Giuliano Capecelatro
Gli opinionisti da social

Heidegger e le chiacchiere

Parole contro parole, nulla contro nulla: l’una vale l’altra. Martin Heidegger, senza nemmeno poter chiamare in causa facebook e twitter, aveva già capito i confini della tirannide delle banalità in cui noi oggi viviamo

Bisogna dargliene atto. Il vecchio Martin Heidegger aveva colto nel segno. Insomma, aveva visto giusto. Con largo anticipo sui tempi. Un profeta, via. Anche se, è giusto dirlo, ci era arrivato forse un po’ casualmente; non era davvero quello l’obiettivo cui mirava; non gliene poteva importare di meno. Lui era tutto preso dalla faticosa ricerca del sacro Graal ontologico: oh, mica un gioco da ragazzi! Sapeva un tubo di tweet, post e compagnia cantante social. Che sono il nostro, non il suo, incubo. A lui bastavano, e avanzavano, i grattacapi che gli dava l’Essere con la sua avanguardia in carne ed ossa, l’esistenza.

Ma, sia come che sia, paf!, si era ritrovato a dire la sua sulla chiacchiera; un argomento che uno di noi, uno con la testa sulle spalle, neppure prenderebbe in considerazione. Ed ecco che in quel ponderoso volume che è Essere e tempo, un autentico percorso ad ostacoli, irto di trabocchetti e di concetti duri da digerire come sassi, si mette a discettare da par suo sulla chiacchiera. E mica alla leggera; l’aveva preso sul serio, l’argomento, il bla bla bla ininterrotto che punteggia e insaporisce le giornate dei mortali.

Oh, non è che il filosofo tedesco – un professorone, chioserebbero oggi con un’alzata di spalle quelli che sanno il fatto loro, i pragmatici che il senso dell’esistenza l’hanno poppato col latte materno – non è, ripetiamo, che ce l’avesse con i certami oratòri da bar, come si dice, con le dispute accalorate e interminabili sull’ultimo rigore dato alla Spal, che sempre gli arbitri la trattano con eccessivo riguardo, o con le nequizie scodellate dalla Var.

No. Lui, da studioso con la “s” maiuscola, aveva individuato e puntato il dito sull’orizzonte di senso – ma sì, usiamo qualche volta paroloni da professoroni – dentro cui imperversa la babele di parole che sfarfalleggiano nella comunità umana giorno dopo giorno. Ma si era premurato di precisare: «Il termine “chiacchiera” qui non ha alcun significato spregiativo» (Essere e tempo, pag. 211, Longanesi 1976).

Tutto per far capire, ai suoi ardimentosi lettori e chiosatori, che un conto è avventurarsi per gli scoscesi sentieri che portano alla scoperta del vero, un altro è lasciarsi cullare dalla vischiosa corrente di opinioni sull’ultima acconciatura della soubrette assatanata di audience, o sulle sparate di quel cantante che vuole dire la sua ai professionisti della politica e rimettere a posto il mondo. Tutto legittimo, chi lo nega? Ma lontano anni-luce da quel percorso che dovrebbe condurre alla rivelazione, attraverso la lente della fenomenologia, del senso dell’essere.  Che, questo sì, non gli faceva prender sonno.

Non spregiava. Anche se il termine scelto aveva già di suo una connotazione niente simpatica. La semantica non è mica un’opinione. Apriamo il dizionario. Lo Zingarelli, al lemma di cui sopra, ci va liscio: Discorso, conversazione, spec. futile o su argomenti di scarsa importanza, oppure sconclusionata e assurda. Qui subito qualcuno si alzerà in piedi a obiettare: ma questo in italiano; in tedesco, che ne sappiamo?, magari suona tutt’altra musica.

Ok, ok, andiamo a sbirciare nel campionario di significati ricoperto da Gerede, il termine impiegato dal filosofo. Pons, dizionario online, annovera brutalmente “chiacchiera, pettegolezzi”. Non meno impietoso il Langenscheidt: Das Gerede? Chiacchiera, ciancia. Implacabile anche il Duden: un lungo rosario di sinonimi, e poi finisce per assimilarlo senza indugi al gossip, levandogli ogni via di scampo. Insomma, non è che tra i tedeschi sto Gerede goda proprio di buona stampa.

Ma i tweet? I facebook? La panoplia social? Che c’entrano con le angustie ontologiche di Heidegger? Col suo desiderio di buttare a mare una volta per tutte la metafisica; impresa che, lo ripeteva sempre, neppure al Nietzsche, con tutti i funerali che aveva apparecchiato per il buon dio, era del tutto riuscita; ma adesso per fortuna c’era lui. Che c’entrano?

