essere tratti tre quattro articoli, come altri a tema che Giordano ha scritto per il Corriere della Sera nelle passate settimane; che se si voleva dare un contributo economico all’emergenza e alla ricerca – e questa ci pare essere in definitiva la ragione prima della pubblicazione, vista la complessiva leggerezza di tutta l’operazione  –, lo si poteva fare diversamente, magari facendo uscire per il momento un e-book e solo successivamente il libro fisico, e lo si poteva, doveva, fare meglio.

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