Elogio della calzatura
Storia della scarpa
Scarpe, scarponi slacciati, scarpini da calcio, sandali: la civiltà comincia nel momento in cui l'uomo frappone fra il suo corpo e la terra un oggetto, mentre il lavoro inizia quando l'uomo "addomestica" gli animali con la sella, l'aratro ed i propri piedi con le scarpe
I piedi hanno camminato molto nell’ultimo secolo prima di essere accettati in società. Hanno dovuto costruirsi una dignità ed una autonomia che prima non avevano. Da sempre le “estremità” erano state considerate volgari ed il loro linguaggio “pedestre” non degno di considerazione. Bisogna ringraziare il calcio, che ha contribuito a questa rivoluzione, anzi, che ha inventato un vero e proprio linguaggio dei piedi, più universale di qualsiasi lingua, liberandoli soprattutto dalla tirannia ideologica delle mani.
Tutto cominciò a Londra il 26 ottobre 1863 quando i rappresentanti di 11 club nella storica riunione tenuta nella Free Mason’s Tavern in Great Queen Street fecero un regolamento che è la base del calcio moderno. I convenuti, fra le altre cose, fecero una scelta FRA MANI E PIEDI. Il rappresentante dell’università della città di Rugby propugnò il gioco duro, di massa, fatto con le mani, mentre gli altri si irrigidirono su un gioco meno violento, individuale, fatto solo con i piedi. A differenziare i due giochi fu anche la forma delle porte e del pallone: porte alte e palla ovale per il rugby, porte basse e palla rotonda per il foot-ball. Quella storica riunione non segnava solo l’inizio del calcio, registrava anche fenomeni propri della società di massa: l’importanza dei piedi a scapito delle mani.
La contrapposizione mani/piedi in campo sportivo andrebbe studiata più a fondo; da sempre, infatti, gli sport d’élite hanno visto protagoniste le mani (tennis, rugby, scherma, canottaggio, pugilato, vela, ecc.) mentre quelli popolari preferiscono i piedi e pochissime attrezzature: il calcio, la corsa e il ciclismo, perché da sempre la bici – detta la spicciola, dato che faceva risparmiare i soldi del tram – è servita al trasporto da casa alla fabbrica.
Se il rappresentante dell’università di Rugby proponeva un gioco in cui dominavano la mischia, lo sfondamento delle linee avversarie ed il brutale contatto fisico non era solo perché quel gioco era un utile avviamento all’esercizio militare, ma anche perché nelle università, dove andavano i figli dei ricchi, i campi di rugby erano più curati ed a buttarsi per terra non si correva il rischio di farsi male con i sassi. L’opposto accadeva nel calcio giocato nei campetti fatti a ridosso delle fabbriche: nessuno si curava né dei sassi né delle pozzanghere ed ecco perché le mischie corpo a corpo fatte per terra, le costosissime porte aeree, gli strattoni che rovinavano gli indumenti furono banditi.
I piedi cominciarono a camminare, a correre, a scartare l’avversario, mentre fino ad allora erano stati semplice supporto delle mani. Anzi quella storica riunione è anche spia di un fenomeno più profondo: una vera e propria rivoluzione culturale per quanto riguarda il valore del proprio corpo, fino ad allora usato solo per la riproduzione, il lavoro nei campi, la guerra. Che cosa era successo nell’Ottocento?
A partire dalla rivoluzione industriale, dopo il lavoro in fabbrica, gli operai scoprono il tempo libero e diventarono “gioco” quelle attività che fino ad ora erano semplici esercizi, allenamenti per prepararsi al lavoro dei campi o alla guerra. La corsa, vale a dire il modo più veloce per portare le braccia dove ce ne fosse bisogno, la destrezza delle gambe utile nella scherma o a dare robusti calci nelle parti basse del nemico, la resistenza al lavoro nei campi ed altre attività furono sganciate dalle loro finalità pratica e furono riorganizzate in modo diverso, acquisendo autonomia e dignità di gioco. Quando il calcio si staccò dal rugby e le gambe si divisero dalle braccia, allora il football cominciò a scrivere la propria letteratura.
I piedi, dunque, cominciarono ad essere stimati di più, pur rimanendo sempre associati alla terra, quanto le mani sono all’aria. Tuttavia, i piedi pur essendo l’unica parte del corpo che tocca la terra, hanno bisogno delle scarpe, più di quanto le mani abbiano bisogno dei guanti: se toccare l’aria con le mani non è doloroso, toccare a lungo la terra con i piedi diventa un supplizio. Perciò calzare un piede significa piegare la natura alle proprie esigenze, un po’ come mettere la sella al cavallo. La civiltà comincia nel momento in cui l’uomo frappone fra il suo corpo e la terra un oggetto – le scarpe, le sedie, il letto, la bara – mentre il lavoro inizia quando l’uomo “addomestica” gli animali con la sella, l’aratro ed i propri piedi con le scarpe. Per questo, la scarpa, è punto di incontro fra civiltà e lavoro brutale, più del perizoma o del tanga, arcaiche tessere di quell’ampio mosaico chiamato vestito. Ne era consapevole il grande Collodi, quando nel Pinocchio racconta la scena dei bambini che, per aver giocato troppo a lungo nel “paese dei balocchi”, diventano asini: quegli asini, oramai avviati al lavoro, hanno sullo zoccolo le scarpe dei bambini ben allacciate, come uno spaventoso messaggio del mondo perduto.