C’entrano, c’entrano quei simpatici giocherelli immateriali che incatenano l’attenzione degli umani fino a diventare ossessione, presenza assorbente, prevaricante. Sono i cavalli di Troia con cui la chiacchiera si è impancata a signora del mondo. Rappresentano il trionfo assoluto, l’apoteosi della chiacchiera. Tutto è chiacchiera, tutto esplode e si dissolve nell’effimera consistenza delle parole. Metafisica, ontologia, dei di ogni tipo e colore possono andare a farsi friggere.

Parole contro parole, nulla contro nulla: l’una vale l’altra. Dilagano. Sotto la sferza del “se sei indignato, condividi”. Nella caccia al nemico occultato sotto mentite spoglie; ai biechi tramatori di complotti globali, che pure il Covid-19 se lo sono inventato loro. Sotto la pressione di moti d’animo surrettizi, sollecitati a bella posta con acconce suggestioni, reazioni sganciate dalle peristalsi delle viscere. In un crescendo di addiction verbale in cui furoreggia il turpiloquio, parola potenziata, sovreccitata, drogata peggio che di cocaina, in felice e libera crescita. Ci andrebbe a nozze Gustave,… eh, lui, Flaubert, tutto concime per una nuova, enciclopedica edizione dello Sciocchezzaio. Soldi a palate.

E mica solo sui social. Tracimano. Inondano i tubi catodici. L’attrice di scarsi copioni trova la ciambella di salvataggio della provocazione per risalire a galla. Il dibattito politico dà la stura a tornei di chiacchiere appese in aria; il povero Rabelais è fottuto, annientato da una realtà lalomane che sbeffeggia i suoi sbeffeggiamenti.

E i media che si ammantano di cipigliosa serietà? Da scompisciarsi. Ansiosi, nel sacro nome delle vendite, di poter mettere la foto dell’ex cesellatore di cucchiai calcistici in giro per la città con la sposa, irriconoscibili dietro le obbligatorie mascherine: come? Non t’accorgi che è il Pupone a fianco della consorte? Ti senti impigliato in un delitto di lesa maestà. Raggiungono il parlamento, le truppe cammellate delle chiacchiere. Si infilano nei discorsi di capi di stato che sembrano lavandaie stizzite.

Calma! Ma Heidegger? Ce lo tiri per i capelli in questo ginepraio. Che ha a che vedere con tutto sto bailamme, che sembra ‘na scena di Helzapoppin? Mica vero. Anticipatore pure qui. Sempre con l’aria di non voler pestare i piedi a nessuno: «Il termine, che non importa alcuna valutazione negativa…» (pag. 221 del summentovato); ma quando mai, ci mancherebbe! E qual è il termine che il perfido professorone butta lì come per caso? Deiezione. Come??? Sì, deiezione. In tedesco il più contegnoso, perbenista Verfallen. Per dire che il mare quotidiano in cui navighiamo a vista, sempre più corta, in cui facciamo le nostre cofecchie da omuncoli, non è neppure lontano parente del vero, cui può condurci solo un occhio fenomenologico.

E gli vuoi dare torto? Ci trovi una briciola, un milligrammo di vero in tutta questa marea debordante di parole che soffoca ogni attimo del nostro esistere? Hai un bel dire: qui sento puzza di sacrestia. Sì, chi lo nega?, prima di buttarsi a corpo morto nella crociata filosofica contro la metafisica, lui aveva alle spalle anni passati sui testi di teologia; forse qualche inconfessata riserva sulla vita materiale, festival di odori, afrori, sudori, valzer olezzante che danziamo ilari sull’orlo della Geenna, ce l’aveva.  E poi, si sente qua e là il peso di certi dottori della chiesa, per non dire di quel buontempone di Kierkegaard, che già il nome…

Words, words, words… Ci mancava solo il Bardo col suo pallido prence danese. Sulla stessa lunghezza d’onda del filosofo. Echeggiano, rimbombano, ammutoliscono, assordano, intontiscono. Debilitanti circuiti di parole circondano il mondo, l’umanità. Mitragliate senza pietà da ogni possibile pulpito, E che sono al tutto? Deiezione, ci sbatte sul grugno Heidegger. Che, a distanza di qualche decennio, si unisce in ideale connubio con Altan, filosofo iconologico e iconoclasta. Allegria, allegria, sprizzerebbe giulivo Mike Bongiorno: il notaio conferma, la risposta esatta è deiezione. Nulla di più. E ci viviamo tutti immersi. Fin sopra la testa.

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