Lo scaffale degli editori
I 12 (meno 2) del Premio Strega
Una carrellata sui libri finalisti tra cui gli Amici della Domenica sceglieranno la cinquina. A iniziare dai titoli pubblicati da editori indipendenti, in attesa delle presentazioni on line dal 3 maggio
Il mondo dell’editoria è rallentato dal coronavirus ma intanto le librerie sono di nuovo aperte, in grande anticipo sugli altri negozi, e se non possono più ospitare incontri con gli autori, supplisce il web. E si mantengono alcuni riti, primo fra tutti quello del Premio Strega, che ha pianificato le sue tappe con il direttore della Fondazione Bellonci, Stefano Petrocchi, fresco di riconferma nel ruolo. Appunto a Maria Bellonci e al suo salotto domenicale che fu culla dello Strega ha fatto riferimento il presidente della Fondazione, Giovanni Solimine. «Era il 1944 quando in via dei Fratelli Ruspoli, a Roma, quartiere Parioli, cominciarono riunirsi i cosiddetti Amici della Domenica. Maria definì il momento doloroso nel presente e incerto nel futuro. Come nostro piccolo contributo alla rinascita dopo la tempesta che stiamo vivendo organizziamo incontri in streaming con gli autori che partecipano alla settantaquattresima edizione del Premio».
Eccoli allora i dodici candidati allo Strega presentarsi ai lettori attraverso altrettanti minivideo che saranno pubblicati sui canali social del Premio e del Centro per il Libro e la Lettura. Hanno cominciato Daniele Mencarelli, Valeria Parrella e Gian Mario Villalta. Domenica 3 maggio alle 17,30 parleranno del loro romanzo Silvia Ballestra, Jonathan Bazzi e Sandro Veronesi. Il 10 maggio sarà la volta di Marta Barone, Gianfranco Carofiglio e Remo Rapino. Il 17 concluderanno Gian Arturo Ferrari, Alessio Forgione e Giuseppe Lupo. Intanto anche questa rubrica presenterà dieci dei dodici romanzi in gara, perché de Il colibrì (La Nave di Teseo) di Veronesi (https://www.succedeoggi.it/wordpress2019/11/il-colibri-il-coraggio-di-restare-fermi/) e di Ragazzo italiano (Feltrinelli) di Gian Arturo Ferrari (https://www.succedeoggi.it/wordpress2020/03/strega-per-dodici/), Succedeoggi ha già parlato. Seguendo un particolare criterio. Oggi cominciamo con i titoli libri pubblicati da editori indipendenti.
Come Febbre di Jonathan Bazzi (326 pagine, 18,50 euro), proposto allo Strega da Teresa Ciabatti. Un romanzo d’esordio forte e spiazzante, come spesso sono quelli scelti dall’editrice romana Fandango, costola della casa di produzione cinematografica di Domenico Procacci. Uscito alcuni mesi fa, era ancora il 2019, ha avuto successo di critica e di pubblico, essendo tra l’altro nominato “Libro dell’anno” da Farenheit, la trasmissione culturale di Rai Radio 3. Visto ora sulla passerella dello Strega, si rivela anche inconsciamente “profetico”. Perché la febbre della quale si parla è quella causata da un virus, l’HIV, per il quale Bazzi, che vive a Ronzano, nella periferia di Milano, è stato curato all’Ospedale Sacco del capoluogo lombardo, lo stesso tante volte in prima pagina per le cronache relative al coronavirus. Un libro autobiografico che narra spietatamente la discesa agli inferi del protagonista, alternando il presente – la consapevolezza della malattia e la sofferenza per lo stigma che si porta dietro, la cura, la ricerca del riscatto fisico ed esistenziale – al passato nel Bronx meneghino, con una famiglia sfasciata presto, l’affidamento ai nonni, la timidezza di bambino balbuziente, l’omosessualità, la sottomissione inevitabile ai bulli tutt’intorno. Pagine taglienti, lingua affilata che non gira attorno alle situazioni. Coraggio di scrittura e di plot, fino alla presa di coscienza del proprio valore conquistata parlando del vero se stesso a chi gli sta intorno, a partire dalla madre.
Anche Giovanissimi (224 pagine, 16 euro) del trentaquattrenne napoletano Alessio Forgione – pubblicato da NN, coraggiosa casa nata cinque anni fa con l’intento di scovare o lanciare un Italia autori trascurati – è scritto in prima persona. Qui il protagonista è un quattordicenne sullo sfondo di Soccavo, periferia degradata di Napoli. Anche Marocco, così lo chiamano per la carnagione scura, vive in una famiglia sfasciata, dopo che la madre se n’è andata. Sono gli anni Novanta, lui gioca a calcio per zittire la rabbia di quell’abbandono, va a scuola, allo Scientifico, ma non studia, invece comincia a spacciare con l’amico Lunno. Però vuole essere altro, non gli piace atteggiarsi a duro. S’innamora, ma soprattutto vuole essere felice e dimostrarlo a tutti: «Volevo fare del mio sorriso un simbolo, uno sfregio permanente che mi rovinava la faccia». «Romanzo/silloge delle regole più feroci che ritmano l’ingresso all’età adulta», scrive Lisa Ginzburg nella presentazione al Premio. Ma nelle pieghe dure si inserisce forse troppo ottimisticamente il sorriso di Marocco. Una debolezza riscattata dal finale aperto, agganciato a un colpo di scena.
Un affresco nel Novecento attraverso il racconto di un anziano del Sud – poca cultura, emigrazione, lavoro in fabbrica e ritorno al paesello – è il tema dell’affascinante e sincero romanzo di Remo Rapino, poeta abruzzese approdato solo raramente al racconto e ora al romanzo. Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Ciborio (265 pagine, 17 euro) è pubblicato dalla romana Minimum Fax che ha osato (come del resto è sua abitudine) per la lingua impastata di dialetto che potrebbe scoraggiare i lettori e che invece si rivela assai attrattiva. Funzionale del resto al fatto che il protagonista Liborio, nato nel 1926 e deciso a scrivere tutto quello che gli è capitato nel 2010, sentendosi vicino alla morte, è considerato matto. La sua è una sorta di confessione lungo tutte le pagine del libro, in una lingua fatta fiorire da Rapino (che vive a Lanciano ed è stato insegnante di filosofia nei licei) sulla parlata abruzzese screziata però di altri influssi dialettali. Liborio infatti, “cocciamatta”, cresciuto senza padre né madre, apprendista barbiere, servizio militare in Friuli, va a lavorare in fabbrica a Milano e poi a Bologna, alla Ducati. Attraversa l’Italia del boom e le lotte del sindacato, i confronti con il dirigente di azienda, le sconfitte e le rivincite. In fondo sotto un unico rumore di fondo, quello della solitudine. Nella quale si ritrova mentre scrive il suo memoriale triste e buffo insieme, in quel paese che non è cambiato dagli anni della sua infanzia. «Un libro che poggia su una grande tradizione ed è popolare», sottolinea Maria Ida Gaeta, che lo presenta allo Strega. E che aggiunge: «È un libro non collocabile facilmente né per generazione né per lingua in un contesto già noto della narrativa italiana». Un’opera nuova e antica insieme. Forse il suo punto di forza.