Al di là delle metafore letterarie sul significato della scarpa (che può essere anche vagina, come ricorda Cenerentola) quell’elmo di cuoio che calza il piede oggi grida la sua vittoria nell’abbigliamento, proprio come succede all’elmo da guerra sormontato da un cimiero: il guerriero si deve vedere da lontano, proprio come l’eleganza di un uomo oggi non si vede dal cappello, oramai in disuso, bensì dalle scarpe, che hanno bisogno dei lacci così come il collo di un uomo ha bisogno della cravatta. Le scarpe, quindi, non solo proteggono quella parte delicatissima che è il piede ma sanno anche parlare attraverso i lacci e le suole.
Di questi tempi è di moda lo scarpone slacciato. Vediamo cosa significa: il significato profondo dello scarpone slacciato significa protesta e deriva proprio dal mondo del calcio.
Gli hooligans, i primi tifosi organizzati della fine del secolo XIX, antenati degli skinhead, diedero molta importanza agli scarponi. Questi, da normale abbigliamento da lavoro, finirono per diventare un’arma per sfondare il muro di corpi dei tifosi avversari e occupare gli spalti del nemico. Un secolo dopo lo scarpone con la punta rivestita di metallo è diventato il tratto distintivo dell’abbigliamento skinhead, sottocultura popolare degli anni ’70 che negli stadi trova una forma di espressione violenta. La polizia inglese toglieva loro i lacci, prima di farli entrare negli stadi o addirittura prendeva in consegna gli scarponi, mandandoli sugli spalti in calzini.
Oggi, la moda giovanile di camminare con lo scarpone slacciato vuole indicare protesta verso un’ingiustizia. E quale dura ingiustizia hanno subìto i giovani dalla società, se non quella di trovarsi senza lavoro e con un futuro molto incerto, nel quale dovranno farsi carico del peso dell’intera società?
E l’altezza della suola? Nella Repubblica Veneta erano le prostitute a portare suole altissime, forse per non bagnarsi i piedi o le gonne nelle strade invase dall’acqua, forse per sembrare più avvenenti. Oggi significano potenza, una maniera di sottomettere il mondo, proprio come un trattore caterpillar, a cui si richiama proprio un modello di calzatura. Lo scarpone con la suola alta ma slacciato è quindi una forma di protesta muta e indifesa, un grido verso qualcuno che lo aiuti a camminare più speditamente verso il piacere, il danaro, il successo.
Forse oggi, in un mondo sempre più veloce ed immateriale, in cui i piedi si sono trasformati in ruote d’automobile, le ruote in eliche, le eliche in razzi, i nostri piedi rischiano di perdere il contatto con il terreno. Se la mente, associandosi con il computer, riesce ancora, in qualche modo, a seguire questa vertiginosa corsa del tempo, i piedi degli uomini, in verità, fanno più fatica e proprio per questo essi lo celebrano tutte le domeniche in modo ossessivo. Perché i piedi ricordano una attività umana oramai perduta e fatta solo come gioco. Un po’ come succede con il linguaggio di Internet che usa metafore spaziali quali navigare, portale, sito, ecc. rappresentando proprio l’annullamento dello spazio a favore del tempo.
In un mondo sempre più veloce ed immateriale sono i gommisti, quelli che costruiscono gomme per conto della Formula Uno, i disegnatori dei battistrada delle gomme delle macchine super veloci, gli uomini più consapevoli della modernità. Per essi ogni disegno, ogni profilo, ogni solco di ruota indica un rapporto con un tipo di terra, con un tipo di circuito, con l’umore del pilota e l’umore del tempo. Non è del tutto sbagliato affermare che il profilo delle gomme delle macchine di Formula Uno possono essere considerate delle vere e proprie teorie filosofiche a cui è affidato il compito di tenere l’uomo sano e salvo in una situazione che può essere catastrofica. Ed i suoi costruttori i veri filosofi del mondo moderno!
Se i costruttori di gomme sono filosofi, i disegnatori di suole di scarpe sono scrittori. Una suola di scarpa di gomma ben scolpita lascia una labile impronta sul terreno, quanto la scia di profumo lasciata da una donna che passa. Tuttavia, una buona impronta di scarpa lasciata dietro di sé è personale e sfumata, proprio come il passaggio della nostra vita sulla terra. Mi piacerebbe avere un paio di scarpe che lascino il mio nome come impronta sulla terra ad ogni passo! Senza affondare nei resti dei cani…
Gli scarpini dei calciatori sono strumenti di lavoro perciò sono anonimi e fatti in serie come le tute degli operai, di conseguenza le impronte che essi lasciano sul manto erboso sono tutte uguali. Ma quando gli scarpini abbandonano il terreno e lasciano impronte nell’aria, facendo una rovesciata acrobatica, allora il tiro ben riuscito apre un solco nell’aria come un aratro affondato nella terra. Ecco cosa è la gloria: fare buchi nell’aria!